Strano e surreale, dopo la campagna elettorale estiva, il  silenzio ( più ancora che  i nuovi e gradevoli “toni morbidi” o “prudenti”  più rispettosi delle parti avverse nella competizione elettorale )  del mondo politico italiano, tanto più dopo un cambiamento  così  consistente ( benché non inatteso) di consensi elettorali.

L’assenza di parole può avere vari sensi. Che senso può avere oggi in questa fase di passaggio di consegne poliitiche? Imbarazzo ? Stupore? Sbigottimento? Lutto politico ( per la parte soccombente, ovviamente)? Improvviso e imprevisto senso di responsabilità ( per chi ha vinto la contesa elettorale)? O cos’altro ancora?

Riflettiamo un attimo. C’è qualcosa che finalmente abbiamo cominciato a intravedere dopo l’arrivo della pandemia e soprattutto dopo il ritorno della guerra nel cuore d’ Europa. E’ in atto un cambiamento enorme, epocale- quello di cui parla Papa Francesco- , un cambiamento di cui cominciamo a intravedere i lineamenti. Un cambiamento che attesta la fine di un’epoca, ma non l’inizio di un’altra.

C’è un testo che ha a che fare anche con la guerra e con la malattia, un testo  scritto circa un secolo fa- di un  anno  successivo alla “marcia su Roma” ed al suo fatidico anniversario che si annuncia- un testo che aveva  perfettamente anticipato il senso di un  “rovesciamento” epocale che oggi abbiamo davanti ai nostri occhi.  E che ora vediamo meglio perché liberati del velo delle ideologie che lo nascondevano o lo minimizzavano.

Italo Svevo aveva indicato con chiarezza, di fronte all’esplosione e alle stragi della grande guerra, il pericolo del rovesciamento del senso del progresso tecnologico prodotto dalla modernità nella prospettiva di una auto-distruzione totale resa possibile dal medesimo meccanismo, il “progresso” che aveva assicurato  il miglioramento.

“ Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l’uomo diventa sempre più fur­bo e più debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua de­bolezza. I primi suoi ordigni parevano pro­lungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, ormai, l’ordigno non ha più alcuna re­lazione con l’arto. Ed è l’ordigno che crea la malattia….. Forse traverso una catastrofe  inaudita prodotta  dagli ordigni ritorneremo alla salute.  Quando i gas velenosi non basteranno più , un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo,  inventerà un esplosivo incomparabile… Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un  po’più ammalato,  ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto possa essere massimo. Ci sarà un’esplosione enorme  che nessuno udrà e la terra ritornata  alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie” (I.Svevo La coscienza di Zeno  1923).

Questa celeberrima pagina ci pone davanti agli occhi la modernità e il progresso come catastrofe e denuncia un  pericolo insito nelle conquiste della modernità. La malattia, anzi le malattie portate dalla modernità come effetti collaterali, la distruzione dell’habitat umano e la massimizzazione dell’impiego della violenza distruttrice nelle nuove modalità della guerra, di cui un primo pallido esempio era stato fornito dalla guerra mondiale, ancora niente rispetto alla guerra nucleare , di cui si parla con disinvoltura un giorno sì  e uno no.

Se ci pensiamo bene, vediamo qui rovesciarsi radicalmente il senso abituale del termine  progresso. Il progresso della modernità si rivela, alla fine del percorso, come un fattore di distruzione, anziché di creazione. Come è possibile? Al cuore del problema c’è l’idea moderna di “progresso”.

