Come recentemente evidenziato dal “Financial Times”, il punto nodale dell’impiego delle risorse del Recovery Fund da parte dell’Italia, su cui il Governo Draghi dovrà segnare una netta discontinuità con il passato, è rappresentato – per usare le parole di Lucrezia Reichlin – dalla «incapacità strutturale dell’Italia di spendere denaro, che dipende dalla capacità del settore pubblico di prendere decisioni, porre in essere processi trasparenti ed effettuare audit‎». Il corretto utilizzo delle risorse a disposizione (il cosiddetto “debito buono”) dipenderà dal grado di efficienza dei processi decisionali che a monte e a valle determineranno le relative scelte di impiego. Sarà proprio su questo terreno che si giocherà l’esercizio della “sovranità sussidiaria” o “strutturata”, che dir si voglia, da parte del nostro paese.

Affrontare l’emergenza sanitaria, sociale ed economica richiederà l’adozione di precise scelte di intervento pubblico e, quindi, processi decisionali che dovranno essere in grado di condurre a risultati coerenti con l’ordine giuridico-economico europeo, dunque: limitato nel tempo, ispirato a logiche di sussidiarietà e teso non ad occupare gli spazi propri della società civile, bensì a sostenerne l’iniziativa in una logica inclusiva e non estrattiva, per effetto della quale l’allocazione dei benefici dell’intervento pubblico possa essere oggetto di un diffuso vantaggio sociale, piuttosto che di rendita politica. È questa una precondizione per la ripresa e la resilienza del nostro sistema economico e, in ultima analisi, per la sostenibilità nel tempo del nostro modello di protezione dei diritti fondamentali della persona.

Riteniamo che la conformità delle scelte di intervento pubblico all’ordine giuridico-economico europeo segni un’assoluta novità rispetto ad altre stagioni di interventismo pubblico. Dal momento che tali scelte sono l’esito delle dinamiche politiche e dell’azione amministrativa, per assicurare la conformità è necessario poter contare su un coerente ordine giuridico-politico. Il funzionamento di tale ordine (regole per il gioco e regole del gioco) dovrebbe promuovere l’adozione di comportamenti cooperativi in grado di condurre (in via indiretta) l’interazione dei diversi attori che si confrontano sulla sfera pubblica (partiti politici, burocrati, elettori, portatori di interessi, etc.) verso esiti sociali soddisfacenti.

L’efficienza dei processi decisionali rappresenta una condizione essenziale per un’allocazione delle risorse funzionale alla tutela dei diritti fondamentali della persona e ad un ampliamento del benessere sociale complessivo, benché ci tocchi registrare quanto tale consapevolezza sia ancora poco matura, soprattutto a livello politico; al prossimo esecutivo toccherà il compito di supportare un simile processo di maturazione.

Continuare a rimandare il problema dell’efficienza allocativa dei processi decisionali pubblici – illudendosi che essi possano venir meno semplicemente per effetto di una maggiore possibilità di ricorrere alla spesa pubblica – rischia invece di aggravare il problema della sostenibilità sul piano finanziario del nostro paradigma garantista e della compatibilità di quest’ultimo con un sistema economico che, superata l’emergenza, rischia di degenerare verso forme di maggiore dipendenza dal settore pubblico, con conseguente aumento dello stock di debito e minore capacità di ricorrere agli stabilizzatori automatici. Sarebbe un esito nefasto, dovendo fare i conti con una società bloccata, incapace di innescare i processi di mobilità sociale tipici delle democrazie liberali: la distruzione creativa, causa efficiente della qualità dei processi decisionali pubblici.

Si tratta allora, prim’ancora di interrogarsi su quali interventi è opportuno che rientrino nel Recovery Plan, di ripensare le regole dei processi decisionali, in quanto condizioni necessarie affinché l’intervento pubblico possa rispondere contestualmente alle esigenze di equità, espresse dal paradigma costituzionale garantista, e a quelle di efficienza, in assenza della quale, la stessa effettività dei diritti fondamentali potrebbe essere messa seriamente a rischio, non solo in termini di sostenibilità finanziaria, ma di tenuta complessiva della relazione che lega i diritti ai doveri costituzionali.

Flavio Felice  e Fabio G. Angelini

Pubblicato su “Il Sole 24 Ore”

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