Il “centro”, questa sorta di mitico Eldorado che alimenta e, nel contempo, turba i sogni di più attori del nostro teatrino della politica, almeno così come pare sia stato cucinato alla Leopolda, piuttosto che una alternativa alla sclerosi dell’attuale sistema politico, ne è, paradossalmente, il sigillo e la conferma.

Cerca, infatti, di individuare una fessura tra centro-destra e centro-sinistra per cercare, allargandola, di intrufolarsi, interponendosi tra i due schieramenti protagonisti del bipolarismo imperante, quasi dovesse rappresentarne il compimento, un punto di compensazione e di equilibrio, destinato a conferirgli una fisionomia appena un po’  meglio articolata, ma sostanzialmente consolidata e maggiormente stabile.

Pur sempre secondo la logica di un sistema elettorale maggioritario che comprime, anche grazie al sottile ricatto del “voto utile”, la sovranità popolare entro gabbie preordinate, ciascuna delle quali stringe, in una camicia di forza, culture politiche, indirizzi di pensiero e visioni di lungo termine che dovrebbero, al contrario, rappresentarsi all’ elettorato nella loro schietta, libera ed autonoma articolazione.

Perché i “renziani”, ammesso che abbiano un disegno che vada oltre una mera rivendicazione di potere, anziché camuffare il loro scarso 2 %, nascondendolo nel “bricolage” di un presunto centro, non affrontano la pubblica opinione, in una aperta sfida elettorale, condotta attraverso il metodo proporzionale?

Siamo in presenza di un sistema politico che, se mai l’abbia avuta, ha esaurito la sua spinta propulsiva ed ha raggiunto un tale punto di decozione da segnare la fine della cosiddetta “Seconda  repubblica”.

Non a caso l’arco delle forze rappresentate in Parlamento non è stato in grado di esprimere nessuna maggioranza di governo effettiva, talché si è dovuto ricorrere alla formula di supposta “unità nazionale” attualmente vigente. Addirittura, per quanto concerne l’elezione del Presidente della Repubblica, c’è chi teme ormai apertamente, a fronte dell’ indisponibilità di Mattarella ad un secondo mandato, che si scivoli ineluttabilmente verso una soluzione di risulta. Insomma, un sistema politico ormai anchilosato ed inerte, che esige di essere trasformato piuttosto che rabberciato in qualche modo.

Per altro verso, il “centro” al modo della Leopolda, sembra piuttosto, almeno salvo smentita nei fatti delle prossime settimane e dei prossimi mesi, fin d’ora orientato, auspice lo sfarinamento di Forza Italia, a scivolare verso una opzione di destra-centro, in definitiva assorbito nella spartizione bipolare del sistema, piuttosto che capace di forzarne la logica soffocante.  Ad ogni modo, se son rose fioriranno….. 

Vi sono parole, anche nel lessico della politica, talmente usate ed abusate da risultare appesantite, corrose ed equivoche, al punto che è meglio abbandonarle al loro destino. A meno di sottoporle ad una esegesi talmente faticosa da doversi chiedere se il gioco valga la candela. Così è per “centro”. Pure per  “moderazione”, malintesa come una sorta di “aurea mediocritas”, una via di mezzo sostanzialmente incolore, così prudente e preoccupata di un equilibrio che, oltre  una certa misura, cade nell’ inerzia.

Una tale interpretazione della virtù della moderazione non appartiene, qualunque cosa ne dica il pregiudizio di molti osservatori, alla storia politica del cattolicesimo democratico che ha compiuto coraggiosamente, vivamente contrastato anche da chi oggi ne gode, le scelte di fondo che tuttora reggono l’equilibrio democratico del nostro Parse e la sua collocazione tra le nazioni libere.

Tuttora, il compito di chi si pone nel solco di una tradizione politica, che assume come proprio riferimento il valore umano, inalienabile e trascendente della persona, non è quello di attardarsi oziosamente nelle spire della “moderazione”, nel senso grigio e banale spesso attribuito al termine, ma piuttosto quello di riscoprire quel compito di verità che pur alla politica appartiene.

Domenico Galbiati

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