A quanto pare, perfino l’armonia e la pace del Natale, di questi tempi, può’ essere impunemente violata da una politica rozza, intemperante, gonfia di una arroganza pari solo all’ incompetenza che la nutre.

Il ministro Fioramonti – emulo e competitor di Toninelli nella rincorsa alle gaffes – si è dimesso, il giorno stesso di Natale, dal Ministero di Viale Trastevere e la cosa sarebbe in ogni caso confortante, se non fosse l’occasione di un ulteriore vigoroso strappo nella ragnatela del Movimento Cinque Stelle.

Peraltro, in coerenza allo spirito delle origini, parrebbe che il gesto del Ministro – che precederebbe la creazione di un nuovo gruppo parlamentare di fuoriusciti dal M5S – sia accompagnato da un caloroso “vaffa” nei confronti del “capo politico” Di Maio.

Al quale, peraltro – niente po’ po’ di meno che “anche” titolare della Farnesina – andrebbe ricordato come, in politica, non meno che sul piano professionale o sociale, le ambizioni siano tutte legittime, ad una condizione: che l’altezza dell’asticella sia ben proporzionata alla capacita e alla effettiva autorevolezza necessaria a ricoprire il ruolo agognato.

Nel caso del politico, questa valutazione andrebbe fatta, anzitutto, dallo stesso interessato. Infatti, i suoi comportamenti hanno rilevanza pubblica, inducono esiti che ricadono sulle generalità della popolazione ed il prezzo dell’approssimazione, dell’incompetenza, dell’improvvisazione è spesso grave, cosicché l’inettitudine del politico, puntualmente sanzionata sul piano del consenso elettorale – come succede a Di Maio, da quando è a capo del suo Movimento – è anche immorale.

Dignità vorrebbe che chi si trovasse in simili condizioni, facesse venir meno la propria ingombrante presenza, soprattutto dopo aver perso il rassicurante “spirito-guida” di Salvini, nei cui confronti aveva sviluppato una sorta di “sindrome di Stoccolma”.  Invece, il Nostro, anche a fronte dello sfarinamento del suo Movimento, continua a vivere nell’atmosfera rarefatta e suadente di quel perenne sorriso che gli illumina il viso ogni qual volta una telecamera lo inquadra e gli dà modo di edificarci con l’ ennesima dichiarazione.

Il Ministro dell’Istruzione probabilmente si sente l’intemerato testimone e custode della purezza delle origini, cioè, in qualche misura, compie un gesto che – almeno all’interno del suo Movimento – intende richiamare la ruvida, schietta, incondizionata freschezza del “vaffa” fondativo.

Non è colpa degli italiani l’essersi illusi di trovare risposta ai problemi concreti e cogenti della vita quotidiana delle loro famiglie in quella direzione. E’ piuttosto ciò che resta – dalle parti di una destra liberale, di un centro moderato e solidale, di una sinistra seriamente riformista – delle grandi tradizione di pensiero e di cultura politica che hanno innervato la storia del Paese, a doversi interrogare.

Non certo per rifugiarsi nel passato, in una presunta e vagheggiata “eta’ dell’oro” che non è mai esistita. Piuttosto, per riprendere il filo di un metodo che – in condizioni del tutto nuove, in vista di contenuti fortemente innovativi del’azione politica – sappia derivare quest’ultima da una lettura culturalmente avvertita, aperta ed intelligente, consapevole e criticamente attrezzata, socialmente aggiornata del momento

storico che viviamo, dei nodi che lo caratterizzano ed esigono di essere sciolti se vogliamo alimentare – ancora e comunque – la speranza di riaprire un cammino di evoluzione positiva.

Cosicché, anche oggi, l’avvio del nuovo anno sia vissuto secondo un sentimento di attesa e di speranza e non, al contrario, nel segno di un cupo ammonimento.

Domenico Galbiati

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