Questo articolo si rivolge ai molti che purtroppo non hanno ancora capito che dopo la pandemia di Covid-19 il mondo non dovrà tornare come prima, per dedicarsi al “business as usual”. Ho sviluppato le idee che esporrò dopo la lettura dell’ultimo grosso libro (oltre 600 pagine) dello storico della medicina americano Franck Snowden, Epidemics and Society, pubblicato nel settembre 2019, con una versione in paperback del 2020, in cui l’autore ha inserito una breve prefazione con riferimento al Covid-19. Si tratta di un volume interessantissimo, di cui al momento non esiste una versione italiana, dove si passano in rivista le peggiori pandemie della storia, dalle varie pesti al vaiolo, dal colera alla tubercolosi, dalla malaria alla poliomielite, dall’AIDS alle molteplici influenze respiratorie (fra cui la famosa spagnola 2018-19, accreditata di avere infettato 500 milioni di persone e averne ucciso almeno 50 milioni), con una particolare attenzione agli aspetti sociali ed economici delle pandemie. Non mi addentrerò qui in una disamina del testo, ma mi occuperò piuttosto dei messaggi politici che da esso si possono estrarre.

Le pandemie sono generate o da batteri o da virus che non solo sono endemici in natura, ma sono continuamente mutanti. Pesti, colera, tubercolosi sono pandemie da batteri, che non poterono ricevere cure efficaci per millenni fino all’epoca degli antibiotici (ossia dagli anni 1940 in poi) e dunque vennero contrastate con lazzaretti, quarantene, igiene, separazione delle acque pulite da quelle contaminate (l’invenzione del water-closet fu fondamentale), sanatori, senza poter evitare centinaia di milioni di morti. Con l’avvento degli antibiotici le cure divennero molto più efficaci, ma alcuni di questi batteri stanno provando a rendersi resistenti. Oggi sono comunque le pandemie da virus quelle più pericolose, perché non esistono medicine risolutive contro i virus. L’unico modo per limitarli è rende immune la popolazione attraverso vaccini, che inoculano versioni attenuate del virus, ma, soprattutto non creare condizioni favorevoli alla nascita e proliferazione di questi virus.

Riflettiamo prima sui vaccini. Non è davvero facile trovare un ceppo attenuato del virus che si vuole circoscrivere capace di indurre immunità senza al tempo stesso avere effetti collaterali indesiderati. Per esempio, nel caso del vaiolo, endemico fin dall’antichità ma diventato pericolosissimo nel Settecento (uccideva tra ½ e 1 milione di persone all’anno in Europa, mentre molte altre restavano sfigurate), si era tentato di inoculare il ceppo meno virulento, ma le persone comunque si ammalavano, anche se più debolmente. Fu solo l’inglese Edward Jenner che notò casualmente che contadine contaminate dal vaiolo delle mucche (una versione animale del medesimo ceppo di malattia), che era senza conseguenze sulla persona umana, diventavano resistenti al vaiolo umano. Da qui il vaccino, che salvò centinaia di milioni di vite umane, ma che potè essere generalizzato nell’intero mondo solo dopo la Seconda Guerra mondiale, fin che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dopo una serie di campagne vaccinali potè dichiarare il virus ufficialmente scomparso dall’intero mondo nel 1980. Si tratta dell’unico caso finora raggiunto di sradicamento di un virus, di cui esiste solo qualche campione gelosamente conservato dall’OMS. Va detto che probabilmente il successo nello sradicarlo fu dovuto anche al fatto che si trasmetteva esclusivamente tra persona e persona, senza l’intermediazione animale. Né la poliomielite (che pure dispone di un vaccino), né l’AIDS (che non ne ha ancora uno a tutt’oggi) sono sradicati, mentre la malaria (prodotta in realtà da un parassita un po’ diverso dai virus) conta una cura (il chinino), ma ancora oggi tra ½ e 1 milione di persone muoiono di malaria. Vediamo quanto sia difficile trovare un vaccino per il Covid-19.

