Ci avviamo ad un nuovo anno.

Abbiamo attraversato solo i primi venti del nuovo secolo eppure già siamo posti di fronte a tematiche che, con ogni probabilità, lo impegneranno per intero, a cominciare dal fenomeno delle migrazioni.

Siamo avanzati solo di un piccolo passo nel terzo millennio dell’era cristiana e ci inoltriamo in un tempo inedito.

Siamo incalzati e provocati da trasformazioni che suscitano l’impressione che l’umanità si stia avvicinando ad una “singolarità’” del tempo, cioé ad un passaggio dirimente della sua storia evolutiva, contrassegnato dalla questione antropologica, cioè dalla “cifra” verso cui convergono ed in cui si compongono i processi che, oggi, non sapendo dire meglio, assembliamo nelle parole della globalizzazione.

L’emergenza ambientale e l’inaccettabile divario tra Paesi ricchi e Paesi poveri; il tema della pace e le prime forme di una concezione planetaria del globo; la crisi epocale del vecchio sistema economico-produttivo; la crescita esponenziale della comunicazione; le migrazioni e la creazione di società multietniche; l’incremento incessante della conoscenza scientifica e gli impensabili sviluppi della tecnica e delle biotecnologie, in modo particolare; la domanda inevasa di una nuova consapevolezza morale indispensabile a governare queste nuove potenzialità: si tratta di percorsi che, nel loro insieme, esigono un nuovo e più alto livello di autocomprensione dell’umanità e forgiano una nuova concezione che l’uomo va, via via, sviluppando di sé, della vita e della storia.

Quasi come se, un’altra volta, fossimo posti nel giardino dell’Eden e di fronte all’albero della vita, dovessimo ancora scegliere se cogliere o meno il frutto acerbo dell’autosufficienza, nel segno della promessa di una infinita e presunta potenza oppure accettare di confrontarci con il limite della nostra finitudine.

E’ come se venissimo “consegnati” a noi stessi e, se finora siamo avanzati in ogni campo attraversando a briglia sciolta sterminate praterie, ora ci avvicinassimo a frontiere – è il caso, ad esempio, del transumanesimo o delle più ardite esplorazioni spaziali – che ci costringono a chiederci chi siamo davvero, come è perche’ siamo capitati da queste parti e dove siamo diretti.

Insomma, niente di nuovo o meglio le domande classiche ed imprescindibili della filosofia di ogni tempo, riproposte, però, con un’urgenza ed una immediatezza del tutto nuove.

Basta enunciarle per avvertire come, nella coscienza disarticolata e nel turbamento profondo del nostro tempo, tali domande evochino risposte che, oggi meno di ieri, la stessa riflessione filosofica non è in grado di soddisfare pienamente, se, a sua volta, non trova un terreno irriducibile di verità su cui attestarsi.

Tutto ciò rinvia, quindi, ineluttabilmente al dato originario che la vita è un dono e, poiché un dono è tale se viene a sua volta donato, il fatto stesso di accoglierla – non secondo un’accezione concettualmente astratta, bensì da parte di ciascuno secondo la personale concretezza del proprio vissuto – ne disegna, per ciò stesso, l’indirizzo ed il destino.

E forse questo, se vogliamo, ha a che vedere, soprattutto per i credenti, perfino con l’impegno politico, inteso come “compito di verità” e “obbligazione” cui non si può sfuggire, se alla politica pensiamo secondo l’invito di Paolo VI a ritenerla come la più alta forma di carità.

Questa affermazione di Papa Montini non significa, forse, come la stessa politica – per quanto sempre opinabile sul piano fenomenico delle sue mille, controverse e contraddittorie manifestazioni – non possa essere consegnata, nel suo fondamento, alla cultura del pensiero debole e del relativismo, bensi’ abbia necessariamente a che vedere con la verita’ dell’uomo e della vita?

E possiamo – se non altro chi, almeno una volta, ne abbia avuto l’istinto – abbandonare la politica al suo destino, se questo significare rinunciare alla piu’ alta forma di espressione della carità?

Questa urgenza di un tempo impellente – che non sopporta la nostra inerzia e cammina verso di noi più velocemente di quanto non sia celere il nostro passo, cosicché rischiamo di farci trovare in mezzo al guado ed impreparati quando le sfide epocali che reca in sé raggiungeranno il punto più alto della loro maturazione – è forse l’avvertenza che dovremmo trasmettere anche a chi trae ispirazione da altre culture, ma come noi avverte il respiro di un tempo inesplorato che spazza via le vecchie categorie interpretative e ne pretende delle nuove; esige insomma – e si tratta di un impegno da condividere – una “metanoia” della coscienza e del cuore, ma anche della ragione e della mente.

Dovemmo pensarci seriamente nell’atmosfera sempre un po’ surreale, ma pur sempre intrisa di attesa e di speranza che accompagna la nascita di ogni anno nuovo.

Domenico Galbiati

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