Il problema della presenza politica dei cattolici è oramai posto al centro della discussione del nostro mondo ed anche al di fuori di esso.
Da più parti, infatti, persino da alcuni settori della realtà non ispirata cristianamente, maggiormente avvertiti e preoccupati del bene del Paese, è auspicata la costituzione di un nuovo soggetto politico impegnabile per il recupero di quegli elementi di solidarietà, sussidiarietà e sostegno alla famiglia e ai gruppi sociali intermedi, oggi necessari al Paese.
I risultati del 4 marzo hanno mostrato in maniera evidente che la questione non è più quella del se, ma del come.
Il cardinale Gualtiero Bassetti ha ripetutamente invitato i cattolici a intervenire “ Insieme” per rispondere ai problemi dell’oggi.
L’ha fatto arricchendo la sua sollecitazione di alcuni contenuti che hanno posto in maniera chiara la portata di un rinnovato impegno, molto probabilmente destinato ad attraversare più di una fase, alla luce della frammentazione in cui personaggi, gruppi, associazioni, organizzazioni e partitini d’ispirazione cattolica si sono ritrovati.
Non può non colpire il riferimento del cardinal Bassetti a don Luigi Sturzo. Non si tratta solamente un doveroso richiamo in vista del centenario dell’Appello ai Liberi e Forti. Il richiamo a don Luigi è carico di sollecitazioni ideali verso una partecipazione dei cattolici alla vita pubblica attraverso un moto identitario e autonomo, ma al tempo stesso non clericale e aconfessionale.
I punti di riferimento di un rinnovato coinvolgimento organizzato nella cosa pubblica, e le sue eventuali posizioni nel dibattito politico, non possono che essere fortemente ispirati da quello spirito di solidarietà e sussidiarietà che compongono e animano la Dottrina sociale della Chiesa.
E’ ovvio che oggi il messaggio sturziano, e quello della successiva esperienza democratica cristiana di Alcide De Gasperi e Aldo Moro, debba essere reso concreto con un coraggioso e persino audace confronto con le questioni dell’oggi.
Partendo dalla consapevolezza che la posizione politica dei cattolici è frastagliata, a causa delle recenti vicende storico politico del Paese. A causa delle “ paure” che pure i cittadini cattolici vivono nei confronti di una realtà mondiale in trasformazione, di un’economia diretta da forti entità senza alcun controllo da parte dei responsabili eletti democraticamente, di una crisi importante in cui è finita l’Europa a causa dell’eccesso di nazionalismi e di egoismi non mitigati dalla valutazione dei rischi che incombono su oltre 500 milioni di suoi abitanti.
Appare evidente che molte di queste “ paure”, mancando la presenza di una prospettiva diversamente organizzata, porta molto del voto dei cattolici a spostarsi e a dividersi tra una destra che propone un rifugio nel ritorno ad un nazionalismo dagli scarsi sbocchi concreti, un assistenzialismo cui taluni attribuiscono anche una validità concettuale come aiuto alle povertà e, forse, soprattutto, una latitanza delle urne giustificata dalla distanza avvertita dall’intero mondo della politica.
Queste “ paure”, per alcuni versi contrapposte, spiegano forse anche la divisione tra i cosiddetti cattolici del “ sociale” e “ quelli dell’etica”, cui ha fatto riferimento il cardinal Bassetti.
Eppure, molto congiura affinché tutta questa diversità interna, meglio sarebbe parlare di “ pulsioni” divaricate, sia invece superata grazie al fatto che etica e realtà sociale sono finite entrambe nel gorgo di una profonda temperie avviata da un liberismo sfrenato il quale ha fatto dell’individualismo e della polverizzazione del corpo comunitario la cifra più significativa.
Molto, dunque, c’è da indagare e capire affinché sia possibile tracciare una via il cui sbocco, in ogni caso, deve essere costituito dall’impegno di operare per il bene del Paese, perché altra giustificazione dei cristiani non avrebbero per un loro impegno organico ed organizzato.
Per cominciare ad approfondire le condizioni e le prospettive del nostro mondo presentiamo l’intervista realizzata con il professor Giuseppe Sacco, eminente studioso di problemi sociali, economici e politici.
