“Libertas” non per caso stava scritto lì e non altrove, esattamente sulle braccia della croce, nel simbolo prima del Partito Popolare di Luigi Sturzo e poi della Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi. E’ la cifra che ci identifica, il compito inesauribile che ai credenti compete. Rappresenta la competenza e l’onere, il concorso specifico che ai cattolici tocca recare al discorso pubblico del nostro tempo. Si deve giudicare da lì, dall’attitudine o meno a farsi carico di tale onere, l’opportunità o meno, anzi la necessità che nasca, nel pluralismo acquisito delle opzioni politiche, una forza autonoma di ispirazione cristiana.
Non il “partito cattolico”, come volentieri e, non a caso, volutamente molti equivocano, bensì una presenza che ne stia esattamente agli antipodi. Chiamata a servire non una enclave e i suoi veri o presunti interessi, bensì la collettività ed il bene comune. Senza libertà non c’è giustizia e non c’è fratellanza. Senza libertà non c’è dignità della persona, anzi la persona stessa vien meno e con essa viene meno la storia.
La libertà – intesa quale dovere da compiere, ancor prima che non diritto da rivendicare – è, in ogni frangente storico, la “divisa” del credente, il seme che, irrevocabilmente, è chiamato a spargere nel solco degli eventi che si succedono nella vicenda umana. Siamo fatti per essere liberi, per dare un nome ed un senso alle cose del mondo.
Oggi più che mai, nella società della conoscenza, pervasa dagli automatismi della tecnica, solcata dalle mille contraddizioni che la complessità reca con sé, la libertà è il compito che ci tocca ed in sé precede, fonda e riassume ogni possibile declinazione della fede nel vissuto, anche politico, di tutti i giorni. La libertà rappresenta la linea di continuità secondo cui leggere l’intero cammino degli uomini “liberi e forti”, l’intero corso del cattolicesimo politico ed, è, in definitiva, tutto ciò che della nostra tradizione va conservato e tradotto ai nostri giorni.
Partito Popolare e Democrazia Cristiana sono state le forme storiche contingenti della cultura politica cattolico-democratica e popolare, pertinenti al loro tempo e, dunque, irrevocabilmente consegnate alla memoria. La Dc, in modo particolare, è stata una “singolarità” della storia, cioe’ un evento unico ed irripetibile, nella misura in cui ha rappresentato l’approdo di condizioni che ben difficilmente potrebbero, un’ altra volta, presentarsi tutte assieme e congiuntamente.
“Conservare la fiamma, abbandonare la cenere”, cosi’ sostenne, a suo tempo, Tommaso Moro. Se riflettiamo in ordine all’opportunità o meno che vi sia, nel quadro complessivo del nostro sistema politico-istituzionale, la presenza di una forza che tragga il suo progetto politico ed il conseguente programma da una considerazione cristiana della vita e della storia, è necessario assumere la libertà come radice e fondamento della proposta.
La libertà va riguadagnata ad ogni tornante della storia ed è sempre insidiata da opacità e limiti, vincoli e condizionamenti che sono intrinseci a quella particolare stagione. E’, per forza di cose, una perenne “ incompiuta”, una condizione che costantemente evoca un “oltre” ed alla quale si può tendere solo asintoticamente, cioè attraverso un cammino che non ha termine e che per quanto si spinga in alto non giunge mai ad un approdo conclusivo che la possa esaurire.
Senza libertà non c’è nessun sentimento d’attesa e non c’è speranza. Senza libertà non è possibile “desiderare”, nel senso proprio del termine. Viene meno la capacità di cogliere, aderendovi, quella dimensione della trascendenza che originariamente, ontologicamente appartiene all’essenza umana ed il cui smarrimento dà ragione di molti fenomeni involutivi del nostro tempo. Ci stiamo inoltrando in una fase storica che pone in discussione la stessa comprensione di sé che l’umanità va rielaborando ed, in questa parabola è, anzitutto, la libertà ad essere in gioco ed a rivelare anche il profilo drammatico che pur le appartiene.
Oggi, peraltro, nella misura in cui il luogo della composizione del conflitto, la spazio della possibile mediazioni tra mille spinte contrastanti, è dato, in primo luogo, dallo spessore della coscienza di ognuno, è necessariamente dalla libertà interiore della persona, ciascuna nella sua irripetibile singolarità, che deve muovere il processo di costruzione della libertà nel mondo scomposto e frastagliato del tempo postmoderno.
Domenico Galbiati