Quali sono le dinamiche che sottendono ed innervano il dialogo con il mondo
cattolico per un partito di ispirazione cristiana, aperto a credenti e non credenti?
Come può sorgere un confronto autenticamente nuovo se l’incontrovertibile
scristianizzazione della nostra società, che si dichiara cattolica, mostra inequivocabili
segni di fragilità valoriale e formativa?
Come riassegnare all’uomo la sua collocazione nel mondo rivestendolo della sua
dignità perduta e come sottrarlo ad una visione nichilista che lo riduce a “valore di
scambio”?
Queste domande sono un percorso ineludibile per tentare una comprensione
integrale del presente.
1) Se il partito è nuovo dovrà abbandonare nostalgiche incursioni nel passato,
tentando di illuminare un futuro che sprigioni e liberi energie vitali.
Abbiamo l’obbligo di consegnare alle nostre comunità la concreta consapevolezza
della nostra intenzione di sostituire con valori in ascesa i valori dominanti di una
società complessa e differenziata e sempre più individualizzata.
Questo significherà far emergere con ardore l’amore incondizionato verso l’uomo.
Come far emergere l’amore incondizionato verso l’uomo? Partendo da una verità:”
L’ESSERE NON E’UNIVOCO BENSI’ COMPLEMENTARE”
Se consideriamo la realtà nella sua dimensione pluralistica ed armonica ci
accorgeremo che non è fatta di una sola trama, pertanto la “nuova sensibilità”, la
nostra sensibilità, deve tendere verso la “COMPONIBILITA’ DELLE DIVERSITA’”
Il primo passo di un dialogo autentico ci impone di superare la tendenza modernista
a confondere e trasformare le relazioni di complementarietà’(uomo e donna; mente e
corpo; noi e gli altri) in relazioni di opposizione
Noi siamo parte indissolubile di un’unica famiglia umana che ci impone la ricerca
della convergenza. Il nostro dialogo deve ricercare strenuamente ed in modo
appassionato la convergenza.
Quando possiamo affermare di essere complementari a gruppi di persone, gruppi
politici, associazioni? Quando, ricercando il bene dell’uomo che dall’uomo deve
generarsi, noi procediamo con una disposizione ad incrementare, completare e
sostenere quegli “stati soggettivi” che fanno della persona un essere unico ed
irripetibile
Se, pertanto, recuperiamo tutte le sfumature, le connessioni e i legami sociali
raramente comprese e quasi mai valorizzate, guarderemo la realtà nel senso della
praxis ed entreremo così in un dinamismo che ci farà reclamare il principio di
sussidiarietà.
Se il nostro fine è l’uomo, perché dovremmo delegare alla sola logica statalista gli
aspetti più delicati e rilevanti della sua esistenza fino a toccare tutti gli ambiti presenti
nella galassia del TERZO SETTORE?
Sarà naturale, pertanto, sostenere e facilitare tutte quelle realtà più vicine ai mondi
vitali, secondo una dinamica che va dal basso verso l’alto
E questa ritrovata centralità, ancorché essere formale o peggio ancora astratta, si
connoterà per il servizio alla persona, per la creatività progettuale, la piena
condivisione del dolore umano, la possibilità di creare ambiti compatibili verso una
piena realizzazione di principi e valori che saranno tali solo se si apriranno a
dinamiche inclusive.
Se partiamo dall’uomo e per l’uomo dobbiamo costruire articolati e fecondi percorsi,
questi non saranno mai mere enunciazioni ma si accenderanno e prenderanno vita a
partire “dall’immediatezza del contatto vitale” e dell’empatia relazionale.
“Nell’uomo si trova la radice di un’intimità unica ed irripetibile che si apre
solidalmente agli altri e si modella in configurazioni sociali più giuste ed umane”.
Nel nostro dialogo dobbiamo tendere alla radice solidaristica presente nel cuore
dell’uomo, generando processi interconnettivi tra le drammatiche disfunzioni della
società, acuite dalla pandemia, e la capacità degli esseri umani di rivitalizzare il
sistema economico e politico con la forza dirompente di progetti autonomi radicati in
uno spirito generativo.
