Da più di un decennio ormai sentiamo parlare di bitcoin, di blockchain e più in generale di criptovalute, senza che la maggior parte di noi sappia di che si tratta se non per sentito dire.

Il bitcoin finisce sulle prime pagine dei giornali in occasione di violenti movimenti nelle quotazioni sia in un senso che nell’altro, con relativi articoli collegati, ma raramente escono articoli che spieghino all’uomo della strada di cosa si tratta esattamente, per il quale infatti sia le criptovalute che la blockchain, al di là di una oggettiva complessità tecnico-scientifica, rimangono degli oggetti misteriosi.

Proviamo a ripercorrerne brevemente la storia per cercare di avere le idee più chiare, anche sui possibili sviluppi nel prossimo futuro.

Novembre 2008: in una mailing list della comunità internazionale degli hacker, termine che non deve essere inteso in senso negativo, compare il manifesto Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System (istema di pagamento elettronico tra pari), a firma di Satoshi Nakamoto. Il nome è uno pseudonimo, e a tutt’oggi non si è mai saputo chi vi fosse dietro, e nemmeno se un individuo o un collettivo.

Il documento contiene i principi e il codice per poter sviluppare un software open source (ossia aperto a tutti) che crea: una criptovaluta, chiamata appunto bitcoin, una rete peerto-peer (P2P) (ossia tra soggetti posti al medesimo livello non gerarchizzati) sulla quale questa moneta digitale circola, e il relativo protocollo di comunicazione.

Nel gennaio 2009 viene rilasciata, sempre all’interno della comunità hacker, la prima versione del software – sarà poi aggiornato più volte – che inizia a essere utilizzato.

Che cos’è il bitcoin? è una stringa digitale alfanumerica ossia è una sequenza di caratteri, di lunghezza variabile, ma limitata. Nel caso del bitcoin il numero di questi caratteri varia da 25 a 35 massimo.

I processi che lo riguardano sono due: la creazione e la circolazione. Creazione. A cadenza temporale costante il software Bitcoin rilascia nella rete P2P un blocco Coinbase : lo potremmo definire un problema crittografico da risolvere. Il primo computer della rete che ne arriva a capo, trovando attraverso dei calcoli una serie di numeri, riceve una ricompensa in bitcoin di nuova emissione (pensiamo a banconote appena stampate che vanno ad aumentare la massa monetaria in circolazione). È definita attività di mining, ossia estrazione, perché nell’idea di
Nakamoto richiama l’attività di estrazione dell’oro. Anche confermare un pagamento in bitcoin significa risolvere un problema di crittografia, e anche in questo caso i miners (minatori) ricevono in cambio una ricompensa in nuovi bitcoin.

Circolazione. Il problema che Nakamoto ha dovuto risolvere, inventando una moneta digitale che operi senza intermediari finanziari – le transazioni avvengono direttamente tra i due soggetti A e B – è stato fondamentalmente quello della fiducia.

Tutti i pagamenti che si effettuano nel web necessitano infatti di una terza parte, che ha il ruolo di garante: quando si utilizza la carta di credito, la transazione passa attraverso una banca che assicura, di fatto, due cose: che chi sta spendendo quella quantità di denaro ne abbia disponibilità sul proprio conto corrente, e che non l’abbia già utilizzato per effettuare un altro pagamento – il cosiddetto double spending, doppia spesa.

Nakamoto ha sostituito la fiducia con la crittografia, e la funzione di garanzia è stata assegnata non a un’istituzione finanziaria ma a tutta la rete P2P, grazie al sistema blockchain.

Semplificando, possedere bitcoin significa avere un portafoglio virtuale – ossia un indirizzo Bitcoin – che utilizza un sistema di crittografia asimmetrico, a doppia chiave, pubblica e privata: ai bitcoin è associata la chiave pubblica del portafoglio, e ogni individuo può spendere solo la criptovaluta collegata al proprio indirizzo, mentre la chiave privata consente di apporre la propria firma digitale per effettuare il pagamento. Per diventare definitiva (e irreversibile) la transazione deve essere confermata da almeno sei nodi della rete P2P.