Giancarlo Infante – Subito notata, all’indomani delle elezioni del 4 marzo, è stata la pressoché totale scomparsa di ogni movimento politico di ispirazione cristiana. E gli osservatori non sembrano averlo considerato come un evento sorprendente.
Giuseppe Sacco – Ed infatti non lo è. Perché negli ultimi dieci anni il voto cattolico è stato reso “invisibile” da sistemi elettorali maggioritari e bipolari. Ma ciò non vuole dire che esso abbia cessato di esistere. In tali sistemi, per dirla con parole assai semplici, “le estreme propongono e il centro dispone”. In altri termini, le regole elettorali portano più o meno forzatamente alla creazione di due blocchi, uno di destra ed uno di sinistra, e gli elettori moderati e di centro, come sono la maggior parte degli elettori cattolici, scelgono da quale lato spostare il pendolo del potere. E lo hanno fatto assai efficacemente dalla fine del secolo scorso, spostando la maggioranza da un campo all’altro ben cinque volte di seguito. Essi hanno cioè grande potere politico, anche quando non sono organizzati sotto forma di partiti, e non riescono a portare loro esponenti diretti nelle Assemblee.
Seggio elettorale
Giancarlo Infante – I Cattolici sono dunque un potere occulto?
Giuseppe Sacco – Niente affatto! I poteri occulti sono altri! I Cattolici sono una componente strutturale della società italiana, meno visibile di quando il sistema elettorale era in tutto o in parte proporzionale, e le forze politiche erano organizzate di conseguenza. Ma che solo politici improvvisati potrebbero pensare di non tenere in considerazione. Il loro peso politico è stato peraltro riconosciuto solo un paio d’anni fa dai due rami del Parlamento, quando – non certo per generosità dei partiti di una maggioranza che non si dichiarava apertamente ispirata dagli ideali cristiani – hanno congiuntamente eletto alla principale carica dello Stato un uomo politico cattolico, molto impegnato nel “sociale”. E la sua presenza e il suo influsso bastano a smentire il luogo comune secondo il quale i Cattolici non sarebbero più presenti nella vita politica italiana. Negli ultimi tempi poi, a partire dalle elezioni del 4 marzo, il Presidente Mattarella, dopo aver esercitato la carica per parecchi anni in maniera estremamente discreta e quasi in silenzio, è diventato molto più attivo e loquace.
Giancarlo Infante – Oggi ci sono però sintomi evidenti di un’inversione di tendenza. Di una sorta di crescente insoddisfazione del mondo cattolico per un ruolo esercitato in maniera così silenziosa. La domanda da cui vorrei partire è quindi relativa al ruolo che i Cattolici potranno ancora avere nella politica italiana.
Giuseppe Sacco – Poteva sembrare strano, subito dopo la crisi degli anni 90, che un giorno qualcuno in Italia potesse avere nostalgia della Democrazia Cristiana. Il disfacimento di quella che era stata la spina dorsale della democrazia italiana a partire dalla metà degli anni 40. era infatti avvenuto sotto un diluvio di critiche e di insulti. Ed in maniera così rapida e completa che non c’era stato neanche un formale atto di dissoluzione. Negli anni successivi, tuttavia, con la crisi ideologica e morale che si è venuta via via delineando come effetto di una globalizzazione/americanizzazione sempre più incontrollata, e con il declino delle identità collettive legato alla diffusione di un pesante relativismo culturale, era inevitabile che venisse riproposta la questione del ruolo dell’antico e profondo sostrato cristiano della cultura nazionale. E dalla Chiesa stessa è parso venire il suggerimento che il voto cattolico provi a farsi nuovamente sentire nel confuso bisticcio pseudo-politico che caratterizza da qualche anno la società italiana.
Giancarlo Infante – È possibile ipotizzare quanto chiara e forte sarebbe oggi questa voce?
Giuseppe Sacco – Bisogna prendere atto in primo luogo del fatto che l’Italia cattolica è molto divisa dal punto di vista politico. Un male certamente assai serio, ma la cui gravita va valutata sullo sfondo del momento storico-culturale mondiale, che vede tutto l’Occidente profondamente e inconciliabilmente spaccato al proprio interno: il che è soprattutto visibile negli Stati Uniti, già prima della comparsa di Trump.
