La nostra “autonomia”, come suggerisce Giancarlo Infante, deve valere non solo come dato di schieramento, ma pure come originalità di una proposta che, anziché intristirsi nel bisticcio obsoleto del “centro” piuttosto che dei “moderati”, metta a punto nuove categorie interpretative, nuovi indirizzi per una azione politica che sia all’altezza del nostro tempo.
Dobbiamo saper indicare alcune linee di fondo che, tagliando trasversalmente il campo delle tematiche che classicamente rappresentano i capitoli di ogni possibile programma politico, le porti a sintesi secondo una lettura ed un’indicazione operativa misurata sul lungo periodo che dica la prospettiva, la speranza, la “visione” che, per parte nostra, proponiamo al Paese.
Almeno alcune, ancora parziali e pur di caratura differente possiamo cercare di focalizzarle: anzitutto i “diritti sociali” devono rappresentare la pietra d’angolo del nostro progetto. Con essi, quelli connessi alla ” Persona” e alla difesa della vita e della dignità di ogni vita umana.
Dopo la lunga stagione di rivendicazione dei cosiddetti “diritti civili” che hanno rattrappito il soggetto nell’autoreferenzialità dell’individuo, è necessario cambiare verso. Il lavoro, l’educazione dei figli e la cultura, il diritto alla salute, la casa che possa ospitare anche l’anziano, la qualità dell’abitare la città e l’ambiente; il contrasto ad ogni forma di disagio, di marginalità, di esclusione sociale: insomma la famiglia ed il suo contesto come spazio della “relazione” che concretamente, senza l’ enfasi retorica delle parole abusate, riporti davvero la “Persona” al centro delle politiche dello sviluppo.
Il modo in cui si è affrontato negli ultimi anni la questione dei ” diritti civili” ha fatto assistere ad una sorta di ” distorsione” delle questioni antropologiche che emergono, in maniera sempre più evidente, nelle società occidentali. Il concetto del rispetto di ogni singolo individuo è stato trasformato in un’esaltazione dell’individualismo più esasperato, favorendo la scomposizione sociale e accentuando la contrapposizione generazionale, quella tra i territori e, persino, tra i popoli.
La dimensione “generativa” – e la sussidiarietà- non devono solo essere concepite in funzione di una nuova versione del welfare, ma come nuovo complessivo paradigma di una convivenza civile  fondata sul ruolo “attivo” del cittadino. Questi, a sua volta, rappresenta la condizione di governabilità sostenibile di una società in cui la “composizione del conflitto” deve avvenire non più solo nella dialettica degli aggregati sociali, bensì anzitutto nella maturità civile e nella coscienza interiore della singola persona.
Politiche di forte, intelligente investimento su un insieme integrato di azioni dirette a sostenere e valorizzare le giovani generazioni che oggi vivono, su più fronti, non solo una condizione di precarietà che mina la fiducia in un futuro credibile, ma spesso addirittura, soprattutto in quell’ età dello sviluppo – infanzia ed adolescenza – decisiva per la vita di ognuno, situazioni di carenza educativa, di privazione affettiva, di povertà economica, di regressione sociale che ne compromettono la vita e sono francamente indegne ed intollerabili in una società sviluppata.
Un nuovo “europeismo” che riscopra la forza, l’entusiasmo, la vocazione e la lucidità delle origini. L’Europa è sé stessa solo se va oltre i propri confini; se interpreta quella funzione di giustizia e di equilibrio nelle relazioni internazionali, di sviluppo umano e civile che corrisponde alla sua millenaria e stupefacente ricchezza culturale.
Per parte nostra, dobbiamo concorrere a riscoprire la dimensione “mediterranea” dell’Europa che oggi, non a caso, deve affiancare l’Africa in un processo di crescita libero, autonomo ed indipendente. Dobbiamo pensare ad una sorta di “aggregato euro-africano”, ad una reciprocità strutturata tale per cui il ” Mare Nostrum” sia davvero tale. Non più nel senso in cui Roma ne rivendicava l’ esclusivo possesso, ma, al contrario, nel segno di una condivisione delle due sponde, quasi di trattarsi non di un mare, ma del lago interno a tale vasta dimensione intercontinentale.
Né, fin d’ora, possiamo sottrarci – e le migrazioni ce lo segnalano ineluttabilmente – all’urgenza di comprendere l’evoluzione verso la formazione di società multietniche, multiculturali, multireligiose: un processo appena avviato che procede anche quando i barconi fanno meno notizia; un percorso che nessuno potrà arrestare perché sta nell’ordine delle cose e impegnerà, con ogni probabilità, l’intero secolo in corso ed oltre.
Dunque, Europa e Mediterraneo, sono questioni da non affrontare solamente in una dimensione economicista e di scambi commerciali, perché esse si collegano inevitabilmente al tema della Pace e alla necessità che cresca l’impegno contro la diffusione degli armamenti, di ogni genere.
Certo, oggi il nostro compito è quello di porci come un punto – non il solo, ci auguriamo – di aggregazione attorno ad una concezione della vita e della storia che, richiamandosi al messaggio cristiano, è fondata, per credenti e non credenti, su una concezione alta della nostra comune umanità.
Domenico Galbiati

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