La centralità assunta dalla tematica dei diritti umani nell’ambito dell’Ordinamento internazionale; l’interazione, sempre più accentuata, tra la dimensione internazionale della protezione dei diritti umani ed i segmenti dell’esperienza giuridica statale rilevanti al riguardo; l’ampiezza e l’attualità del dibattito in tema di diritti umani, meritano un doveroso approfondimento sulla base degli accadimenti quotidiani che ne mettono in dubbio l’attuale efficacia.

In particolare, i recenti conflitti, legati a rivendicazioni territoriali ed alla autonomia dei Popoli coinvolti, rendono necessario un richiamo ai principi fondamentali che minano alla base i Trattati Internazionali sottoscritti dai Paesi aderenti all’ONU e le ragioni che ne costituiscono il suo presupposto fondamentale come luogo di composizione delle dispute tra gli Stati.

A tal fine volendo riassumerne il contenuto dei Diritti Umani, essi sono costituiti da

·         Diritti Umani e diritti dei Popoli,

·         Autodeterminazione dei Popoli

·         Diritti delle minoranze etniche,

  1. Diritti umani e diritti dei popoli

I diritti umani e i diritti dei Popoli sono oggi riconosciuti dal diritto internazionale. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del l948 all’art 1 stabilisce che il rispetto dei diritti umani e dell’autodeterminazione dei Popoli costituisce uno dei compiti principali delle Nazioni Unite.

I due Patti internazionali del 1966, rispettivamente sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali, contengono norme giuridiche vincolanti sul piano mondiale insieme con altri strumenti quali le Convenzioni regionali europea, interamericana e africana, la Convenzione contro la discriminazione, la Convenzione contro la tortura, la Convenzione sui diritti dell’infanzia, che costituiscono le fonti del diritto internazionale dei diritti umani, che è un diritto completamente nuovo.

L’Atto finale di Helsinki del 1975, che è un importante accordo politico ma non un accordo giuridico in senso formale, recepisce le norme internazionali sui diritti umani e sull’autodeterminazione (v. principi VII e VIII).

Le norme giuridiche internazionali riconoscono che ogni essere umano ha diritti innati, quindi inviolabili, inalienabili e imprescrittibili, che preesistono dunque alla legge scritta.

I principali principi sono: il principio di vita; il principio di eguaglianza degli individui e dei popoli; il principio di pace; il principio di solidarietà; il principio di giustizia sociale; il principio di democrazia.

Un principio fondamentale è quello di interdipendenza e indivisibilità di tutti i diritti umani: civili, politici, economici, sociali, culturali; individuali e collettivi; dell’essere umano e dei popoli (…).

Alcuni diritti innati (all’esistenza, all’identità, all’autodeterminazione) sono riconosciuti anche alle comunità umane che hanno il carattere di Popolo.

Le norme giuridiche internazionali sui diritti umani rafforzano il principio della soluzione pacifica delle dispute e quello del divieto dell’uso della forza stabilito dai paragrafi 3 e 4 dell’art. 2 della Carta delle Nazioni Unite.

Esse stabiliscono il principio di autorità sopranazionale, come necessario per allestire e far funzionare efficacemente una appropriata struttura internazionale di garanzia.

In conformità con queste norme e principi, il principio di Sovranità degli Stati e di non ingerenza negli affari interni cede al principio di Sovranità dell’essere umano e della famiglia umana universale.

E’ pertanto coerente con la ratio delle norme giuridiche sui diritti umani il principio di ingerenza pacifica negli affari interni, come chiarito dallo Institut de Droit International (Risoluzione di Santiago de Compostela del 13.09.1989), dal Parlamento europeo (Risoluzione sui diritti umani nel mondo nel 1989 e 1990 e sulla politica comunitaria dei diritti dell’uomo, del 1991), dalla CSCE (Documento conclusivo della Conferenza sulla dimensione umana, Mosca 4 ottobre 1991), dal Consiglio di sicurezza (Risoluzione 688 dell’aprile 1991 per l’intervento umanitario a favore dei Kurdi)

Sul punto l’art. 2,7 della Carta delle Nazioni Unite, che fa divieto di interferire negli affari interni degli Stati, di fatto è stato abrogato dalle norme sui diritti umani quando si tratti di materia attinente alla “dimensione umana”.

I diritti degli Stati sono, pertanto, subordinati a questi principi fondamentali e laddove esista un contrasto tra diritti umani internazionalmente riconosciuti e diritti degli Stati, i primi devono prevalere e , affinché non si creino conflitti, occorre che le Istituzioni internazionali si adeguino.

Il nuovo diritto internazionale costituisce ancora un corpo separato di principi e di norme ancora alla ricerca della sua effettività.

