E’ da almeno 20 anni e da un numero davvero considerevole di tornate elettorali tra politiche e amministrative che il dibattito su che cosa pensano i cattolici italiani, quando vanno a votare e per chi votano se votano, è un argomento che “infiamma” e, poi, per lungo tempo torna a “covare sotto la cenere”.

Una prima riflessione è su questa anomalia italiana nel panorama europeo dell’elettorato cattolico e del suo orientamento al voto. Negli altri Paesi europei, il voto cattolico non è così evidente vuoi per la presenza di più anime nell’ambito del Cristianesimo e per la concomitante presenza di altre confessioni religiose in ragione del fenomeno dell’immigrazioni dal Medio Oriente, Africa ed Asia e della conseguente integrazione.

Il precedente flusso migratorio in Europa e in Italia ha interessato un Paese dell’Est Europa a forte identità cattolica come la Polonia, tanto che l’immigrazione non è stata percepita come tale dall’opinione pubblica proprio a ragione di questa identità di cultura religiosa. Ma ora le questioni di quanti siano i cattolici “rimasti” (i cosiddetti praticanti assidui ridotti di molto in Francia e in Itala), e di cosa pensino di votare quando devono scegliere i loro rappresentanti, è diventato argomento nel quale il richiamo ad esprimere le proprie posizioni proviene anche dalla
Chiesa stessa.

La verità è che i cattolici italiani dopo aver seguito la cosiddetta “dottrina Ruini”, che fa svolgere loro il ruolo di “lievito” nei partiti politici, condannandoli alla “irrilevanza dei numeri”, non avendo considerato che il “lievito” andava ben costruito prima di immetterlo, i cattolici come entità di pensiero politico autonomo non ci sono, ed hanno anche smesso da tempo di pensarci. La categoria “pensiero cattolico politico-sociale” è sì oggetto di studio e dibattito accademico ma perde i suoi connotati nella realtà dei fatti. Realtà che vede, ad ogni tornata elettorale, molti rivoli confluire in qualche torrente, ma nessun torrente confluire in uno stesso fiume; di fatto la “portata” del pensiero cattolico, per restare nella analogia, non c’è ed è anche lontana da venire. E’ la situazione dei cattolici nei partiti politici europei, dove il richiamo è ai valori della Cristianità nei principi generali ma in nessun modo calato poi nella politica attiva e nelle scelte delle Istituzioni pubbliche di governo, che vanno su ben altri principi laici di universalità antitetici per molti aspetti al pensiero cristiano.

Una seconda riflessione è sull’infiammarsi e poi covare sotto la cenere di questo argomento. Ad ogni tornata politica è un continuo ricercare, affannosamente, quel bacino di voti che aveva i suoi rappresentanti nei cattolici cosiddetti “moderati”, bacino identitario per cultura politica e per identità di fini nel sociale ma che ha dimostrato tutta la sua fragilità con l’irrilevanza dei numeri dei voti e degli eletti. Quando i voti per un partito aumentano, tanto nei sondaggi che nei risultati elettorali, si attribuiscono questi voti anche all’apporto dei cattolici, all’aver saputo intercettare le loro questioni di fondo sul sociale. Tuttavia questo in parte può essere vero ma nel profondo della identità cattolica questo essere uno e non mille piccoli rivoli non esiste ed ecco perché il  “voto cattolico” ad elezione
finita torna a “covare sotto la cenere”.

Giacché nell’ultimo decennio il numero dei cittadini che disertano le urne è aumentato geometricamente fino ad essere ben oltre il 35% dell’elettorato totale, c’è da chiedersi se tra di essi non ci siano un alto numero di elettori cattolici come direbbe Pirandello “in cerca d’autore”. E prima ancora di andare a guardare l’offerta politica elettorale, che pur sua stessa natura è “menzognera ed accattivante” dovendosi guadagnare il voto, bisognerebbe che gli elettori che si dicono di ispirazione cattolica confluiscano in un ragionamento più ampio di tipo identitario, di comunanza di intenti e di finalità condivise, di disegno di un futuro che abbia la sua cifra identificativa nella solidarietà, inclusione e dignità dell’uomo che sono i principi cattolici unificanti; tanto unificanti da costituire lo stesso universale pensiero cristiano.

Ma prima di confluire si deve necessariamente aprire la discussione, che ora è muta, sepolta sotto la cenere. Certo, l’incoraggiamento ai cattolici a scrollarsi di dosso la cenere e l’intorpidimento in cui sembrano essere caduti, proviene dalla Chiesa stessa con le parole del Cardinale Parolin con il suo “esprimere la propria posizione” poiché usa il verbo che rende manifesta una volontà finora inespressa, ed indica in modo implicito, forse anche involontario, che debba esserci una posizione da esprimere e che questa non possa essere quella di ciascuno di essi ma unitaria dei cattolici nel loro insieme nel quale ciascuno si identifichi e condivida. Concetto ben espresso da quel “tornare ad esprimersi” che raccoglie il passato della espressione manifesta, il famoso voto cattolico in grado di orientare le scelte delle Istituzioni politiche del Paese, per arrivare all’incoraggiamento al manifestare una opinione/posizione nella realtà politica e sociale contemporanea.

Incoraggiamento ripreso dal Cardinale Zuppi, nella sua veste di neo Presidente CEI che sottolinea “l’attenzione per la cosa comune” messa dai cattolici nel comprendere il mondo e nel trovare soluzioni politiche che sostengano il concetto laico del “bene comune/bene di tutti”, in senso universale, con un rimando implicito a quel bene comune espresso da don Andrea Gallo, recentemente scomparso, per una società partecipata ed inclusiva. Che è come dire siate cattolici nel mondo e non nel chiuso delle vostre case o delle vostre Chiese, come chiede da tempo Papa Francesco.

Elisabetta Campus

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