Dopo le “ misure urgenti” e  il “ modo della prescrizione”( vedi articolo dell’11 luglio u.s. CLICCA QUI ) , la prospettiva della “ ragionevole durata” dei processi e del “ giusto processo” completano il quadro della riflessione sulla durata dei processi la cui riduzione costituisce il principale obiettivo dichiarato del Governo Draghi.

Se le statistiche dicono che oltre il 35% degli italiani avverte l’insofferenza per la lentezza dei processi, una politica della giustizia efficiente impone l’attuazione del principio costituzionale consapevoli che la giustizia è  negata sia dall’ecces-siva durata del processo sia  dalla sua eccessiva breve durata.

Attuare il principio costituzionale del “ giusto processo”.

La ricerca del giusto equilibrio, o del “ giusto processo” come enunciato dalla Costituzione (il processo è giusto quando il giudice è indipendente e imparziale, l’imputato è davvero presunto innocente, il diritto di difesa è salvaguardato etc …), implica, anche ma non solo, – ed è questo l’aspetto di maggior difficoltà – una equilibrata modulazione delle eccezioni  alla regola del contraddittorio tra accusa e difesa per la formazione delle prove penali.

Sul punto, osserva il Prof. Mario Chiavario, è opportuno, per le forze politiche, ciò che già in generale  sarebbe auspicabile: ”ossia quel sapersi tenere lontane dal legarsi pregiudizialmente a specifiche soluzioni dei problemi tecnici che sono coinvolti ma piuttosto esser capaci di favorire anche al proprio interno il confronto e il dialogo.”

Di fronte a problemi del genere- aggiunge il Prof. M. Chiavario – devono essere care due esigenze: “da un lato, quella dell’universalità delle garanzie, che non sono sacre e inviolabili quando si tratta di sé e dei propri amici, per diventare  un trascurabile optional quando si tratta di gente diversa e in particolare di avversari (politici o d’altro tipo); d’altro lato, quella della lotta contro i dinieghi e gli aggiramenti di garanzia (anche da parte di magistrati onesti e capaci ma troppo convinti delle proprie personali onestà e capacità) e però anche contro gli abusi di garanzia (come quelli di imputati che si avvalgano del diritto di presenza in udienza, giustamente loro conferito dalla legge, per minacciare, con la pretesa di non essersi allontanati, vittime o testimoni.).

La mediazione e la giustizia “ riparativa

Un’altra prospettiva, coltivata dal Governo Draghi, riguarda una giustizia legalmente “alternativa” a quella tradizionale. Si tratta della “ mediazione “ e “negoziazione assistita”  che tende, in  campo civile, a limitare l’espansione della litigiosità  e della giustizia “riparativa” che, in campo penale, considera maggiormente rieducativo che al male insito nel reato non si risponda con altrettanto male. Entrambe  sono espressione di una concezione personalista della giustizia  che privilegia un modello improntato alla salvezza della relazione tra le parti in conflitto riconoscendo alla vittima un ruolo di protagonista.

La rivoluzione culturale insita nel modello della giustizia “ riparativa” implica la presa di coscienza collettiva che un uomo recuperato non è più pericolo ed  una vittima che ha perdonato  ha cicatrizzato la ferita. Entrambi sono restituiti “sani e salvi” alla società.  Recupero e perdono, dunque, delineano una concezione della funzione della pena che sfugge al concetto di giustizia spietata ed esemplare per approdare al concetto di giustizia utile al reo,alla vittima ed alla società.

Ma dove affondano le radici della giustizia così intesa ? Nella Bibbia, troviamo i germi della giustizia intesa come relazione. Nella Bibbia il “giusto”  è colui che riconosce nell’altro un fratello e non chi osserva fedelmente una norma imposta ( magari ingiusta o, addirittura, immorale).

Il sistema giuridico classico si fondano sul modello di “ giustizia retributiva” che risponde ai seguenti interrogativi:  quale legge è stata violata ? Chi l’ha violata ? Quale punizione dare ?

In questo sistema la vittima e la comunità civile non hanno voce, mentre la rieducazione viene affidata al sistema carcerario (la cui capacità rieducativa è fortemente deficitaria come i dati lo confermano con il 68 % di recidiva)

Il modello della giustizia riparativa parte, invece, dalle seguenti domande: chi è colui che soffre ? Qual è la sofferenza ? Chi ha bisogno di essere guarito ?

Questo modello ha il merito di permettere alle vittime di svolgere un ruolo attivo nel perseguire la giustizia, sia di restituire alla società la responsabilità della rieducazione.

A questo proposito il Compendio della dottrina sociale della Chiesa (n.403)  va oltre quando dice che la pena  “ deve anche promuovere una giustizia riconciliatrice, capace di restaurare le relazioni di armonica convivenza spezzate dall’atto criminoso”.

 Il nostro auspicio, in conclusione, è che la delega al governo a disciplinare in modo organico  la giustizia riparativa tenga in conto, anche nella formazione dei mediatori, dei principi fondanti, anche morali, per dare effettiva attuazione alla Direttiva 2012/29/UE che definisce la giustizia riparativa come “qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale” ( art.2).  ( Segue )

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