In questo momento è in atto la lotta tra vecchio e nuovo diritto internazionale, tra diritto delle sovranità statali armate e diritto dell’umanità.

Il dibattito sul “nuovo ordine mondiale” sottende questa contrapposizione r ne costituisce l’ostacolo più evidente alla sua realizzazione. .

Negli ultimi tempi, ed in presenza di gravi conflitti bellici, l’opposizione a una ONU con autorità e potere sopranazionali e a un sistema paneuropeo di integrazione sopranazionale è costituita dai sostenitori che preferiscono forme di organizza zione “intergovernativa” e “multinazionale” delle relazioni internazionali e restano fedeli al concetto di sicurezza nazionale armata e quindi di statualità nazionale armata con effetti sulle popolazioni coinvolte..

Per contro il nuovo diritto è alla ricerca di convinti sostenitori costituiti da soggetti individuali e collettivi che credono nei valori umani e agiscono per la umanizza zione dei sistemi politici, legali, economici, nell’ambito dell’ONU che politicamente significa democratico e nonviolento, secondo l’art. 28 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che sancisce:

“Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati”.

  1. Il diritto di autodeterminazione dei Popoli

Il tema dell’autodeterminazione dei Popoli va affrontato alla luce di questi concetti e di questi principi, tenendo soprattutto conto del fatto che il nuovo diritto internazionale dei diritti umani ha una ratio che è completamente diversa da quella tradizionale  che è un diritto interstatuale.

L’Atto finale di Helsinki recepisce i principi di questo nuovo diritto con i principi VII e VIII e li pone in relazione con i principi del diritto interstatuale, in particolare con il diritto degli Stati alla integrità territoriale sulla base dei seguenti principi:

  1. primato dei diritti umani rispetto ai diritti degli Stati;
  2. principio di soluzione pacifica delle controversie internazionali;
  3. principio del divieto dell’uso della forza;
  4. principio di cittadinanza planetaria;
  5. principio di autorità internazionale;
  6. principio di ingerenza attiva negli affari interni;
  7. principio di sicurezza collettiva internazionale;
  8. principio di democrazia, interna e internazionale;
  9. principio di eguaglianza dei Popoli.

In base al diritto internazionale dei diritti umani, il soggetto titolare del diritto all’autodeterminazione è il Popolo come soggetto distinto dallo Stato.

Tuttavia, in nessuna norma giuridica internazionale c’è la definizione di Popolo. Per il concetto di Popolo bisogna pertanto riferirsi a documenti ufficiali o semi-ufficiali privi di carattere giuridico.

Un recente Rapporto dell’Unesco (Doc. SHS- 89/CONF. 602/7, Parigi, 22.02.1990) definisce il Popolo come:

  1. un gruppo di esseri umani che hanno in comune numerose o la totalità delle seguenti caratteristiche:
    a. una tradizione storica comune;
    b. una identità razziale o etnica;
    c. una omogeneità culturale;
    d. una identità linguistica;
    e. affinità religiose o ideologiche;
    f. legami territoriali;
    g. una vita economica comune;
  2. il gruppo, senza bisogno che sia numericamente considerevole (per es., popolazione dei micro stati), deve essere più che una semplice associazione di individui in seno ad uno stato;
  3. il gruppo in quanto tale deve desiderare di essere identificato come un popolo o avere coscienza di essere un popolo -restando inteso che gruppi o membri di questi gruppi, pur condividendo le caratteristiche sopra indicate, possono non avere questa volontà o questa coscienza; e eventualmente
  4. il gruppo deve avere istituzioni o altri mezzi per esprimere le proprie caratteristiche comuni e il suo desiderio di identità”.
  5. Gros Espiell, uno dei maggiori esperti in materia, definisce come un Popolo “qualsiasi particolare comunità umana unita dalla coscienza e dalla volontà di costituire una unità capace di agire in vista di un avvenire comune (…)”.

Dunque, due sono gli elementi fondamentali che fanno un popolo e lo distinguono da altri tipi di comunità umane, quali le minoranze etniche, linguistiche o culturali e quelle comunità che nei documenti delle Nazioni Unite vengono denominate popolazioni autoctone: a) l’esistenza di un comune patrimonio culturale; b) l’esistenza di un comune progetto di futuro politico, la cui realizzazione comporti l’esercizio del diritto all’autodeterminazione.

  1. Il contenuto del diritto all’autodeterminazione

Il “principio” di autodeterminazione dei Popoli è sancito dagli articoli 1, par. 2, 55 e 76 della Carta delle Nazioni Unite.

