Se Romano Guardini fosse ancora tra noi, troverebbe oggi un’università interessata ad affidargli una cattedra di “Weltanschauung cattolica”, materia che insegnò a Berlino dal 1923 al 1939 e successivamente a Tubinga ed a Monaco?

Nella società della secolarizzazione compiuta – che pur comincia ad interrogarsi su limiti e contraddizioni che, qua e là, affiorano nel suo seno – è ancora possibile ed ha senso, è utile ed opportuno, magari addirittura necessario coltivare una “visione” cristiana dell’ uomo, della vita e della storia? O non si tratta, forse, di un anacronismo?
E, se mai, come si puo’ preservare questa attitudine – oppure si tratta, forse, di una pretesa fuori luogo? – nella stagione di un acclarato pluralismo politico dei cattolici? Accentuato dal fatto che, ospiti dell’uno e dell’altro degli schieramenti del sistema bipolare, anziché favorire, su ambedue i versanti, almeno una reciproca legittimazione delle parti, hanno dovuto, al contrario, subire e soffrire la loro crescente ed estrema polarizzazione, in tal modo indotti a divaricare, a maggior ragione, le rispettive posizioni? Poiché votano e continueranno a votare chi a destra, chi a sinistra oppure ad astenersi e dal momento che tale difformità concerne il piano della parzialità della politica, devono necessariamente rattrappirsi in questa postura divisiva oppure c’ è un piano sovraordinato all’ opinabilità ed alla quotidiana contingenza dei programmi, sul quale possano sviluppare un comune impegno di discernimento di quelli che una volta si chiamavano i “segni del tempo”?

In altri termini, dato per acquisito il loro pluralismo politico, senza mettere in campo tentativi incrociati di proselitismo, è possibile che i cattolici trovino un luogo disarmato in cui dialogare e congiuntamente prendere coscienza dei capisaldi – necessariamente comuni in quanto vitalmente connessi alla fede condivisa – di una “visione” cristiana delle cose del mondo che poi, scendendo per li rami, pur dia luogo a differenti declinazioni progettuali e programmatiche? Ed un tale confronto è destinato a restare un fatto meramente accademico oppure, pur approdando a differenti appartenenze immediatamente politico-partitiche, puo’ condurre ad un reciproco rasserenamento che renda meno “oppositive”, pur permanendo nella loro articolazione plurale, le rispettive posizioni, altresì proiettando, forse, sul complessivo discorso pubblico, una modalità di confronto meno pregiudiziale e tassativa, perfino piu’ dialogica?

Questo luogo “disarmato” può essere rappresentato dalla “Rete” che, a Trieste, ha preso le mosse dalla Settimana Sociale dello scorso luglio, cosicché la sua “trasversalità”, anziché apparire uno spazio di sostanziale indeterminatezza, diventi, in certo qual modo, una risorsa al di la’ della stessa area cattolica, un’opportunità per il Paese come tale, in funzione della riscoperta di una dialettica meno pregiudiziale? E quali sono questi possibili capisaldi che ben difficilmente i cattolici non possono non condividere?

Non sono pochi ed intanto se ne possono indicare almeno tre che poi meriterebbero di essere sviluppati singolarmente:
– la vita e’ un “dono” che implica una relazione originaria e fondativa con un’ “alterità”, tale da suscitare un sentimento di meraviglia e di gratitudine? Oppure è qualcosa di autoreferenziale, tale per cui puo’ essere posseduta e posta nella totale disponibilità del soggetto?

– liberta’ e’ sinonimo di “autodeterminazione” ed in quest’ ultima si risolve oppure e’ un “bene di relazione” che va ben oltre?
– la storia consta di un succedersi di eventi che, a prescindere dalla connessione temporale, sono sostanzialmente sgranati e caotici e da cui non si evince un senso compiuto? Oppure, è, al contrario, imprigionata e costretta dentro una spirale ideologica, preordinata ed obbligata? O non è, piuttosto, un processo aperto, affidato alla nostra responsabilità, che, peraltro, dà conto di una intenzione che la percorre e la orienta, pur nel pieno rispetto della nostra libertà?

A prima vista, può sembra sembrare che si tratti di filosofemi astratti, di questioni lontane dal pulsare affannoso della vita quotidiana, ma non è così. Se i cattolici riuscissero a ricostruire questo ethos comune avrebbero ben altro peso, anche dal punto di vista politico, nel tempo che ci è dato da vivere.

Domenico Galbiati

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