Con l’avvento di Trump alla Presidenza degli Stati Uniti, sarà un po’ più complicato, per noi italiani, coltivare ancora il sogno americano. Forse sarebbe più prudente cantare quella bella canzone di Lando Fiorini. “C’eravamo tanto amati”, un brano nostalgico e malinconico che parla di un amore ormai finito. Il  “sogno  americano”, soprattutto per i meridionali, potrebbe trasformarsi in un incubo, E questo grazie ai due più grandi istrioni della politica statunitense e cioè Trump e Musk, un binomio che qualcuno ha subito ribattezzato il fenomeno Trusk. La storia economica del Mezzogiorno viene ora riscritta, perchè segnata da due opposte visioni americane. Da un lato, il Piano Marshall, che contribuì alla ricostruzione e allo sviluppo del Sud; dall’altro, la Dottrina Trump, basata su dazi protezionistici che potrebbero infliggere un duro colpo all’economia meridionale.

Se il Piano Marshall rappresentò un’occasione di crescita e modernizzazione per Mezzogiorno, la “Dottrina Trump”, con l’ipotesi di tariffe doganali sulle merci italiane, rischia di essere un freno per l’export e un colpo per l’occupazione.

Subito dopo la Seconda guerra mondiale, il nostro paese, grazie al Piano Marshall, ricevette dagli Stati Uniti circa 1,5 miliardi di dollari, di cui una parte significativa destinata al Mezzogiorno. Questi aiuti permisero di modernizzare l’agricoltura e ridurre il divario tecnologico con il Nord; di costruire infrastrutture essenziali, come strade e ferrovie, migliorando la connessione tra le regioni meridionali e il resto del paese; e infine favorirono l’industrializzazione attraverso investimenti in energia e manifattura, con il ruolo chiave della Cassa per il Mezzogiorno. Grazie a questi interventi, il Sud riuscì a inserirsi in un circuito di sviluppo che, pur con molte difficoltà e disuguaglianze, portò a un miglioramento delle condizioni economiche e sociali della popolazione.

La Dottrina Trump, se attuata sul serio, sarebbe un grosso guaio per il Sud. Infatti, mentre  il Piano Marshall, insieme agli interventi della CasMez, spinsero la crescita delle Regioni meridionali, la possibile reintroduzione dei dazi americani sulle merci italiane rischia di avere l’effetto opposto. Il protezionismo di Trump mira a difendere il mercato interno degli Stati Uniti, penalizzando le importazioni e colpendo settori strategici per l’export italiano, con gravi conseguenze per il Mezzogiorno.  E allora, vediamoli un pò più nel dettaglio i danni  che potrebbe ricevere il Sud.

Secondo le stime della SVIMEZ, l’eventuale introduzione di dazi del 20% potrebbe comportare una riduzione delle esportazioni del Mezzogiorno verso gli Stati Uniti del 9,3%, pari a circa 800 milioni di euro. Una perdita significativa che andrebbe a colpire settori strategici come la produzione di olio extravergine, pasta, salumi e vino, tutti prodotti fortemente richiesti dal mercato americano.

L’esperienza dei dazi imposti dall’amministrazione Trump nel 2020 è un precedente che fa riflettere. In quell’occasione, solo il settore caseario italiano subì una contrazione dell’export di oltre 6.000 tonnellate, per un valore di 65 milioni di euro. Se misure simili venissero reintrodotte, il comparto agroalimentare meridionale rischierebbe di essere uno dei più colpiti.

Le conseguenze di una guerra commerciale tra Italia e Stati Uniti non riguarderebbero solo le imprese esportatrici, ma avrebbero ripercussioni più ampie sull’intera economia meridionale. Secondo alcune analisi, un aumento generalizzato dei dazi al 20% potrebbe portare a una contrazione del PIL italiano di circa 3,8 miliardi di euro. Se consideriamo che il Mezzogiorno rappresenta una quota significativa dell’export agroalimentare nazionale, è evidente che una fetta consistente di questa perdita peserebbe sulle regioni del Sud.

Non solo PIL, ma anche lavoro: l’introduzione di dazi potrebbe mettere a rischio fino a 54.000 posti di lavoro in tutta Italia, con un impatto particolarmente significativo nel Sud, dove molte imprese esportatrici sono di piccole e medie dimensioni e hanno meno margine per assorbire aumenti di costi e cali di vendite. E infine, si determinerebbe un effetto a catena sull’intera economia. Una riduzione dell’export significa minori entrate per le aziende, meno investimenti e una crescita più debole, in un contesto in cui il Mezzogiorno soffre già di una cronica fragilità economica.

Tanto premesso, non resta che interrogarci su  che tipo di relazioni si prospettano con gli Stati Uniti. Passiamo dalla cooperazione al conflitto commerciale? A ben considerare, c’è un abisso tra il Piano Marshall e la Dottrina Trump. Il primo favoriva l’integrazione economica e la crescita del Mezzogiorno attraverso investimenti e collaborazione internazionale. Il secondo tende a chiudere il mercato americano, ostacolando le esportazioni italiane e meridionali. Mentre nel dopoguerra gli Stati Uniti vedevano nel Mezzogiorno un’area da sviluppare per stabilizzare politicamente ed economicamente l’Italia, oggi rischiano di trasformarlo in una vittima delle guerre commerciali globali.

Per concludere, se il Piano Marshall fu un’opportunità storica che aiutò il Sud a crescere, la Dottrina Trump rappresenta una minaccia per la sua tenuta economica e sociale. L’Italia e il Mezzogiorno in particolare, devono attivarsi per contrastare queste misure protezionistiche, puntando su diplomazia economica, diversificazione dei mercati e maggiore integrazione con l’Europa. Tutto questo, per evitare che un nuovo protezionismo americano diventi non solo un “grosso guaio” per l’ Italia ma anche una “grande fregatura” per il nostro Mezzogiorno.

Michele Rutigliano

 

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