Questo “principio” è divenuto “diritto umano”, formalmente riconosciuto a tutti i Popoli, in virtù dell’identico articolo l dei due Patti internazionali sui diritti umani del l966: “l. Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono libera mente il loro sviluppo economico, sociale e culturale. (…) 3. Gli Stati,(…), debbono promuovere l’attuazione del diritto di autodeterminazione dei Popoli e rispettare tale diritto, in conformità alle disposizioni dello statuto delle Nazioni Unite”.

L’Atto finale di Helsinki riconosce il diritto di autodeterminazione al principio VIII:

“Gli Stati partecipanti rispettano l’eguaglianza dei diritti dei popoli e il loro diritto all’autodeterminazione, (…)”.

L’articolo l, par. 2 della Dichiarazione delle Nazioni Unite sul diritto allo sviluppo, del 1986, richiamando espressamente l’articolo i due Patti internazionali del l966, stabilisce che: “Il diritto umano allo sviluppo implica anche la piena realizzazione del diritto dei popoli all’autodeterminazione”.

La Dichiarazione Universale dei diritti dei popoli (Carta di Algeri, l976), che è un importante atto politico non governativo, stabilisce all’articolo 5 che “Ogni popolo ha il diritto imprescrittibile e inalienabile all’autodeterminazione”. Al di fuori dell’ipotesi di accessione all’indipendenza dei popoli e territori non autonomi (che sono attualmente 19),l’esercizio dell’autodeterminazione esterna comporta sempre mutamenti territoriali e modifiche di confini che, ai sensi del vecchio diritto internazionale, costituirebbero viola zione del principio di integrità territoriale degli Stati.

La rivendicazione del diritto di autodeterminazione, soprattutto esterna, è causa di conflitti anche armati.

In via generale, la prima risposta dello Stato preesistente è la repressione del movimento popolare e l’iniziale atteggiamento degli stati terzi è conforme al principio di non ingerenza. Successivamente, nella maggior parte dei casi, il conflitto che aveva una dimensione interna tende a divenire internazionale.

Tuttavia,il diritto internazionale dei diritti umani riconosce il diritto di autodeterminazione senza apprestare un adeguato sistema di garanzia, in analogia a quanto disposto per i diritti umani individuali e, tra l’altro, non è prevista la possibilità di “comunicazione collettiva” presso l’apposito Comitato dei diritti umani in virtù dell’articolo 28 del Patto internazionale sui diritti civili e politici.

  1. La realizzazione pacifica del diritto all’autodeterminazione

Il diritto di autodeterminazione è un diritto “rivoluzionario” e questo significa che finché c’è un Popolo c’è un diritto di autodeterminazione (…).

Occorre chiedersi, tuttavia, siccome il processo di autodeterminazione, nel sistema internazionale contemporaneo genera conflitti armati e sfocia nella creazione di nuovi Stati nazionali sovrani ed armati, quale sia la ragione dell’aumento del pericolo di conflittualità armata. Bisogna, quindi, preoccuparsi di individuare specifiche misure di garanzia di questo diritto, perché il suo esercizio avvenga in modo pacifico.

Gli strumenti di garanzia non possono limitarsi soltanto a misure quali ‘comunica zioni collettive’ ai Comitati delle Nazioni Unite e ricorsi a Corti internazionali, ma essa comporta appropriati sistemi di sicurezza internazionale nel quadro di una strategia per un nuovo ordine internazionale democratico fondato sui principi innanzi richiamati.

Si tratta di coniugare insieme indipendenza politica territoriale, disarmo, integrazione con la sicurezza internazionale.

Affinché l’esercizio del diritto all’autodeterminazione sia legittimo, occorre che la comunità umana interessata abbia la natura di Popolo e rispetti le seguenti condizioni:

  1. fare immediato, esplicito riferimento al diritto internazionale dei diritti umani;
  2. mettersi subito sotto l’autorità sopranazionale delle Nazioni Unite e delle istituzioni regionali a queste coordinate;
  3. non usare la violenza, ma gli strumenti propri del metodo democratico: negoziato, referendum, plebiscito, elezioni, ecc.;
  4. rispettare tutti i diritti umani, in particolare i diritti delle minoranze;
  5. impegnarsi che la eventuale nuova entità territoriale non sia armata;
  6. darsi una costituzione democratica che riconosca esplicitamente il primato del diritto internazionale dei diritti umani;
  7. aderire subito ad un sistema di integrazione internazionale.

La comunità internazionale, nell’esigere il rispetto di queste condizioni, deve a sua volta adempiere ai seguenti impegni:

  1. promuovere l’approccio “diritti umani e democrazia” per i processi di autodeterminazione;
  2. essere subito presente, con una propria struttura di monitoraggio e di dialogo, nel tessuto sociale e politico del territorio interessato alla autodeterminazione per favorire l’uso degli strumenti democratici e l’internazionalizzazione del caso.
  3. I diritti delle minoranze etniche

Gli strumenti giuridici internazionali non riconoscono il diritti delle minoranze in quanto soggetti collettivi, ma taluni diritti umani degli individui appartenenti a tali minoranze.

