Da par suo, e con l’onestà intellettuale che lo contraddistingue, Giuseppe Ignesti ci ha parlato dell’attitudine al dialogo che ci deve contraddistinguere ( CLICCA QUI ). Il suo ragionamento parte dal riconoscimento degli errori compiuti anche dal mondo cattolico impegnato politicamente nel momento in cui hanno accettato la logica del bipolarismo. Frutto di una delle tante “scorciatoie” che il nostro Paese ha troppo spesso imboccato per evitare di affrontare adeguatamente i ” problemi storici della democrazia parlamentare”.

I fenomeni d’impoverimento della capacità d’analisi, soprattutto sociologica, della classe politica italiana, cui si deve aggiungere quello dell’intera classe dirigente del Paese, sia di quella che si occupa, ma solo utilitaristicamente del bene pubblico, sia di quella che addirittura se ne disinteressa, sono divenuti vieppiù evidenti nel corso del 27 anni passati caratterizzati dal tentativo di semplificare ciò che invece è complesso.

La semplificazione, di cui il bipolarismo è solamente un aspetto, ha un senso, ed è del tutto congeniale  e pacificamente accettato, là dove la società civile è forte, e persino in grado di sviluppare un’identità indifferente ai risultati della contrapposizione politica. In quei contesti, come accade nel Regno Unito e negli Usa, persino l’astensionismo è considerato un elemento fisiologico non destinato ad impoverire o a mettere a rischio il tessuto democratico. Parliamo, insomma, e semplifico molto, esprimo delle valutazioni estreme, me ne rendo conto, di paesi in cui la gran parte dei cittadini possono persino condurre un’ottima esistenza senza minimamente preoccupare di ciò che fa o dice la politica, tanto sono forti i presupposti solidi e consolidati del vivere civile, economico e sociale.

E’ lo stesso in Italia dove il tessuto civile è debole, parcellizzato e dipendente da una politica che occupa tutti i gangli vitali, in forma più o meno diretta, dalla vita dello Stato e delle Istituzioni ai servizi essenziali, dalla comunicazione alla Giustizia, dalla Scuola ad una parte delle attività economiche?

Una gracilità sempre più evidente ha fatto sì che nel corso degli ultimi quasi tre decenni finisse per impoverire il cosiddetto intero “sistema Paese” che, non a caso, ha finito per perdere posizioni su posizioni nei confronti degli altri europei e, persino, rispetto ai paesi emergenti.

Esiste dunque il problema della ricomposizione. Resa ancora più necessaria dalla profonda crisi istituzionale e politica avviata con la crisi del centrodestra e del centro sinistra, sonoramente confermata dai risultati delle elezioni del marzo 2018 e dalla forzata nascita di due governi “necessitati” dalla constatazione di quanto fosse inutile tornare subito di fronte al corpo elettorale. Prima il cosiddetto governo giallo verde, quello di Di Maio e di Salvini, per intenderci, poi l’inatteso accordo dei 5 Stelle con il Pd, provocato da un Matteo Renzi che continua a lavorare ai fianchi di entrambi, e infine l’ancora più inatteso formarsi dell’Esecutivo guidato da Mario Draghi cosa confermano se non la fine di una lunga stagione politica fondata sull’equivoco della semplificazione che riduceva il tutto alla ricerca della governabilità a scapito della rappresentatività?

La ricomposizione non si può che raggiungere attraverso quello che Ignesti chiama il ritorno ad una lotta politica alle caratteristiche di un “confronto moderato da parte di TUTTI sui programmi, cioè sulle soluzioni concrete dei problemi”.

E’ per questo che INSIEME intende essere assieme partito d’identità e partito programmatico. Quindi partito autonomo che, mentre, sottolinea i propri valori, e affidandosi alle idee supera ogni impronta ideologica, soprattutto quelle d’impronta confessionale, sceglie la via del confronto attorno alle cose. Autonomia e cultura del dialogo si sublimano un un qualcosa del tutto sconosciuto al resto delle forze politiche del momento.

Noi non siamo contro il centrodestra o il centrosinistra in maniera pregiudiziale, così come non ne siamo a favore. Individuiamo una serie di questioni che ci rendono diversi, ma al tempo stesso delineano una piattaforma su cui è possibile confrontarci in modo da dare vita ad un’area di centralità costituita dall’attenzione alle questioni da cui dipendono veramente le questioni di noi cittadini. Noi apparteniamo ad un lungo filone storico di pensiero che rifugge da ogni ideologizzazione dei problemi. Forse perché è forte il radicamento in una sensibilità antropologica e in una visione non esclusivamente economicista della Vita che ci fa essere naturalmente alternativi sia al liberalismo, sia al socialismo.

Siamo però consapevoli che il Paese deve superare le proprie fratture e lentamente assorbire quelle spinta provenienti da quelle faglie che nel profondo ci dividono e che può essere davvero distruttiva . In qualche modo, le dinamiche sociali devono produrre un’energia da indirizzare nuovamente verso un’idea di inclusione, coesione e riconciliazione. Da non confondere con la pericolosa tentazione dell’unanimismo e del consociativismo su cui spesso, e molte volte in maniera insincera, si adagiano tanti interessi propri ed esterni alla politica che fanno del “gattopardismo” uno stile di vita perché, come fu il trasformismo di Agostino De Pretis, non è concepito quale necessario passaggio verso forme più evolute di equilibrio istituzionale e di gestione, bensì come stato mentale, attitudine e metodo permanenti utili a perpetuare una condizione da mettere in pratica per impedire autentici cambiamenti e un sostanziale allargamento della base democratica e favorire, quindi, un’autentica partecipazione popolare.

 

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