Occorrevano i fattacci di Santa Maria Capua Vetere perché la “questione” carceraria  balzasse agli onori della cronaca?

Serviva la simbolica visita della ministra Cartabia e del Presidente del Consiglio Draghi al carcere della “mattanza” per accendere i fari su una realtà, quella carceraria, che altro non è che lo specchio della società, violenta, in cui viviamo ?

La relazione del Guardasigilli ai deputati  ha  se non altro il merito di ribadire la distanza dei fatti dalle parole che proclamano la necessità di una politica carceraria effettivamente rispettosa del dettato costituzionale che vuole il condannato restituito sano e salvo alla società.

Se dunque c’è una lezione da trarre dai fatti ricostruiti dalla ministra, al netto delle buone intenzioni  e dell’immancabile retorica, questa riguarda proprio  l’idoneità del carcere  al recupero del condannato. Se da una parte appare irrealistica l’abolizione del carcere dall’altra si deve prendere coscienza che gli investimenti strutturali ,per quanto necessari, non sembrano sufficienti.

Abbiamo già trattato della giustizia riparativa ( vedi articolo del 15 luglio u.s.) sulla quale il Governo Draghi ha dichiarato di voler investire. Qui si vuole solo delineare la filosofia di fondo di alcuni interventi che riteniamo decisivi  per un’ efficace “ politica” penitenziaria:

  • occorre anzitutto offrire al colpevole la concreta speranza di essere o tornare ad essere una risorsa per la collettività e non un costoso “scarto”.
  • Occorre, per ciò, investire nella formazione di personale specializzato che, senza negare il valore dell’espiazione, accompagni il condannato nel  processo di interiorizzazione del proprio male, suscitando  in lui un senso di responsabilità  verso se stessi e gli altri  che lo riabiliti a un nuovo inizio, seguendo una  pedagogia che  condanna il male ma protegge il colpevole.
  • Per agevolare il pieno recupero del condannato, occorre la responsabilità della società anche nel farsi carico, per esempio, di risarcire la vittima qualora non sia in grado di farlo il colpevole, superando così la nozione di responsabilità soggettiva e individuale per approdare ad una responsabilità oggettiva e collettiva.
  • Occorre, infine,- come evidenzia anche il pregevole intervento di Glauco Giostra su Avvenire del 22/07/2021 – investire sull’edilizia penitenziaria in funzione di una “nuova cultura della pena”  finalizzata alla riabilitazione e non alla segregazione.

Non siamo così ingenui da ignorare le critiche, velate di sarcasmo ( è così si tutela la sicurezza individuale e collettiva ?) di coloro che invocano pene esemplari del condannato  che dovrebbe “ marcire” in carcere salvo poi, in nome della libertà personale( spesso pretesa per sé e i propri amici)  chiedere di abrogare mediante referendum una norma che prevede la custodia cautelare di chi è gravemente indiziato di un grave delitto.

Non è in discussione, come pare evidente, la necessità di mantenere adeguati livelli di sicurezza individuale e collettiva ma l’individuazione del giusto equilibrio tra l’esigenza di sicurezza e quella – come auspica il Pontefice – di “non spegnere la speranza” in nessuno.

E’ questo il compito di una politica “ personalista” alla quale facciamo costante e fondamentale  riferimento.

In questo senso la Corte Costituzionale, in tema di “ergastolo ostativo”, ha individuato alcuni contrappesi alla caduta del “ fine pena mai” indicando l’esigenza che l’assenza di pericolosità ( per passare dall’ergastolo “ostativo” a quello “normale” con i conseguenti benefici) sia  accertata e valutata non solo dalla magistratura di sorveglianza ma anche dalle procure antimafia.

Primo Fonti

 

About Author