Occorre poi considerare che nell’Italia fortemente secolarizzata di oggi, i Cattolici dichiarati possono ormai essere considerati una minoranza; cosa che l’establishment che si è consolidato al potere negli anni successivi a Tangentopoli non cessa di sottolineare attraverso i media, privati e soprattutto pubblici, che esso controlla in maniera assai stretta. Ma non c’è invece dubbio che per molti aspetti comportamentali, culturali ed etici il quadro sia più sfumato, che la de-cristianizzazione sia molto meno profonda che non in paesi come gli Stati Uniti, e che essa coinvolga solo alcuni aspetti dei comportamenti individuali e sociali.
Papa Benedetto XVI
Nel nostro paese mi sembra predomini oggi un cristianesimo, per così dire, “a bassa intensità”, che Benedetto XVI vedeva come un pericolo – e infatti disse che i cattolici tiepidi danneggiano la Chiesa – ma che nell’ultimo quinquennio ha fornito una larga base di consenso all’azione di Papa Francesco, molto al di la dell’ormai quasi scomparso “voto cattolico”. E vale la pena di aggiungere che i grandi rivali della religiosità, le cosiddette “fedi politiche” del secolo scorso – il socialismo e il liberalismo, ridotte come sono a pochi gruppuscoli e a molte logge – se la passano assai peggio, quanto a capacità di fornire orientamento ideale e politico. Anzi, la loro crisi accresce il numero di coloro che guardano ai principi del Cristianesimo come vitale punto di riferimento.
Giancarlo Infante – Ma una volta diventata più audibile, quali temi proporrebbe oggi la voce dei Cattolici in Italia? Quali aspirazioni e quali timori porterebbe in primo piano?
Giuseppe Sacco – Come è stato sottolineato di recente dal Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, i Cattolici sono presenti principalmente su due fronti. Da un lato ci sono quelli che interpretano l’impegno cristiano soprattutto come un impegno di solidarietà sociale, sia a favore degli Italiani più disagiati, sia – e forse soprattutto – a favore dei “dannati della Terra” che fuggono la fame e l’assenza di prospettive prevalente in Africa e in America Latina. Da l’altro ci sono quelli che sottolineano soprattutto i valori etici, e specificamente la morale individuale e familiare, oggi innegabilmente e fortemente minacciati dall’Americanizzazione del mondo. E non si può negare che effettivamente entrambi questi gruppi abbiano forte giustificazione e grande margine di azione.
Infatti, sotto la spinta di quella che negli anni 60 è stata chiamata la “rivoluzione sessuale” – e che dagli Stati Uniti è stata esportata in tutto il mondo attraverso la globalizzazione culturale – i valori che i Cristiani hanno sempre ritenuto intoccabili sono stati letteralmente rivoluzionati, e spesso capovolti, in particolare quelli legati alla famiglia e alla riproduzione, per non parlare di quelli che riguardano la vita, la morte, e addirittura l’immortalità.
Al tempo stesso – in particolare a partire dagli ultimi anni 70 – abbiamo assistito alla globalizzazione dei sistema produttivo, che ha portato ad una razionalizzazione su scala mondiale dell’uso delle risorse e ad un quarto di secolo di sviluppo senza inflazione, e quindi a grandi benefici per alcuni paesi un tempo molto poveri, come la Cina. Ma ciò è stato pagato, nei paesi dell’Occidente, con uno spaventoso aumento delle differenze tra ricchi e poveri. In questi paesi, che sono poi quelli dove il cristianesimo è più radicato, il divario sociale è aumentate in maniera abissale, mentre veniva bloccato il cosiddetto “ascensore sociale” e le classi sociali privilegiate hanno mostrato una chiara tendenza a irrigidirsi in caste, investendo non solo la sfera economica ma anche quella dell’accessibilità ai diritti fondamentali.
Per chi oggi si vuol dire Cristiano ci sono dunque enormi possibilità di impegno e di lotta su entrambi i fronti, quello dell’etica e quello della socialità.
Giancarlo Infante – Ciò implica che le divergenze di impegno politico tra Cattolici siano irreconciliabili?
