E’ un po’ come se la navetta del 20 settembre che recava a bordo i leader di tutti i partiti, di maggioranza o di opposizione che fossero, sia uscita di strada e scivolata giù per un dirupo. Ne sono usciti tutti ammaccati, qualcuno gravemente ferito, altri addirittura in coma, salvo Zingaretti incolume e, più che vincitore, “miracolato”. Al di là dell’esame particolareggiato del voto attribuito ai singoli partiti, vanno rilevati alcuni elementi di “sistema”, che andranno poi, uno per uno, approfonditi.
1 – Anzitutto, la pandemia ha lasciato il segno. La ricreazione è finita; non è più il momento di rubarsi l’un l’altro la merendina. E’ subentrato un sentimento nuovo, di preoccupazione e di maggiore riflessività. Un conto è la politica; altra cosa la movida ed i capi della caciara vanno giusto bene per quel po’ di folklore che, nello stordimento della calura estiva, anche la politica può concedersi al Papeete. Il Governo è una cariola che cigola, eppure va avanti ed i “magnifici e progressivi destini” del governo Draghi che molti vagheggiavano, senza rendersi conto quanto sia alto, in un frangente del genere, il rischio buttar via con l’acqua sporca anche il bambino, non è più di attualità.
2 – Gli italiani votano meno di quanto non facessero negli anni della cosiddetta “prima Repubblica”, l’ astensionismo dilaga, eppure la politica ce l’hanno nel sangue e, in un certo senso, quelli che ci credono sfidano anche il virus pur di recarsi alle urne. Sarebbe interessante conoscere la composizione per fasce d’età di questo elettorato, magari per scoprire che il senso civico ed il dovere della partecipazione è più vivo negli anziani, cioè in coloro che sono abbastanza attempati da ricordare di aver conosciuto la politica quand’era una cosa seria. I giovani non hanno colpa, ma per loro è come studiare e cercare di essere promossi pur passando l’ intero anno scolastico dietro la lavagna.
3 -Salvo un paio, pressoché tutti i partiti sono percorsi da un frazionismo intestino che denota come ognuno abbia ancora problemi con la propria identità, come gli adolescenti che aspettano che gli cresca la prima barba e si preoccupano quando invece a comparire sono piuttosto i brufoli tipici di quell’età. Insomma, se il nostro sistema partitico fosse, nel suo, insieme, un bolide di Formula 1, avrebbe, perlomeno, un problema di pneumatici e di aderenza al l’asfalto della pista. Dovremmo, addirittura, chiederci – soprattutto per alcuni – fino a che punto si tratti davvero di “partiti”, nel senso classico del termine, o non piuttosto di “aggregati elettorali”, variamente impastati.
4 – Un altro tratto che si va imponendo come caratteristico del sistema, è rappresentato dal “cesarismo” dei cosiddetti “governatori”. Le Regioni rischiano di diventare la palestra in cui si allena e si fa davvero i muscoli un “sovranismo” addirittura casereccio che ci risospinge verso una nuova Italia delle Signore. Raccogliamo i frutti amari di quella cultura secessionista che ha pervertito il valore della autonomie, imprescindibile per un Paese come il nostro. Mancano i “vigilanti” o le compagnie di ventura poste a sigillare i confini di questa o quella Regione, eppure qualcuno vi accenna.
Torna d’attualità la lezione di Sturzo, che pur va ripensata e ricollocata nel tempo storico dato. L’Italia è troppo ricca di memoria, di storia e di storie, di culture locali, di articolazioni di ogni genere per essere costretta da lacci soffocanti. Non sopporta il corsetto del bipolarismo, soffre la camicia di forza di un centralismo statale che non sta nelle nostre corde.
L’Italia ha bisogno di respirare. O le garantiamo questa ventilazione o se la procura da sola, a costo di farsi a pezzi.
Questo tema delicatissimo dei multipli e sottomultipi dell’unità nazionale, cioè, per un verso, del rapporto del nostro Paese con l’Europa e, per altro verso, della relazione tra Governo centrale e Regioni, va assolutamente presidiato nei termini di un’alta cultura delle istituzioni e sottratto alle scorribande del qualunquismo.
5 – Gli italiani stanno sempre più imparando ad “usare” i partiti. Sanno separare quasi chirurgicamente la protesta dalla proposta. Ce l’hanno con la “casta” e schiacciano a terra la palla del qualunquismo anti-parlamentare sollevata dai “grillini”, ma poi se ne guardano bene dal farsi uccellare una seconda volta da costoro e poco meno li azzerano o quasi nelle elezioni regionali. Gonfiano Salvini quando si tratta di esorcizzare le loro paure, ma poi quando si fa serio votano Zaia e mollano il Capitano a costo di consegnare la Puglia ad Emiliano che il tracollo leghista ha largamente favorito. Questa medaglia su una faccia mostra, in definitiva, una maturità incoraggiante dell’elettorato, sull’altura segnala una sostanziale incapacità’ delle forze politiche di guidare i processi, sulle cui onde tutt’al più galleggiano.
6 – Sotto la crosta del “nuovo” che si va da decenni accumulando su sé stessa, a riprova della “durata” delle culture politiche storicamente consolidate, vi sono, anche questa volta, tracce evidenti di tenuta del mondo antico, dei relativi apparati, delle rinverdire passioni di una memoria storica che in Toscana, come è successo qualche mese fa a Bologna, al momento del dunque, non cede il passo alla destra.
E’ vera gloria quella di Zingaretti che vince con due “battitori liberi” che fan da sé come Emiliano e De Luca ed in Toscana ce la fa grazie al mestiere di una sperimentata rete di relazioni e di poteri locali che hanno dovuto supplire anche alla clamorosa inconsistenza, nella stessa città di Firenze, del fu-Giglio Magico? Forse i risultati dei 1000 comuni al voto ci diranno qualcosa di più preciso anche in proposito.
Domenico Galbiati

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