La scuola paritaria non è esente dal terremoto coronavirus e la sua crisi, se non opportunamente gestita, avrà una pesante ricaduta negativa su tutta la scuola, cioè sul progetto – ormai ventennale – di una ‘scuola di tutti’ che cammini sulla robusta gamba della scuola statale e su quella, altrettanto essenziale, della scuola non statale paritaria e, non per ultimo, sui conti dello Stato. In Italia 880 mila studenti frequentano le oltre 12mila scuole paritarie che svolgono servizio pubblico e sono inserite nel sistema nazionale d’istruzione. Secondo le stime più accreditate – se ne è già dato conto su queste pagine – circa il 30% di queste realtà non sarà in grado di riaprire a settembre. Il conto è plausibile considerando che – in base a uno studio Censis – il 23% del totale delle imprese italiane potrebbe non riuscire a riaprire dopo la crisi. Il settore delle scuole paritarie sarà soggetto all’avvio del prossimo anno scolastico a forti tensioni. Da una parte, i genitori tenderanno a spostare massicciamente i figli nelle scuole statali per fronteggiare la crisi e ridurre i costi di iscrizione, dall’altra si può prevedere un aumento dei costi fissi indotto dalle future regole del distanziamento sociale.
Alcuni commenti che circolano relativamente alla notizia della chiusura delle scuole paritarie (‘Sarebbe ora, miglioriamo la scuola pubblica!’, ‘Mai più denari pubblici ai privati’) non tengono conto dei dati di fatto. I numeri segnalano che la chiusura di scuole paritarie, oltre a impoverire l’offerta formativa e a limitare la libertà delle famiglie, avrà un impatto estremamente negativo sugli istituti statali con un peggioramento del servizio e un aumento dei costi che si tradurranno in nuove tasse o in minori risorse disponibili per la scuola statale.
In primis, i circa 300mila studenti che se non potranno più frequentare gli istituti paritari in crisi, si riverseranno sulle scuole statali. Gli edifici scolastici pubblici non godono purtroppo di buona salute: circa la metà degli impianti non ha un certificato di collaudo statico e di prevenzione anti-incendi. A settembre si dovranno con tutta probabilità implementare le misure di distanziamento sociale che implicheranno interventi edilizi e doppi turni con conseguente impatto sul corpo docente. Nei prossimi 4 mesi si dovrà pertanto definire un’organizzazione total- mente nuova che richiederà 3 miliardi di costi aggiuntivi secondo il sottosegretario Cristoforo. A tutti questi problemi si sommerebbero i 300mila studenti aggiuntivi provenienti dalle scuole paritarie chiuse qualora non si intervenisse a mitigare la crisi del settore. Non è solo un problema di riorganizzazione logistica ma anche di spese ulteriori. Uno studente della scuola paritaria costa allo Stato 500 euro ogni anno; parallelamente il nostro Paese spende mediamente 8.200 euro per ogni alunno iscritto negli istituti pubblici (fonte Ocse). I 300mila studenti in più che si iscriverebbero alla scuola statale costeranno alle casse pubbliche circa 2,3 miliardi aggiuntivi. Le risorse non sono infinite: si possono quindi stornare 2,3 miliardi da qualche altro capitolo di bilancio riducendo i servizi al cittadino. In alternativa, i costi dovranno essere pagati dai cittadini attraverso nuove tasse.
In periodi di crisi, si tende a evitare ciò che – a torto o a ragione – è ritenuto impopolare rischiando però talvolta di perdere il senso della razionalità. Dietro le questioni economiche citate c’è una battaglia culturale da fare per aiutare i cittadini a capire che in un quadro di regole chiare definite dal legislatore nazionale il principio di sussidiarietà rende auspicabile un pluralismo di istituzioni formative (di matrice religiosa e non). Così è in quasi tutti i Paesi europei. Un solo esempio per capire, quello delle scuole promosse dai gesuiti, l’ordine da cui proviene papa Francesco. In Italia le loro scuole che hanno una storia e una tradizione prestigiosa devono fare affidamento solo sulle proprie forze e sono ridotte a 4 pur validi istituti. In Spagna dove ricevono il sostegno statale in una cornice di regole severe definite dal legislatore scolastico garantiscono il loro servizio 68 istituti. In questi giorni difficili, siamo tutti – laici e credenti – pronti a riconoscere e a cercare un riferimento certo nell’autorità morale di papa Francesco, ma si stenta a riconoscere, anche a costo di rimetterci, il valore culturale di quella formazione che è legata alla sua famiglia religiosa d’origine e di formazione, una realtà e che ha contribuito a far maturare persone di riconosciuto valore come l’ex governatore della Banca d’Italia ed ex presidente della Bce Mario Draghi.
Oggi ci sono molte urgenze nel Paese per cui ‘aiutare la scuola paritaria’ potrebbe sembrare impopolare. Ma capire bene la questione è importante, se non per amore della libertà e del patrimonio culturale rappresentato da questo servizio, almeno per convenienza. Bisogna saper spiegare ai cittadini che, se si sceglie di non aiutare le scuole paritarie, lo Stato dovrà fronteggiare 2,3 miliardi di extra costi che si tradurranno in nuove tasse o in minori servizi, che 40mila nuovi disoccupati dovranno essere sostenuti e 300mila studenti in più affolleranno a settembre le scuole pubbliche già in difficoltà per le misure sul distanziamento sociale. Qual è, quindi, la scelta migliore per il bene dei cittadini: sostenere anche le scuole paritarie o affrontare spese e problemi ben più significativi?
Leonardo Becchetti
Pubblicato su Avvenire del 21 aprile 2020