Giuseppe Sacco – Non del tutto. Esistono anzi aree di azione collettiva in cui sarebbe molto utile, ed anche abbastanza semplice condurre un’azione coordinata e addirittura congiunta; ci sono, in pratica, questioni politiche su cui c’è una evidente sovrapposizione di interesse.
E’ infatti idea abbastanza condivisa che, per aiutare i gruppi e gli individui economicamente più deboli – preoccupazione primaria dei cattolici “sociali” – , sia indispensabile l’intervento dello Stato. E da ciò consegue la necessità di garantire la sopravvivenza delle istituzione della Repubblica, quali esse si sono sviluppate proprio nel periodo in cui i Cattolici erano la forza politica pre-eminente, di fronte alla forza distruttiva dalla cosiddetta “global governance”.
Bambini poveri
Ma non si deve credere che lo stesso non valga anche per realizzare i fini dei “cattolici etici”. Cioè che si possa fare a meno dell’intervento dello Stato per la protezione del diritto alla vita, e per la salvaguardia della famiglia di fronte all’ estremo individualismo economico ed edonistico che e diventato predominante a partire dagli anni in cui il ventesimo secolo era agonizzante. Anzi, per proteggere la maternità, tanto al momento della nascita, quanto nel corso dei lunghi anni in cui i bambini vanno assistiti ed accuditi, è indispensabile non solo un welfare state funzionante, ma anche un sistema giudiziario, di assistenza sociale e di pubblica sicurezza che impedisca casi come quello recente del padre degenere che – pur essendo stato condannato all’allontanamento dalla famiglia – ha facilmente ignorato le strutture di protezione che lo Stato avrebbe dovuto garantire, ed ha buttato la figlia di sei anni fuori dal balcone. Esempio peraltro insufficiente, perché la protezione della famiglia necessita di strutture pubbliche, mediche, assistenziali ed educative, assai più sofisticate che non la semplice garanzia della sicurezza fisica.
Giancarlo Infante – Sulla necessità che lo Stato italiano non si dissolva non mi sembra che ci siano divergenze tra i Cattolici.
Giuseppe Sacco – In teoria, no. Ma l’esplosione del primato dell’individuo e dei suoi diritti più egoistici ha fortemente coinvolto molti dei Cattolici impegnati nel sociale, e soprattutto i loro più intimi alleati. Basta vedere la trasformazione – che ha caratterizzato l’ultima parte del secolo scorso – delle sinistre italiane, da social-democratiche all’europea, a lobbies e a movimenti d’opinione “liberal” all’americana. Ciò ha esaltato il riconoscimento del diritto all’orgoglio” (pride) delle sempre più numerose “identità oppresse”, a scapito dei doveri verso le fasce più disagiate della società e dei diritti che possono essere protetti solo collettivamente. Ciò va chiaramente nel senso di una dissoluzione dello Stato moderno.
Per rendersi conto di come a livello internazionale venga promossa l’evanescenza degli Stati moderni, e di quanto questi si siano indeboliti non c’è bisogno di pensare ad un ex-Presidente della Georgia (post comunista e ormai indipendente), – una persona peraltro cresciuta e formatasi in America – che poco tempo dopo essere stato cacciata dal potere a Tiblisi è diventata governatore di una Provincia di un altro paese: di Odessa, in Ucraina. Basta pensare al caso di un ex-primo ministro francese che attualmente corre come Sindaco di Barcellona, aggiungendo un ulteriore tocco di incertezza ad un quadro di micro-sovranismo che potrebbe portare la Spagna ad un disfacimento simile a quello della Yugoslavia.
Giancarlo Infante – I due casi non mi sembrano veramente comparabili. Francia, Catalogna e Spagna sono inserite in un quadro europeo che non esisteva nel caso della Yugoslavia. E poi, l’Italia mi sembra in una condizione assai meno fragile di quella spagnola.
Giuseppe Sacco – Però anche l’Europa si è indebolita rispetto al secolo scorso. Da che poteva essere uno “stumbling bloc” – un elemento di protezione dell’Europa dagli effetti negativi della globalizzazione – essa è stata trasformata in un “building bloc”, una componente strutturale del processo di di costruzione di un mondo caratterizzato non più dalla convergenza dei popoli europei su alcuni grandi ideali comuni, bensì dal relativismo culturale e dal predominio dei grandi potentati economici sui poteri statuali democraticamente eletti.
