La “difesa comune” che l’Europa deve apprestare quanto prima, oltre che necessariamente sulle armi, deve far conto – come succede sempre nei momenti di emergenza – anche sulla tenuta del “fronte interno”.

Impresa, oggi, forse più problematica e malsicura di quanto non sia la vicenda sul piano militare. È in grado l’Europa di vivere la lacerazione del mondo occidentale, provocata da Trump, come una finestra di opportunità piuttosto che uno smacco destinato ad avviare le sue ambizioni sul viale del tramonto? Trump è lo sprovveduto picconatore del tradizionale, consolidato rapporto tra le due sponde dell’Atlantico oppure è anche il sismografo che segna l’impennata di un sommovimento tellurico che da tempo sgranava progressivamente le relazioni interatlantiche, in virtù di una sorta di necessità storica ineludibile? Non rientra, infatti, questo processo nella più vasta dinamica che ci sospinge verso la compiuta affermazione di un assetto multipolare delle relazioni internazionali? Come se entrassimo in un’ era geologica che vede le grandi piattaforme continentali alla ricerca di un nuovo reciproco posizionamento.

Può l’Europa, da sola, diventare grande? Solo a condizione di tornare alla sua vocazione ideale originaria e, nel contempo, andare oltre, trascendere i suoi confini e rivolgere alla più vasta platea internazionale quell’istanza di pace da cui ha tratto la sua prima ispirazione. Purché si intenda la pace per ciò che effettivamente può e dev’essere. Non l’astratta, per quanto nobilissima, aspirazione ad una sorta di armonia che non è di questo mondo. Ma piuttosto la continua, mai interrotta, sempre incompiuta costruzione “politica” di un equilibrio che consenta non di cancellare le inevitabili fratture e le tensioni nelle relazioni internazionali, ma, piuttosto, di governarle senza cadere nel conflitto armato.

E’ pur vero che gli accadimenti della storia – oggi soprattutto – sembrano prendere forma da sé, sospinti da ragioni profonde, che al momento ci sfuggono e solo in sede storica, a cose fatte, riusciamo poi faticosamente a decifrare.
Ma è anche pur sempre vero che, in ultima stanza, la storia la facciamo noi.
Finestre di opportunità possono aprirsi inaspettatamente nella vita sia delle persone che dei popoli.

Si prolungano nel tempo in modo indefinito e, senza preavviso, si chiudono se mutano le condizioni al contorno che le hanno spalancate. Le occasioni smarrite non tornano più.  Se ricompaiono succede in tutt’altra costellazione di eventi. Dipende da noi, qui ed ora, sprecare o meno anche questa occasione – l’ ultima che ci è concessa? – di prendere in mano il nostro destino piuttosto che delegarlo ad altri. Potrebbe essere l’ultimo spiraglio di una finestra spalancata da troppo tempo. Certi processi storici o giungono a maturazione nel tempo dovuto oppure se procrastinati oltre misura si impaludano una volta per tutte e si smarriscono per sempre.

Cos’è rimasto oggi del sogno europeo? L’Europa di quali sentimenti si nutre, di quali attese, di quali paure? Che memoria ha della sua storia? Che comprensione coltiva di sé stessa, quale visione del proprio destino, cioè di quell’orizzonte in cui sono inscritte le ragioni che danno un senso al suo stesso esistere? Quale consapevolezza dei valori comuni che fondano la sua convivenza civile? Come percepiscono gli europei la loro collocazione nel contesto internazionale evidentemente diretto verso un nuovo, inedito assetto multipolare che amplia a ventaglio le loro potenzialità di autonomia e di relazione con altri popoli ed altre potenze grandi e piccole? Ritengono di avere un compito ed una responsabilità che trascendono i confini del loro continente ed intercettano il resto del mondo oppure no?

In un momento drammatico e disumano, di degrado civile e morale dell’indirizzo che Trump ha impresso alla trattativa sulla guerra ucraina, quale ruolo attribuiscono a quella dimensione “umanistica” della loro tradizione che rappresenta il punto di comune approdo della pluralità di culture che hanno attraversato la sua storia millenaria?

E’ difficile dirlo in astratto. Lo si potrà comprendere solo alla prova dei fatti ed, in fondo, al di là di ogni apparenza, non sarebbe sorprendente scoprire una capacita’ di tenuta, di fronte ai pericoli che incombono, del tutto inattesa.

Domenico Galbiati 

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