Comporre le diversità ci immette nella dimensione della CURA che come afferma
Heidegger “è una trama di straordinaria ricchezza antropologica”.
CURA nasce dall’attenzione verso una comunità, la cui natura (forma) si intravede
non solo attraverso le “SOLIDARIETA’ PRIMARIE”, vale a dire le reti familiari,
amicali di vicinato e reciproco aiuto, ma anche attraverso le “SOLIDARIETA’
SECONDARIE”: cooperative, associazioni, movimenti di volontariato.
In queste realtà, intercettate solo strumentalmente dalla politica, dovrà proporsi il
nostro dialogo che, sarà tale, solo se si realizzerà nelle sfere fiduciarie e di
reciprocità
Questo livello profondo si salda alla forza vitale di persone che hanno un nome ed
un volto, storie alle quali dobbiamo restituire consistenza e dignità.
Il primo passo sarà l’ascolto: l’ascolto ha un valore vincolante, apre alla conoscenza,
richiede una totale attenzione al caso singolo e a tutta la gamma di situazioni
imprevedibili e scarsamente programmabili che questo comporta.
Se assicuriamo ascolto, consolidiamo un dialogo autentico e, se dialoghiamo,
possiamo conoscere e comprendere le istanze e aspettative di chi, promuovendo
iniziative autonome, necessita di mezzi e progettualità politica. Pertanto, una
NUOVA SENSIBILITA’ POLITICA è chiamata a svolgere un ruolo di anticipazione,
di informazione, di speciale attenzione, consiglio e difesa.
CURA è attenzione ed aiuto, sostegno alla persona, cura di realtà vitali a partire dai
membri più deboli della società: anziani, disabili, giovani inoccupati, bambini.
Se vogliamo prenderci cura delle nostre comunità, dobbiamo, con profonda
EMPATIA, comprenderne la realtà, punti forza e di debolezza, i dettagli e le
sfumature. E’ un atteggiamento di epimeleia che ci impone una comunicazione
empatica un dialogo dialogico e non dialettico, abbandonando il dualismo che
esclude, preferendo una compatibilità che include.
Come non considerare centrale nel dialogo con il mondo cattolico, dei cristiani di
altre confessioni e dei non credenti, la insopprimibile esigenza di sottrarre l’uomo da
una logica mercantilistica e ricondurlo verso una “pace vitale” che si alimenta nelle
relazioni fiduciarie e di prossimità?
Dobbiamo, come sovente mi ricorda mons. Simoni, tendere all’Intero seguendo lo
scopo di servire la realizzazione, più ampia possibile, di tutti i beni umani presenti
nella Dottrina Sociale della Chiesa.
L’atto di indirizzo politico che il nostro partito deve assicurare nell’area riservata al
lavoro, dovrà adottare una visione pluridimensionale affinché “fornisca servizi alla
comunità sociale procurando ai suoi membri soddisfazione personale e
perfezionamento umano”.
E’ la rivoluzione culturale della generatività che diventa un modello intorno al quale
costruire una nuova organizzazione sociale.
L’adozione di questi valori certifica che il nostro fine politico è vincolato al riscatto
del lavoro nella sua radice ontologica e che fa dell’uomo un cooperatore
responsabile dell’opera creatrice di Dio.
Il dialogo è tale solo se scenderà nelle pieghe più nascoste dei bisogni dell’uomo, la
cui esistenza e la cui dignità sono tali solo se sicurezza sul lavoro, salute e
formazione continua saranno garantiti.
Se non riusciamo a mettere in moto processi connettivi tra la cultura che, come
afferma T.S. Eliot,“è l’ordine e il significato della vita, in uno spazio sociale e in una
storia comune”, con la politica e l’economia al servizio dell’uomo, non avremo
assolto ad un primario bisogno della nostra contemporaneità.

2) Il nostro télos è l’uomo e solo chi ne ha sperimentato lo smarrimento e l’assenza di
speranza, potrà fornire soluzioni concrete restituendogli dignità economica e sociale.
Il passo successivo è il reinserimento in uno spazio che abbraccia il privato con il
pubblico e che consentirà di riaprire i canali di una relazione che si autorigenera nel
passaggio dall’Io al Noi.