Ed è perciò un fatto positivo che stia emergendo non solo la consapevolezza della necessità di una sorta di ritorno alle origini, ma anche una tendenza politica alla ricostruzione dell’Europa; da ultimo nelle elezioni bavaresi del 14 Ottobre, che hanno rafforzato la Cancelliera Merkel e le sue possibilità di operare al centro dello scacchiere politico (e forse anche di riprendere parte della intelligente politica migratoria del 2015) rispetto alla CSU, convinta – erroneamente, come si è visto – che per vincere bisognava rincorrere le posizioni anti-immigrazioniste di AfD.
Angela Merkel
Giancarlo Infante – Questa analisi poco convenzionale del voto bavarese, che personalmente condivido, richiederebbe però anche una valutazione del declino delle forze di ispirazione cristiana nel quadro pantedesco.
Giuseppe Sacco – Certo, i Tedeschi debbono prendere atto che anche in Germania sono finiti i bei tempi in cui un forte consenso delle forze cristiane garantiva, come si disse in Italia ad un certo punto “un progresso senza avventure”. Dopo la dura flessione dell’ala bavarese, i democristiani tedeschi dovranno (o, meglio, potranno utilmente) seguire ora una linea politica , sullo scacchiere europeo come su quello interno, ed una strategia di alleanze più articolata e dinamica. Essere meno maggioritari gli farà senz’altro del bene.
Giancarlo Infante – Si tratta di una situazione minoritaria ben diversa da quella italiana, anzi di una situazione quasi opposta.
Giuseppe Sacco – Assolutamente si. In Italia prendere atto del fatto che i cattolici sono ormai una minoranza sarebbe dal punto di vista politico un gesto in sé molto utile, perché spingerebbe ad unire le forze. Ma anche perché sarebbe una rottura intellettuale con il passato, con l’idea che l’Italia non avendo mai avuto guerre di religione, così come non hai mai conosciuto nella sua storia una vera rivoluzione, godrebbe – al di la della stessa frammentazione pre-risorgimentale – di una naturale unità cultural-religiosa, che invece in altri paesi europei è assai più incerta. Sapere che oggi siamo ormai divisi tra Cattolici a più o meno alta intensità, e indifferentisti-consumisti ci renderebbe forse più consapevoli della necessità di difenderla, la nostra unità, culturale, sociale, etica, ed anche politica contro i pericoli che in maniera crescente l’hanno minacciata negli ultimi venticinque anni.
Giancarlo Infante – Le gerarchie ecclesiastiche sembrano rendersi pienamente conto di questa necessità, ma il sentimento unitario è molto poco diffuso tra i cattolici impegnati in politica. E di recente uno dei più importanti giornali italiani, che è anche uno dei più indipendenti, ha argomentato che i cattolici non seguono in politica le indicazioni che vengono dagli ambienti ecclesiastici.
Giuseppe Sacco – Che Il comportamento elettorale dei cattolici italiani sia molto libero rispetto agli orientamenti della Chiesa è un fatto. Ma secondo me non si è prestato abbastanza attenzione alla verità reciproca; cioè al fatto che il comportamento della Chiesa è anche molto libero rispetto agli orientamenti dei cattolici impegnati in politica. E se ne è visto di recente un assai interessante esempio.
Giancarlo Infante – Per esempio?
Giuseppe Sacco – Per esempio nel caso il cui nave Diciotti si è trovata implicata, davanti al porto di Catania, in un braccio di ferro assai drammatico. La posta in gioco era altissima, essendosi Salvini infilato in una strada da cui rischiava di uscire soffrendo una grave umiliazione, e facendola soffrire anche al suo governo e a tutta la Repubblica italiana. Ma l’intervento della Chiesa è stato risolutivo. E molti hanno notato che all’offerta della CEI di farsi carico di quasi tutti i migranti bloccati sulla nave, si è unita anche la disponibilità a prenderne un numero non insignificante da parte del governo dell’Irlanda, paese in cui proprio in quei giorni era presente per una difficilissima ma importantissima missione, lo stesso Pontefice.