Tanto tuono’ che non piovve. Lo si potrebbe dire dell’incontro tra cattolici-democratici, reduci dall’esperienza della Democrazia Cristiana e marxisti, orfani del Partito Comunista che, negli auspici dei fondatori del PD avrebbe dovuto costituire la piattaforma elettorale di quella “vocazione maggioritaria” che, al contrario, è finita in soffitta. Il risultato, per quanto concerne gli elettori di area cattolica, non è stato, diciamo così, brillante.

In parte, ha concorso a spingerne parecchi, a maggior ragione, verso la destra; in diversa misura ne ha spiaggiati altri sul bagnasciuga dell’astensione, dove tuttora sono internati. Ora pare che timidamente, attraverso i  sei saggi delle “agora'”, il PD provi a riproporre quella maionese di culture politiche che già una volta è andata a male. Sono arruolati tutti gli ingredienti del caso: due cattolici autorevoli e molto rappresentativi, mondo lgbt, quel po’ di verde che basta e non manca Cottarelli. Che sia la volta buona? E’ lecito dubitarne dato che l’operazione avviene ancora a freddo, né potrebbe essere diversamente visto che ne mancano i presupposti concettuali e, per di più, in “zona Cesarini”, cioè nell’imminenza di un rilevante appuntamento elettorale.

Per parte nostra continuiamo a pensare che i partiti non siano spezzatini tenuti assieme da una comune ambizione elettorale, cioè aggregati sostanzialmente funzionali ad un consenso che non sia in grado di insistere su una visione politica effettivamente condivisa. Né possano empiricamente risolversi in una funzione meramente pratica, ma debbano, piuttosto, ciascuno per la propria parte, anziché camuffarsi in più o meno appropriati cartelli elettorali debbano – soprattutto in questo momento di trasformazione – chiarire agli elettori quale sia  il loro retroterra culturale, la concezione di riferimento che cercano di tradurre sul piano dell’azione politica.

C’è, peraltro, da chiedersi come sia possibile che dall’una e dall’altra parte – Berlusconi con la recentissima intervista al “Giornale”, ora Enrico Letta – ci sia così poco rispetto ed, in fondo, nessuna stima dell’elettorato cattolico, al punto da ritenere che basti sventolare qualche bandierina perché i cattolici al voto seguano il “pifferaio magico” di turno. E questi ultimi, in definitiva, dovrebbero prendersela anzitutto con loro stessi, visto che si sono, da quasi trent’ anni a questa parte, adattati al ruolo di ascari, sostanzialmente al servizio di altre culture.

Eppure hanno tutti i presupposti di ordine storico e culturale, di carattere sociale, di rilevante impegno civile, di cultura politica – ed anche ricchi della loro appartenenza ecclesiale – che consentirebbe loro di sviluppare una ruolo da protagonisti nella vita del Paese. Per parte nostra ribadiamo il valore dell’ ”autonomia” e siamo ancor più convinti della necessità che, pur considerando il pluralismo politico dei cattolici un dato acquisito, un partito di forte, chiara e coerente “ispirazione cristiana” – che nulla abbia a che vedere con la deriva integralista del cosiddetto “partito cattolico” – si proponga di essere presente sulla scena politica del nostro Paese.

Domenico Galbiati

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