Questo mi porta alla seconda riflessione. I virus come detto sono endemici, ma hanno un loro habitat naturale normalmente fra gli animali selvatici, da dove si trasferiscono alle persone attraverso un “salto” (spillover) generato da particolari condizioni favorevoli. Nel caso dell’ebola (una terribile pandemia che si scatenò in alcune aree dell’Africa Occidentale nel 2013), la deforestazione effettuata per fare posto alle piante di palme da olio scacciò pipistrelli della frutta che erano vissuti indisturbati nelle foreste verso i centri abitati, contaminando i cortili dove giocavano i bambini, che svilupparono il virus dell’ebola, poi trasmessa da persona a persona. Ancor oggi non si ha un vaccino sicuro contro questo virus, che al momento è stato circoscritto. Ma è ben noto che la sporcizia, il sovraffollamento, la convivenza tra animali e persone in spazi ristretti, la scarsità di igiene, l’insufficiente alimentazione, l’aria inquinata sono tutte condizioni facilitanti per lo sviluppo di qualunque pandemia, in termini di rapidità di contagio e letalità.  È evidente che nei casi di cure mediche esistenti, la permanenza di alti livelli di contagio e di mortalità di certi virus/parassiti/batteri è dovuta solo alla mancanza di condizioni sociali per un loro sradicamento. La lotta alla povertà serve anche a questo. Ma anche nei paesi meno poveri condizioni di aria contaminata (specialmente il particolato, come nelle arre più industrializzate dell’Europa o dell’America), di mercati di prodotti animali vivi (come a Wuhan) favoriscono la nascita e diffusione dei virus, soprattutto di quelli influenzali.

È proprio a seguito dell’analisi delle condizioni facilitanti che si esercitano le capacità di previsione di nuove pandemie. Nel settembre 2019, l’OMS aveva pubblicato un Report, rimasto ignoto al pubblico, intitolato World at risk. In esso si trova l’analisi dei 1483 eventi epidemici che si erano scatenati in 172 paesi tra 2011 e 2018, causando la perdita di milioni di persone, ma anche gravi effetti economici negativi. La stima fatta della perdita economica mondiale della SARS del 2003 è di 40 miliardi di $, dell’Ebola di 53 miliardi, dell’influenza del 2009 di 50 mld, ma si trattò di episodi assai circoscritti. Su questa base, il Report dell’OMS riteneva altamente probabile lo scoppio di una nuova pandemia di influenza, perché le condizioni ambientali attuali favoriscono i virus che la generano. Ecco la traduzione del passaggio cruciale di tale Report, intitolato “Prepararsi al peggio”:

Patogeni ad alto impatto sulla respirazione, come ad esempio un’influenza di particolare intensità, generano gravi rischi globali nel mondo attuale. Tali patogeni si diffondono attraverso goccioline (droplets) respiratorie, possono infettare un gran numero di persone molto velocemente e attraverso le attuali infrastrutture di trasporto muoversi rapidamente tra aree geografiche.

Il Rapporto continuava elencando gli strumenti di contrasto alla pandemia che ormai ben conosciamo, ma che sono stati messi in campo solo mesi dopo lo scoppio del Covid-19. Ora tutti dipendiamo dallo sviluppo di un vaccino, ma nel frattempo le perdite economiche sono colossali, perché tutti i paesi cosiddetti “avanzati” sono stati colpiti contemporaneamente. Che cosa trarre da questa vicenda? Sicuramente due conclusioni che potranno non piacere, ma che è meglio conoscere.

  1. Poiché non si può ritenere che il Covid-19 sia l’ultimo virus dell’influenza producibile, occorre spendere di più stabilmente per la sanità in modo da non trovarsi altrettanto impreparati come questa volta e da poter lavorare prontamente a vaccini. Questo significa fare dei sacrifici su altri piani, dato che sicuramente sul medio periodo il PIL mondiale non potrà crescere significativamente, anche dopo la ripresa.
  2. Lavorare alacremente per limitare le condizioni favorevoli alla creazione e diffusione dei virus dell’influenza. Sicuramente i cosiddetti “wet markets” (ossia mercati di vendita di animali vivi per l’alimentazione) vanno chiusi, ma la costruzione di megalopoli affollate, la produzione di rifiuti di ogni genere, l’inquinamento dell’aria vanno curati prontamente, per i loro effetti climatici, ma anche perché favoriscono la diffusione di influenze mortali. Ogni anno muoiono per malattie connesse all’inquinamento milioni di persone, molto prima del Covid-19.

La società moderna aveva sviluppato già negli ultimi decenni molti fattori di instabilità (finanza speculativa, diseguaglianze crescenti, globalizzazione selvaggia, carenze educative). Se a questi fattori aggiungiamo anche il rischio continuo di pandemie, sarà sempre più difficile sostenere che la società di oggi si possa definire “avanzata”: quale eredità stanno i paesi “avanzati” lasciando a figli e nipoti?

Vera Negri Zamagni

 

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