Cosa è veramente “progresso”? La modernità- ora lo vediamo- non ha fatto altro che rivitalizzare l’antica idea, l’idea pagana di “progresso” o meglio l’idea del mondo che costituiva il sostituto pagano dell’idea elaborata dai moderni.   Era l’idea di cieca fatalità cioè di  “…una Potenza arcana , inintellegibile,  padrona arbitraria delle cose umane, creatrice e distruggitrice  alternativamente, senza che l’uomo  potesse intenderne, promoverne o accelerarne i bisogni. Credevano l’uomo impotente  a fondare alcuna cosa durevole, permanente, sulla nostra terra” ( G. Mazzini Dei Doveri dell’uomo  1860)

Quale differenzac’è tra questa idea di “potenza anonima” delineata da Mazzini e l’idea novecentesca e attuale di progresso inteso come processo oggettivo che si sviluppa a prescindere dai bisogni umani, quel processo che produce, al suo culmine,  quelle che i costituzionalisti hanno chiamato le leggi dei numeri, come le pianificazioni  staliniste o le progettazioni “europee” che mirano a pianificare quantità e qualità dei mezzi impiegati a prescindere dai fini e dai bisogni umani concreti ed espressi dalla società      ?

Abbiamo dimenticato che esisteva anche un’altra idea di progresso, nata col cristianesimo, per cui per progresso  doveva intendersi “ l’unità della razza umana…l’unità della legge, il dovere di perfezionamento nell’uomo, non la potenza data ( da Dio) all’uomo per compirlo, né  la via per la quale si compie” ( G. Mazzini Dei doveri dell’uomo)

E’ il concetto moderno di “progresso” ad aver  fatto bancarotta, regredendo verso un rozzo neo-paganesimo. Da qui la necessità di ridisegnarne i paradigmi.

Ma non è diverso per i concetti di  guerra e di pace. L’organizzazione della pace, l’esigenza della pace è stata all’origine dello Stato moderno, anche dello Stato assoluto.  La pace universale poi prima di essere un disegno illuministico era stato il progetto del De Monarchia di Dante.  E come l’idea di progresso alterato e deformato è oggi  lo stesso concetto di pace, rivalorizzato dopo i conflitti mondiali. Di nuovo la pace come frutto di equilibrio di forze, di nuovo il motto pagano “si vis pacem para bellum”. Le Encicliche della Chiesa cattolica, l’ONU, i trattati per la messa al bando del nucleare sembrano utopie del passato.  La guerra pare oggi accettata come una possibilità certo negativa, tragica, imbarazzante,  da evitare, ma solo laddove  possibile, mentre potrebbe divenire sempre più inevitabile. Se ci sono dittature e democrazie, come convivere pacificamente? E’ vero, c’è stata questa convivenza , ma oggi non sembra più possibile.

In realtà il discorso va rovesciato. La pace universale, la convivenza pacifica tra sistemi diversi  non è una prospettiva realistica,  perché la guerra è stata sdoganata.  La guerra non pare più “aliena a ratione”, estranea alla ragione, come scriveva  Giovani XXIII nella Pacem in terris.  Perciò la pace non è evidentemente più la priorità di chi governa gli uomini.

Altri segnali di mutamento di epoca si potrebbero elencare. Eccone alcuni esempi.

La crisi dell’ idea di libertà. La sinistra ha sempre fatto riferimento, in modo coerente o incoerente, al valore della libertà, politica e di coscienza. Un valore da porre accanto a quello della vita: “libertà ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta” ( Dante). Ma oggi la libertà è ancora un valore primordiale o non è piuttosto un valore che deve cedere di fronte alle esigenze della sicurezza,  come quella assicurata dalle macchine e dalla  tecnologia , quella sicurezza che nasce dalla programmazione della vita che altri fanno per noi ?  Certo il discorso può esser diverso per i cittadini di uno Stato invaso da una potenza straniera desiderosi di conservare la propria identità e i propri diritti. Ma vale anche laddove questo pericolo non  si materializza e i pericoli sono altri,  molto più subdoli e ben mascherati?

