Il punto delle questioni in gioco – in Italia e non da meno in Europa – è pur sempre di ordine “politico”. Né tale carattere potrebbe essere aggirato neppure se scoppiasse tra il governo e le opposizioni un’idilliaca convergenza, ad esempio, sul salario minimo o su altri provvedimenti di carattere sociale.

E’ sempre esistita una “destra sociale”, come vi fu pure un “fascismo sociale”. Il quale, come tale, pur sempre fascismo restava, per quanto abbia offerto a taluni il pretesto per sostenere che Mussolini avrebbe fatto anche tante cose buone. Non vorremmo – “si parva licet componere magna”, come dice Virgilio – che, in un certo qual modo, succeda cosi anche con l’attuale governo della destra, cosicché una qualche reverenza riservata alle opposizioni in ordine al salario minimo, possa essere salutata come una svolta, tale non solo da contenere la “polarizzazione” del sistema – il che, di per sé, sarebbe auspicabile – ma addirittura da revocare in dubbio che abbia senso raffigurare la dialettica politica nel nostro Paese, ricorrendo ancora alla classica distinzione tra destra e sinistra.

Categorie che sicuramente vengono da lontano, storicamente datate ed insufficienti, almeno nella loro classica versione, a dar conto delle “transizioni” che, se non vogliamo cedere all’ automatismo degli eventi, dobbiamo inventare e governare. Eppure ciò non toglie che il problema non sia mai o almeno non sia mai soltanto “cosa fare”, ma anche – anzi, in primo luogo, in un contesto plurale di culture dissimili sia dal punto di vista ideale che in quanto a radici storiche e radicamento sociale – “con chi”, con quali alleanze tra forze che hanno differenti visioni del mondo, fare riforme che pur, in quanto tali, si possono condividere, magari mediandone forme consonanti che favoriscano la condivisione degli uni e degli altri.

La dinamica della cosiddetta “prima” Repubblica” è stata sempre connotata in tal senso. Il progressivo allargamento delle basi democratiche dello Stato – dalla coalizione centrista composta da De Gasperi tra forze cattoliche e laiche, alla svolta storica del centro sinistra e poi, soprattutto, alla politica della “solidarietà nazionale” – è avvenuto, superando progressivamente pregiudizi e resistenze, attraverso la progressiva e paziente maturazione di intese che, per quanto sicuramente problematiche dal punto di vista programmatico, hanno trovato il loro punto dirimente sul piano strettamente politico.

Sia sul piano interno, dove hanno dovuto “affiatarsi” visioni di fondo, talune perfino fortemente “ideologizzate”, non esattamente coincidenti. Sia, addirittura, in ordine ai riflessi internazionali degli indirizzi politici che l’Italia andava via via assumendo. In altri termini, le forze politiche si definiscono – e, dunque, vanno giudicate – anzitutto in ordine ai valori di libertà solidale e di giustizia equanime che fanno propri.

In ordine alla forma di Stato che intendono promuovere, circa la concezione che assumono in tema di ordinamento democratico, democrazia rappresentativa, centralità effettiva del Parlamento, rispetto della separazione dei poteri.
Così per quanto concerne il ruolo dei partiti, la valorizzazione dei corpi intermedi, il rispetto delle autonomie locali entro una visione unitaria del Paese, l’ ampliamento della partecipazione democratica.

Su questi punti è legittimo attendersi che la destra, se ritiene, faccia capire di che pasta è fatta, piuttosto che insistere su presidenzialismo ed autonomia differenziata, tanto per cominciare. Cambierebbe nulla o ben poco se il “populismo” leghista si tingesse di una nuance “social” e così il nazionalismo meloniano.

Del resto, questa chiave di lettura vale anche per le opposizioni. PD e Movimento 5 Stelle potranno pure convenire su alcuni aspetti programmatici, ma non si illudano di poter creare chissà quale fronte unitario. Restano forze ben diverse, che rispondono a culture politiche ed intuizioni originarie che nulla hanno a che vedere le une con le altre.
Il PD, per quanto abbia sciupato questa chance, è pur sempre la ricercata sintesi tra le grandi culture popolari del nostro Paese ed i 5Stelle il partito del “vaffa”.

Ogni forza politica può evolvere ed emendarsi, ma non può svellere le radici dal un terreno in cui sono germogliate e trapiantarle altrove. Con il che, se quelle sono le radici, quella e non altro è la linfa che possono trarre dall’ humus che le ha alimentate. Ed il tempo non mancherà di essere di ciò buon testimone.

Domenico Galbiati

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