Solo attraverso una piena e totale identificazione con gli ultimi, a partire dai poveri
(che non sono le sole vittime di un sistema economico rapace, terribilmente acuito
dalla pandemia) fino a penetrare ulteriori categorie, che comprendono piccoli
imprenditori, artigiani, commercianti, liberi professionisti, assicureremo un percorso
di autentica redenzione politica. Se il nostro processo di identificazione umano e
politico genererà percorsi oblativi, questi non potranno che condurci verso soluzioni
che il mondo invoca da decenni.
3) La richiamata indigenza economica è strettamente connessa all’indigenza
culturale, a nuove forme di emarginazione e insopportabili diseguaglianze che
sono il frutto avvelenato di chi ha preteso di fondare il bene comune su
“interessi privativi”.
Falliremmo miseramente nel nostro dialogo se inseguiremo grette e retrive
dinamiche che mirano a soluzioni provvisorie, conseguenza di una costante
emergenzialità. Dobbiamo e possiamo offrire soluzioni stabili di lungo respiro
sottraendo, come già detto, allo Stato assistenziale, alla burocrazia, alla logica del
mercato, il tema del lavoro, della famiglia, dell’ambiente, del patrimonio artistico.
Occorre un supplemento di progettualità politica per affrontare quelle sacche di
sofferenza che nella disabilità e nelle malattie rare dovranno incrociare la nostra
totale empatia.

4) La consapevolezza che raccogliere in una dimensione circolare del “tutto
connesso” le aree testé menzionate, che, con tempi e diverse modalità
penetrano la vita degli esseri umani, richiede un ascolto profondo.
Le nostre realtà sono disorientate tra una comprensibile tendenza all’isolamento ed
un insopprimibile bisogno di spazi comuni, di luoghi di condivisione, di ascolto, di
zone franche dove si avrà la certezza di consegnare all’oblio della memoria la paura
dei propri limiti, dei fallimenti, dell’incomunicabilità, fino a manifestare e far emergere
i bisogni primari che la società ignora ed elude.
Saremo credibili se osserveremo con rigore ed onestà intellettuale un percorso che
dovrà partire dal basso, perché basso è il gradino più alto capace di elevare verso il
vertice le istanze che rappresentano autenticamente le comunità.
Questa dinamica salda i rapporti con le persone, con le diverse articolazioni sociali e
culturali, ricerca soluzioni, progetta, contribuisce a costruire una società che, come
intuiva Maritain favorisca” la vita spirituale dei suoi cittadini”.
Il dialogo si nutre di una concretezza verso i problemi dell’uomo e le sue soluzioni
che lo rende per sua stessa natura trascendente e meditativo.
Se ci lasciamo plasmare dall’inquietudine e dalla compassione, ci assicureremo una
dote politica di straordinaria ricchezza antropologica che proporremo ai movimenti
ecclesiali, alle associazioni, cattoliche e non, e a tutto quel variegato mondo dei non
credenti che tanto contribuisce alla crescita del bene comune.
KUHN affermava che ”epimeleia è analogica unità del diverso”: questa sarà la chiave
d’accesso in un mondo che ha una sua identità.
La nostra visione della realtà che viene dalla fede, deve essere una visione aperta e
non chiusa, comprensibile e mai ermetica.
Noi possiamo promuovere azioni partendo da una visione di ecologia integrale, così
come consegnata da Papa Francesco nella enciclica “Fratelli Tutti” (che ognuno ha
recepito secondo la gamma delle proprie sensibilità), che diventa un progetto di di
vera e propria animazione.
Ci inseriamo in questo ribollire della società, in questa complessità, in questi
processi, portando un orizzonte di senso.
La storia è aperta e, pertanto, l’attenzione non è al programma compiuto ma è
saldata ad un essere insieme facendo prevalere la connessione.
In un contesto di interrelazione, la presenza cristiana non si consuma nelle teorie
astratte ma nel concepire azioni che diano senso alle interazioni.
Pensate alla possibilità di generare un supplemento di autonomia, per liberare le
energie vitali e culturali di quegli ambiti sociali che scontano una insopportabile
irrilevanza.