Su questo tema, la norma più importante è l’articolo 27 del Patto internazionale sui diritti civili e politici: “In quegli Stati, nei quali esistono minoranze etniche, religiose, o linguistiche , gli individui appartenenti a tali minoranze non possono essere privati del diritto di avere una vita culturale propria, di professare e praticare la propria religione, o di usare la propria lingua, in comune con gli altri membri del proprio gruppo”.

I diritti dei membri di minoranze finora riconosciuti sono dunque: diritti culturali, diritti relativi alle pratiche religiose, diritti relativi all’uso della lingua senza alcun riferimento a forme di autonomia territoriale.

Secondo una interpretazione corrente, l’obbligo degli Stati in rapporto all’articolo 27 sarebbe quello di tutelare le minoranze con adeguate previsioni normative, sopra tutto quelle relative all’insegnamento, all’educazione e all’informazione, nelle Costituzioni o in leggi ad hoc o con provvedimenti amministrativi.

Spesso, nel caso delle minoranze, ad essere violati sono numerosi altri diritti umani riconosciuti agli individui in quanto esseri umani.

La definizione di minoranza più accreditata in sede ufficiale è quella contenuta nel Rapporto speciale della Commissione delle Nazioni Unite per la lotta contro la discriminazione e la protezione delle minoranze intitolato “Etude des droits des personnes appartenant aux minorités ethniques, religieuses et linguistiques” elaborato da Francesco Capotorti nel l977.

Col termine “minoranza” viene designato un gruppo che è “numericamente inferiore al resto della popolazione di uno stato, in una posizione non-dominante, i cui membri, cittadini dello Stato, posseggono caratteristiche etniche, religiose o linguistiche che differiscono da quelle del resto della popolazione e mostrano, quanto meno implicitamente, un senso di solidarietà inteso a preservare la loro cultura, tradizioni, religione o lingua” (par. 568).

Il problema dei diritti delle minoranze si complica quando la cosiddetta minoranza di uno Stato oltre alla richiesta di non discriminazione avanza la domanda, più o meno esplicita, di autonomia territoriale o addirittura di autodeterminazione.

Il grosso nodo da sciogliere è costituito da situazioni in cui sullo stesso territorio, all’interno di uno Stato, sono compresenti più minoranze o micro nazionalità:

Per ambedue i casi, ferma restando la necessità di riconoscere e tutelare i diritti delle minoranze in quanto soggetti collettivi, valgono in prima approssimazione le previsioni contenute nel Documento conclusivo della Conferenza della CSCE sulla dimensione umana di Copenaghen (giugno 1990), e cioè che i membri di una minoranza hanno innanzitutto il diritto di esercitare pienamente e effettivamente i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali senza discriminazione alcuna (par. 31 e 32).

Per i casi di compresenza di più minoranze o gruppi etnici o micro nazionalità sullo stesso territorio, la soluzione che si ipotizza come la più razionale é la “trans nazionalizzazione” del territorio interessato dentro il territorio principale dello stato di appartenenza, cioè la creazione di “territori transnazionali” che costituiscono una nuova figura giuridica di entità territoriale, che traduce la compenetrazione fra interno ed esterno anche in termini di istituzioni territoriali.

Il territorio transnazionale è un territorio che, per il fatto di essere abitato da più minoranze o gruppi etnici, è assunto essere ‘bene comune dell’umanità’ dal punto di vista geo – antropologico.

In altre parole, la multietnicità, la multirazzialità, la multiculturalità sono “risorse di pace” per il Mondo intero.

Per concludere, nell’era dell’interdipendenza planetaria, della organizzazione internazionale, dei diritti dell’uomo e dei Popoli, bisogna pensare a forme nuove di statualità, che superino la logica del ‘confine’ e della ‘sovranità armata’.

Eventuali nuove entità territoriali indipendenti devono essere non armate e, quindi, devono essere garantite all’interno di un sistema di sicurezza collettiva internazionale, ossia, il sistema delle Nazioni Unite democraticamente partecipato e sistemi regionali direttamente collegati alle Nazioni Unite..

“Nonostante oltre due millenni di filosofia, scrittura, scienza, studi, politica e religioni organizzate niente è dunque cambiato nello spirito ferino del Sapiens quando si tratta di distruggere il nemico con la morte e, soprattutto, con l’esibizione della ferocia senza pietà.

In compenso, oltre due millenni di filosofia, politica eccetera ci hanno dotati del giudizio etico e anche di strumenti giuridici per condannare i colpevoli: moralmente e concreta mente…” Giordano Bruno Guerri.

Mario Pavone

 

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