L’emarginazione delle generazioni anziane. Non è un altro mutamento epocale la crescente marginalità delle  generazioni più anziane, di cui si auspica diminuisca il peso elettorale- con marchingegni premianti i giovani- perché gli anziani-  come semplici “prodotti in scadenza”- sarebbero poco interessati al futuro e concentrati solo sul ( loro) presente, più egocentrici e più disponibili a “far debito” a scapito dei giovani?  E’ questo  un radicale rovesciamento non solo del pensiero costituzionale e politico che ha sempre affidato all’età anagrafica, e quindi alla esperienza umana ed alla esperienza storica la costruzione di quella saggezza politica ed umana necessaria per governare gli uomini e le donne.  Ma è anche un rovesciamento dell’idea del debito irredimibile che ciascuno di noi contrae sempre con le generazioni che lo precedono a partire dai genitori, un rovesciamento dell’ idea del diritto alla dignità sociale di coloro che sono più deboli, meno produttivi, o improduttivi ( economicamente)  e meno difesi ( come erano i genitori un tempo e purtroppo anche oggi sono talvolta) ?

La crisi infine della solidarietà interna all’ UE. Cosa è divenuta l’ Unione europea  se non un’area di nazionalismi ( noi li chiamiamo sovranismi e populismi )  in forte competizione e rivalità tra loro ed in cui l’obiettivo finale diviene non l’ottimizzazione della concorrenza tra imprese entro un grande mercato,ciò per cui era nata l’ Europa ( a partire dalla CECA),  ma la massimizzazione della concorrenza tra sistemi statali con fenomeni di dumping delocalizzazioni e via dicendo ? Non si finisce così per negare nei fatti il vero principio di concorrenza economica, che dovrebbe basarsi prima di tutto sulle pari condizioni a cui è accessibile l’energia e lo sono anche le materie prime?  O sulle pari condizioni cui sono accessibili i terreni agricoli ormai dominati da un selvaggio land grabbing che usa la proprietà fondiaria per fini speculativi su  scala di massa ?  Cosa fa il Commissario europeo  alla concorrenza? Cosa fa per recepire le indicazioni e le denunce del fenomeno che pure sono venute dall’ Europarlamento? E cosa si fa oggi nel momento in cui il problema dell’energia è aggravato dalla ricaduta su imprese e famiglie dei costi sociali della guerra ibrida  di Putin col peso delle contro-sanzioni? Cosa aspetta l’ UE in questa situazione ad intervenire con una inevitabile e logica nuova mutualizzazione del debito, come gli esperti cominciano a chiedere, promuovendo un  “parziale ricorso  a debito comune per i Paesi più deboli: se si è usato questo strumento  è per reagire alla pandemia, perché non usarlo contro la guerra?” ( Stefano Lepri,  La doppia trappola del troppo debito in “La stampa” 1 ottobre 2022, p. 29)  Altro che preoccuparsi di mettere a gara le concessioni balneari in Italia!

Credo che se non  ci rendiamo conto di questo totale cambio di epoca e non rivediamo tutti i paradigmi del nostro concetto di progresso, riumanizzandolo, non  riusciremo ad orientare la svolta epocale, come opportunamente chiede di fare Zamagni- e credo che non si riapriranno le speranze del futuro neppure in  presenza di governi e rappresentanze parlamentari  che facciano proprie le richieste ed i bisogni del Paese reale.

Su questo la discussione pubblica dovrebbe iniziare il rima possibile.  Ve ne sono oggi le condizioni e le possibilità, terminata la campagna elettorale ed entrati nella fase in cui andranno prese decisioni di rilevanza epocale.  Solo ri-orientando il cambiamento epocale si potrà fermare la rivincita della guerra e ricollocare la costruzione della pace al vertice di ogni decisione politica, nazionale e internazionale. Di fronte al mutamento di epoca tutti siamo chiamati a dare il nostro contributo per cambiare i paradigmi del “progresso”, a prendere la parola, di fronte al silenzio  di chi si sta probabilmente interrogando sul da farsi. E attende, per pronunciarsi, forse, di sentire la voce del Paese reale.

Umberto Baldocchi

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