La prospettiva analizzata da Alessandro Barbano nel suo più recente libro: La visione. Una proposta politica per cambiare l’Italia  (Mondadori, 2020), rappresenta un tentativo di andare oltre gli steccati delle ideologie politiche del ‘900. La domanda posta dall’autore è se, al giorno d’oggi, dopo decenni di populismo, di paternalismo e con l’approdo ad un sovranismo del tutto fuori tempo e luogo, in Italia ci sia spazio per l’implementazione di una cultura politica riformista.
Il riformismo al quale pensa Barbano è la risultante dell’incontro di tre culture politiche, le quali, durante il ‘900, hanno spesso mostrato di essere in conflitto tra loro. Le culture politiche alle quali fa riferimento l’autore sono il liberalismo, il liberal-socialismo e il popolarismo. L’esigenza di individuare un punto d’incontro tra le suddette culture nasce dalla constatazione che il ritardo in cui versa il Paese e il suo declino non sarebbero l’esito di una crisi congiunturale, quanto il risultato di un mancato incontro tra le anime riformiste e l’emergere di culture politiche che si ispirano al populismo e al paternalismo.
Proprio il populismo e il paternalismo appaiono i due obiettivi polemici verso i quali Barbano indirizza la sua riflessione, sostenendo che la ricerca di un ipotetico «salvatore della patria» rappresenta la «suggestione infantile di una democrazia». Una condizione patologica che impedisce di comprendere il ruolo autentico dell’azione politica in una società libera e le fonti di legittimazione di coloro che sono chiamati, pro-tempore, all’esercizio del potere; tale patologia non censente di cogliere le possibili soluzioni e ci costringe a vivere nel pantano in cui tutto appare necessario, inevitabile e immodificabile.
Volendo sintetizzare, cercando una definizione di populismo che tenga insieme le svariate declinazioni di un concetto tra i più usati e abusati nell’attuale dibattito politico, con Dario Antiseri, potremmo dire che il populismo è quella concezione della politica in cui si stabilisce un legame mistico tra ciò che il popolo pensa e spera e ciò che il capo teorizza. Il carattere mistico di tale legame consiste nel fatto che alcuni si ritengono i puri, i migliori, gli eletti e tutto il resto è putridume, marciume; in pratica, una setta con un dogma, una verità inconfutabile, e, nel momento in cui il
capo cambia opinione, ecco che fatalmente cambia anche la verità e si assume un nuovo dogma.
Al populismo si aggiunge un secondo obiettivo polemico, che del primo rappresenta l’implementazione in termini di public policy; ci riferiamo al paternalismo, al kantiano «imperium paternale». Per paternalismo, in estrema e impossibile sintesi, intendiamo quel complesso di politiche sociali ispirate ad un principio autoritario (soft o hard), fatto di attività assistenziali, la cui finalità è di neutralizzare le istanze democratiche; una sorta di anestetico sociale che disinnesca qualunque processo di inclusione sociale di tipo competitivo che metterebbe in discussione gli assetti di potere consolidati; secondo la definizione di Danny Scoccia: «P limita la libertà di Q o interferisce nelle sue scelte, andando contro la sua volontà, operando senza il suo consenso o contro le sue preferenze, con il pretesto di agire per il suo bene».
Ebbene, la domanda di Barbano incrocia alcuni punti irrisolti della cultura politica italiana: il rapporto tra socialismo e liberalismo, tra popolarismo e liberalismo e, al suo stesso interno, il rapporto tra le diverse anime del liberalismo; ad esempio, tra liberalismo di matrice anglosassone e lo stesso di matrice continentale. Per questa ragione, Barbano afferma che di fronte ai grandi problemi cui posto il nostro Paese: il «dirittismo sociale», il «corporativismo», la democrazia in «ostaggio di minoranze organizzate», la cultura riformista può fiorire solo dal dialogo tra le culture politiche del liberalismo, del socialismo non marxista e del popolarismo sturziano, svincolati tuttavia dai vecchi contenitori.
L’incontro tra le culture politiche del liberalismo, del liberal-socialismo e del popolarismo sturziano vede nella prospettiva teorica dell’economia sociale di mercato un interessante esperimento di implementazione dei principi di libertà e di responsabilità, di giustizia e di solidarietà, avendo a cuore le ragioni dello sviluppo, compatibile con il rispetto dell’ambiente, e quelle della democrazia di stampo liberale.
Flavio Felice
Pubblicato su Avvenire

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