Se siamo esploratori di significato, accompagneremo la nostra ricerca nel solco
dell’aidos, con rispetto e moderazione.
Nel nostro dialogo non annunciamo teorie o idee: proponiamo azioni, non
pianifichiamo ma ricerchiamo soluzioni sagge e fattibili.
LA CURA È METODOLOGIA E CONTENUTO.
LA CURA È SINONIMO DELL’AZIONE.
Prendersi cura dell’altro mette in moto una dinamica empatica che Edith Stein
definisce come: “esperienza di soggetti distinti da noi e delle loro esperienze
vitali…….. È un atto originario e peculiare che consiste nell’esperienza di una
coscienza altrui, indipendentemente dal tipo di soggetto della cui conoscenza si fa
esperienza”.
È la parabola del buon samaritano.
Quell’incontro cambia il destino dell’uomo ferito e la condivisione ,piena e
totalizzante, genera un vissuto che apre il cuore della persona: “Questi vissuti
endopatici, formano l’ordito primordiale della convivenza dando vita ad una
intersoggettività vitale”.
I programmi, i progetti vengono dopo e si perdono nell’inconcludenza se smarriscono
il collegamento con questa matrice vitale.
Nell’immedesimazione superiamo l’alterità riconoscendo le diverse prospettive, i
vissuti, le esperienze così da accettare le diversità senza eliminarle.
Senza empatia non possiamo creare legami intersoggettivi: solo così riconosciamo
l’immigrato, lo straniero, l’emarginato….
Solo così ci libereremo da quella autoreferenzialità che è il prodotto della sola
esperienza individuale.
Il cristiano si muove in una dinamica esplicita di responsabilità e la responsabilità è
sempre generata dalla relazione. L’uomo non è più l’antropocentrico, ma l’uomo è
relazione.
L’esserci di Heidegger è un esserci che diventa dinamica dell’interrelazione, l’uomo
si prende cura, si dà alla responsabilità.
Solo se ci prendiamo cura della realtà ritroviamo il bene di tutti e di ciascuno, ora e
adesso, portando come bagaglio la nostra povertà evangelica.

Questa convinzione, non è una convinzione politicamente strumentale. Noi offriamo
la possibilità agli appartenenti ai movimenti ecclesiali di essere all’interno di una
corresponsabilità di comunità.
In questa area puoi essere autenticamente te stesso con il tuo bagaglio, rispettosi gli
uni degli altri, di ciò che è stato e costruttori di ciò che potrà essere.
Il nostro dipartimento è un cantiere con la coerenza di un cammino: stiamo attenti ai
mezzi, il fine ci pensa da sé.
5) Nell’Evangelii gaudium Papa Francesco considera la politica ”una vocazione
altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene
comune”.
E se il bene comune viene inteso come ”la dimensione sociale e comunitaria del
bene morale”, come e cosa siamo in grado di proporre per sconfiggere l’anomia?
Il sociologo Mac Iver ci offre una puntuale descrizione: ”anomia implica lo stato
d’animo di chi ha perduto le proprie radici morali, di chi non ha più una falsariga ma
solamente alcuni stimoli senza alcuna connessione”.
Questo è un terreno di confronto di cui dobbiamo farci carico perché investe,
direttamente ed inesorabilmente, tutte le fasce sociali e tutte le età.
Connettere ambiti primari come la scuola, la famiglia, il ruolo dei media, l’università e
la ricerca, il mondo del volontariato, l’associazionismo, il mondo cooperativistico,
garantendo una comunicazione sistemica, metterà in moto un dinamismo
progettuale e valoriale capace di portare alla luce beni e soluzioni che solo una
dimensione partecipativa può garantire.
Se assicuriamo uno sguardo contemplativo sulla realtà, saremo capaci di procedere
secondo la praxis aristotelica assicurando canali di concretezza ai temi del lavoro,
della famiglia, della solidarietà e della pace.
Se questi saranno i nostri obiettivi, allora potremo immaginare un proficuo e fecondo
dialogo con il mondo cattolico.

Paola Baldassarre

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