E’ lapalissiano come, a questo punto, del “ddl Zan” non importi più niente a nessuno. Salvo a chi l’ha promosso e agli ambienti che pretendono di imporre all’intero Paese, non a caso passando dalle scuole e per via legislativa, un preciso indirizzo etico-antropologico, e anzi lo assumono in chiave ideologica.

Ambienti che, a quanto pare, la fanno da padroni nel PD e sembrano tenere in scacco perfino la Segreteria Letta che pare non avere altro spazio di manovra se non riaffermare – almeno fin qui – la ferma determinazione a condurre in porto in Senato l’iter legislativo, senza torcere una virgola al testo così come approvato a Montecitorio.

In effetti, se si guarda alle singole forze politiche e alle rispettive leadership, la vicenda è paradossale e mostra emblematicamente i punti di caduta di un sistema politico costruito su un assetto  bipolare, necessariamente rigido. Cosicché, o vive di una contrapposizione pregiudiziale oppure sfugge alla logica del muro contro muro solo attraverso un gioco di posizionamenti e riposizionamenti che nulla hanno a che vedere con il merito dei provvedimenti in esame, e con possibili mediazioni di alto profilo, ma tutt’al più scadono al piano deteriore del compromesso tattico e funzionale ad altro che non sia l’argomento in oggetto. In buona sostanza, del “ddl Zan” si discutono sì possibili emendamenti, senonché sono traguardati non tanto a risolvere le aporie del testo, bensì a prefigurare, a saggiare, a mettere alla prova e verificare possibili schieramenti finalizzati ad altro.

Eppure, i profili controversi del provvedimento, come dimostrano autorevoli interventi di questi giorni e prese di posizione non sospette, perfino dalla sinistra-sinistra, non sono poca cosa, al di là del tema specifico di cui si discute. Riguardano, per limitarci a tre aspetti – che su queste pagine erano già stati chiaramente rilevati almeno un anno fa, giusto di questi tempi, quando il confronto sul “ddl Zan” era ancora piuttosto embrionale ed immaturo – il fatto che, sul piano del metodo, la legge contraddica sé stessa nella misura in cui per combattere una discriminazione ne introduce altre. In secondo luogo, rappresenta il possibile incipit di una concezione etica dello Stato nella misura in cui pretende di imporre, come già osservato, per via legislativa una particolare concezione  antropologica. In terzo luogo, affida alla discrezionalità soggettiva del giudice la definizione  giuridica di comportamenti passibili di essere pesantemente sanzionati in sede penale. Si tratta di versanti che mettono in discussione la tenuta dello stesso Stato di diritto e, non a caso, suscitano perplessità e preoccupazioni in molti ambienti a prescindere dalla loro cultura originaria e dalla stessa collocazione politica.

A questo punto, la vicenda suggerisce alcune considerazioni che continueranno a valere a prescindere dall’ esito parlamentare della questione. Stiamo parlando di una legge che evoca la sofferenza o almeno la difficoltà, il disagio di tante persone che meritano incondizionatamente il nostro rispetto e la nostra considerazione. Una condizione che – come succede spesso – nella misura in cui tocca corde esistenziali delicatissime può rivelarsi un fattore di affinamento della propria sensibilità ed, in ogni caso, un invito non astratto, ma vissuto a riflettere più a fondo sul mistero e sulla ricchezza sconfinata, incondizionata della nostra comune umanità.

Ci vorrebbe un modo più attento, meno gratuitamente polemico, più rispettoso, non sempre sopra le righe e fuori misura, anche da parte di chi sostiene il disegno di legge, per evitare che le persone coinvolte si sentano oggetto, a questo punto sì di una discriminazione almeno mediatica, consegnate ad uno stigma che vorrebbe abbattere gli steccati ed, al contrario, li innalza, circoscritte in un mondo separato. Succede quando gli estremi si toccano.

Un altro versante che andrà molto attentamente studiato concerne le appropriate modalità politico- istituzionali con cui affrontare quelle tematiche a forte valenza etica e di straordinario impatto antropologico, che rappresentano sostanzialmente una sorta di inedito per sistemi politici tradizionali, come il nostro, che sono nati per affrontare problematiche di ordine collettivo ed ora si trovano di fronte a questioni di tutt’altro genere, che toccano i profili più intimi della vita strettamente personale di ciascuno.

La politica, peraltro, è chiamato oggi a colmare il divario crescente tra lo sviluppo di nuove potenzialità di intervento sugli stessi fondamenti della nostra struttura biologica, promosso dall’ incalzante sviluppo della cosiddetta tecno-scienza e la crescita, necessariamente più lenta della consapevolezza etica con cui dovremmo guidare tali processi.

Si tratta di argomenti che mal si adattano ad essere affidati a schieramenti e maggioranze di governo, bensì vanno riservati ad un ampio e libero confronto parlamentare, il cui pieno titolo di rappresentanza, a fronte di questioni talmente delicate e dirimenti per la stessa concezione di noi stessi e della nostra umanità, dev’essere corroborata da una interlocuzione costante con i mondi vitali che danno conto della ricchezza plurale di una società civile che va aiutata ad avere piena fiducia in sé stessa ed altrettanta responsabilità.

Infine una considerazione merita, come già osservato, l’ evoluzione che sembra essere in atto nel PD, rivelata dall’atteggiamento sul “Ddl Zan”, ma di  più generale valenza, verso una connotazione sempre più di impronta radicale, attenta più ai diritti individuali che non orientata alla promozione di quegli interessi autenticamente “popolari” che, di per sé, dovrebbero essere il cuore di una forza autenticamente di sinistra.

Sarebbe interessante capire cosa ne pensano  i militanti e gli elettori del PD di area cattolica.

Domenico Galbiati

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