Come dire… una polemica al giorno ci toglie il COVID di torno: quella odierna scaturisce dall’aumento degli emolumenti per il Presidente dell’INPS, Pasquale Tridico, (e gli altri organi societari) .

Forse può essere una conseguenza postuma del divorzio Lega/M5S, fortemente voluto dal “capitano Matteo” che, l’8 agosto 2019 aveva deciso, unilateralmente, di autoproclamarsi generale, senza conoscere minimamente le regole della carriera militare, né tanto meno aver mai combattuto, davvero, per la difesa del territorio patrio.

La pretestuosità e la vacuità nascono, appunto, nel Paese delle meraviglie nel senso che, di tanto in tanto e piuttosto spesso e volentieri, i nuovi politicanti della cosiddetta II Repubblica s’inventano una “boutade” – dicasi balla popolarmente – per richiamare a sé la distratta attenzione delle masse con lo squallido e meschino obiettivo di far risalire la percentuale di riferimento del proprio partito = prodotto di marketing, a danno di quello che sarebbe toccato/sfiorato dalla vibrata denuncia online o multimediale.

Ma il “buon samaritano” nordista dimentica o fa finta di non ricordare o sapere quanto segue:

a) i trattamenti economici dei vertici dell’INPS, INAIL e altri istituti parastatali e le relative nomine sono sottoposti al vaglio del Parlamento, sono sempre stati elevati ed effetto di decreti interministeriali “ad hoc”;

b) i cosiddetti “top manager” pubblici che occupano posti di “sottogoverno” sono una serie lunghissima di nominativi, ignoti ai più dell’opinione pubblica. Talvolta ci si chiede come possa un organo di controllo competente all’interno del dicastero di settore, oppure quello della Corte dei Conti, registrare senza rilievi certe nomine, improponibili, incompatibili o immotivate, se non soltanto fittiziamente documentate.

E forse le opposizioni sbraitano tanto perché , ora, non possono piazzare i propri pupilli o “raccomandati” in posizioni di potere gestionale, dimenticando che esiste il tetto retributivo di euro 240.000 annui lordi, ma paradossalmente decine e decine di eccezioni a questa, sana regola (divieto di superare la retribuzione annua, spettante al Presidente della Repubblica); la qual cosa rappresenta – questa sì! – uno degli scandali della cosa pubblica d’Italia.

Moralizzare la gestione degli enti statali, incluse le nomine nell’ambito delle regioni e delle aziende municipalizzate, è dunque una reale necessità, socialmente condivisa e assolutamente da sostenere; ma senza ipocrisia, né erigersi a paladini moralisti, qualificandosi come “manipolatori della comunicazione”, piuttosto che come grandi comunicatori e trascinatori di popolo (leggasi l’ultimo libro di Gianrico Carofiglio, “Della gentilezza e del coraggio – Breviario di politica e altre cose”).

Michele Marino

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