Nei documenti sul lavoro che ha curato – e di cui si è già detto su queste pagine – Roberto Pertile (CLICCA QUI), prendendo le mosse dalla ferita inferta alla coesione sociale dalle diseguaglianze, che l’attuale sistema di rapporti tra capitale e lavoro ha generato, oltre a ritenere superato e defunto il “neoliberismo”, indica, anzitutto, due indirizzi da assumere come linee-guida orientate alla ricerca di un nuovo paradigma, che non riduca sviluppo, crescita o progresso ad una mera dimensione quantitativa, a sua volta premessa di una costante enfatizzazione dei consumi.
In primo luogo, va compresa, governata, orientata l’innovazione. Adottando politiche industriali che siano in grado di premiare, sostenere, sviluppare significativi livelli di ricerca, diretti a consentire che l’ Italia e l’Europa possano reggere il confronto a livello internazionale. Si tratta di selezionare alcuni assi privilegiati di investimento sul piano scientifico e tecnologico, che tengano insieme risorse pubbliche e private, consentendo altresì di attrarre le migliori risorse intellettive, almeno quelle nate e formate nel nostro Paese. Anticipando, se possibile, nuovi ambiti tematici, comunque destinati a moltiplicarsi a fronte di un processo tecno-scientifico che avanza costantemente.
L’ “innovazione” è una delicata e pervasiva categoria generale del nostro tempo che richiede , anche nell’ ambito dei processi produttivi, una sofisticata capacità di tenere assieme ciò che va conservato – la cultura dell’ impresa e del lavoro, di cui è senz’altro ricco il nostro Paese – e quei fattori di articolazione che possano avvalersi della più spiccata creatività offerta dall’ irrompere delle tecnologie.
Questo implica che le modalità di rapporto tra i vari attori e fattori della produzione debbano inevitabilmente andare incontro ad una naturale evoluzione, ispirata da un lato alla valorizzazione della responsabilità sociale dello spirito d’ impresa, dall’ altra da altrettanta valorizzazione di tutti gli spazi possibili di generatività del lavoro che ne esaltino il senso compiuto e , dunque, concorrano ad una consapevolezza di sé del lavoratore, non più mero prestatore d’opera, bensì protagonista libero ed attivo del processo. Non a caso, Roberto Pertile parla della necessità di mettere allo studio quello che chiama nuovo “Statuto del Lavoro e dell’ Impresa”.
Come già detto nel precedente articolo, non si tratta di lasciarsi attrarre verso scivolose derive simil-corporative, bensì di dare dare forme nuove al “conflitto sociale” che – pur superando le tradizionali cornici interpretative del classismo e dell’ interclassismo che hanno dominato la scena del confronto sociale e politico ai tempi della prima repubblica – rappresenta, in ogni caso, l’ inevitabile e necessaria sorgente, il motore di una dialettica essenziale per la promozione dello sviluppo. In altri termini, in un contesto che quanto più è complesso, tanto più – a dispetto dei cantori dell’”uomo forte” – può essere governato solo a prezzo di di una vasta, ampia dilatazione, in ogni ambito di vita sociale, degli spazi di responsabilità personale, di maturazione civile e di partecipazione attiva alla vita della collettività, si tratta di far sì che anche i luoghi di lavoro concorrano, anche per quanto concerne le loro dinamiche interne, ad ampliare gli spazi di libertà e di democrazia da cui ha, quotidianamente, bisogno di trarre alimento il nostro ordinamento istituzionale.
Politica Insieme