Il fatto che le chiavi di tutti i portafogli Bitcoin siano pubbliche rende pubbliche tutte le transazioni, che vengono infatti memorizzate in un database – una sorta di ‘libro contabile generale, disponibile a tutti i nodi della rete, la blockchain appunto (‘catena di blocchi’) – che finisce per contenere lo storico di tutti i movimenti di tutti i bitcoin generati, a partire dall’indirizzo del loro creatore fino all’ultimo proprietario.

Questo permette di verificare che i bitcoin oggetto della transazione appartengano effettivamente a quel portafoglio, e che non siano già stati spesi: grazie alla struttura storica della blockchain infatti, un tentativo di double spending verrà immediatamente scoperto e la transazione non sarà confermata, finendo nel nulla.

Di fatto quindi il sistema Bitcoin è non solo sicuro ma anche trasparente. E non è nemmeno anonimo, come molti pensano. È pseudonimico, che è tutt’altra cosa. Ogni individuo può generare un numero infinito di doppie chiavi crittografiche (pubblica/privata) e dunque un numero infinito di portafogli (indirizzi) Bitcoin: anche uno per ogni singola transazione. Questo significa che può crearsi un ventaglio di identità – gli indirizzi non contengono infatti informazioni personali sui relativi proprietari – e rendere più difficoltoso risalire a chi c’è dietro i movimenti di
criptovaluta.

Tuttavia è sempre possibile farlo, grazie a degli speciali algoritmi, come ha dimostrato l’FBI quando, anche grazie al supporto tecnico israeliano, ha arrestato una serie di persone che avevano effettuato acquisti di merce illegale con bitcoin su Silk Road, mercato online del dark web dove si poteva comprare droga, armi ecc.

Il legame inscindibile tra Bitcoin e crittografia significa anche che se la chiave privata viene smarrita, i bitcoin a essa associati sono irrimediabilmente persi, distrutti come banconote in un falò, perché non esiste altro che quel codice per dimostrarne la proprietà e quindi utilizzarli. Nakamoto ha strutturato le formule matematiche alla base del software in modo che il numero di bitcoin che può essere estratto, sia per i blocchi Coinbase che per le conferme delle transazioni, sia finito. Si è calcolato – tralasciando i complessi dettagli tecnici – che in totale potrà essere creato un numero massimo di 21 milioni di bitcoin in un arco temporale di 130 anni circa, quindi l’ultimo bitcoin dovrebbe vedere la luce nel 2140.

La ricompensa in criptovaluta di nuova emissione per l’elaborazione dei blocchi è stata programmata per diminuire nel tempo fino a scomparire, e a quel punto i miners avranno come unica fonte di guadagno le commissioni pagate dagli utenti per l’attività di conferma delle transazioni – come una banca, di fatto, che incassa le commissioni per effettuare un bonifico.

Il fatto che sia stata pensato come risorsa finita (al pari dell’oro, appunto), rende il bitcoin ontologicamente deflattivo: nel caso in cui avesse infatti preso piede come valuta (non era detto, la sua circolazione poteva restare chiusa a una piccola cerchia hacker e quindi finire per essere nulla più che una stringa alfanumerica), il suo valore
sarebbe inevitabilmente aumentato nel tempo, per il basilare principio di scarsità: offerta limitata a fronte di una domanda in crescita, Nakamoto lo aveva previsto anche se forse non in questi termini.

Il bitcoin è stato inoltre immediatamente agganciata al dollaro, in un sistema a cambio variabile: è quindi la legge del mercato che ne stabilisce la quotazione. Tutto questo lo rende, come la cronaca degli ultimi anni ha mostrato, un perfetto strumento di speculazione finanziaria.

Com’è possibile che una stringa alfanumerica, che esiste solo nel mondo virtuale, che è il risultato di un calcolo matematico proposto da un software, diventi una moneta?

Occorre fare un salto logico e culturale. Di fatto una moneta è (anche) una convenzione sociale. Dalla fine degli accordi di Bretton Woods, avvenuta per recesso degli Stati Uniti con un decreto dell’allora presidente Richard Nixon nell’agosto del 1971, accordi che stabilivano l’ancoraggio del dollaro all’oro, e la reciproca intercambiabilità, è evidente che la massa monetaria in circolazione di qualsiasi valuta non ha più alcun aggancio con la quantità di oro
presente nelle camere blindate delle Banche Centrali.

Io accetto quindi di chiamare banconota un pezzo di carta perché riconosco legittimità a due poteri: il primo è politico, ed è quello che fa capo a uno Stato o all’Unione europea, e autorizza un’istituzione finanziaria a stampare quel pezzo di carta, a cui  riconosce un ‘corso legale’; il secondo è economico, ed è esercitato da una Banca, che
la politica ha definito Centrale, che ha l’autorità di emettere moneta e di essere garante del sistema di circolazione.

Se all’interno di una comunità accetto dunque culturalmente che una stringa alfanumerica, e non una banconota, sia qualcosa che posso utilizzare per acquistare beni e servizi, quella stringa diviene una moneta; il concetto non è diverso se pensiamo ai braccialetti di perline che circolavano dentro i villaggi turistici. A una condizione: che soddisfi le caratteristiche di garanzia necessarie, ossia che la sua proprietà possa essere univocamente e irrevocabilmente identificata, e che non sia possibile il double spending.

Nel caso della perlina, la possiedo in quanto oggetto materiale nelle mie mani, e non posso evidentemente spenderla due volte; nel caso della stringa alfanumerica, la possiedo grazie alle doppie chiavi crittografiche, e la rete P2P, attraverso il sistema della blockchain, controlla la circolazione e impedisce la doppia spesa.

Certo le perline, come i bitcoin, non hanno corso legale al di fuori del villaggio turistico, e dei mercati virtuali che accettano la criptomoneta in pagamento; ma entrambe possono essere convertite in una valuta a corso legale, la prima dalla direzione del villaggio, la seconda nei siti web che cambiano bitcoin contro dollari sulla base della quotazione di mercato.

Di fatto quindi, lo stesso sistema finanziario del mondo reale ha accettato i bitcoin come moneta – cosa che non ha mai fatto con le perline del villaggio turistico. Senza questo fondamentale passaggio, non saremmo qui a parlare di Bitcoin. Perché l’ha fatto? Per un’unica ragione: perché è qualcosa su cui è possibile fare attività speculativa, e quindi profitti.

Per capire quale potranno essere le sorti del Bitcoin, è necessario tenere a mente alcune caratteristiche estremamente interessanti di questa moneta virtuale: l’offerta in quantità limitata che ne evita una svalutazione per eccesso di offerta, il fatto che sia caratterizzato da una grande semplicità di trasferimento e, non da ultimo, il fatto
che non sia confiscabile (per ora) e sia facile e sicuro tracciarne il possesso.

Un altro modo più diretto di vedere il Bitcoin è tramite il paragone con l’oro. Offerto in quantità limitata ha, rispetto all’oro, alcuni vantaggi: la semplicità di deposito e la facile trasferibilità.

Alla luce di quanto affermato sinora, sono essenzialmente tre i possibili scenari di sviluppo che si delineano attorno al futuro del Bitcoin: – Il Bitcoin diventa un mezzo per preservare il valore del risparmio. In un mondo in cui le valute tradizionali possono essere facilmente svalutate dalle Banche Centrali il Bitcoin, grazie alla sua facile conservabilità, alla relativa sicurezza nel possesso e, soprattutto, grazie all’offerta limitata diventa un modo per proteggere i risparmi. Una funzione quindi simile a quella dell’oro con i vantaggi detti sopra di semplicità di utilizzo e di preservazione.

– Il Bitcoin diventa un mezzo di scambio. Un po’ già lo è, ma è un uso ancora circoscritto, anche perché ci sono alternative più semplici – basta pensare alle carte di credito – ed è tutt’altro che universalmente accettato. Questa funzione potrebbe essere duramente avversata dai governi che hanno interesse a controllare e, soprattutto, tassare le transazioni.

– Il Bitcoin si dissolve e va a zero. Sotto la pressione dei governi e delle Banche Centrali il Bitcoin cade in disuso anche a causa della difficoltà nel trasformalo in denaro “ufficiale”. Una minaccia altrettanto concreta può venire
dall’evoluzione di altre criptomonete tecnologicamente più avanzate che lo potrebbero sostituire del tutto.

Non sappiamo se il bitcoin o qualche altra criptovaluta rivoluzionerà il mondo delle monete, facendo cadere in disuso le banconote cartacee, certamente la tecnologia che è alla base del bitcoin ossia la blockchain è destinata nei prossimi anni e decenni ad incidere sul nostro modo di vivere e di certo avremo occasione di riparlarne.

Fabrizio Manzione

Immagine utilizzata: Pixabay

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