Giorgia Meloni non ama i confronti aperti con la stampa. O viaggia per proclami solitari diffusi attraverso i video sui social o si sceglie delle quiete interviste. Molti parlano di arroganza, ma bisognerebbe, forse meglio prendere atto di insicurezza spesso celata dietro modi di fare alla decisionista.
Comunque, ieri, si è cimentata in una intervista con il sapore del bilancio umano e politico fatto a metà della possibile durata del suo governo. Un esecutivo per il quale ella è impegnata a scalare la classifica della durata (CLICCA QUI).
Nel corso del colloquio ha detto che la cosa di cui va più orgogliosa è il “sentir dire a molti italiani che hanno ritrovato un po’ di fiducia e di orgoglio. Siamo una nazione e un popolo straordinari, dobbiamo ricordarcelo sempre, diventare i migliori ambasciatori di noi stessi in un mondo in cui c’è una fame e una voglia di Italia che io tocco con mano ogni giorno e che spesso non riusciamo nemmeno a immaginare”.
L’Italietta che rispunta. Quella che ha bisogno sentirsi dire che è brava. E che continua sulla falsa riga di cose dette e ridette pure da tanti altri nel passato. Un minimo sindacale, insomma, per tirarsi un po’ su. E pensare che il compianto Guido Carli si arrabbiava a morte dinanzi alla solita domanda dei soliti giornalisti italiani, tra lo scontato e il disfattismo, che alla conclusione dei vertici finanziari internazionali continuavano a chiedergli se l’Italia avesse superato gli esami.
Ma al di là di questi aspetti che richiamerebbero anche una valutazione psico-analitica da mettere in campo, l’intervista alla Presidente del consiglio ci mostra una Giorgia Meloni che, per una parte, sta nel mondo reale e, per un’altra, da qualche altra parte. Illustra i dati che più le aggradano. Diciamo così, all’ingrosso senza considerare cosa essi significano realmente per la maggioranza dei cittadini, che sono anche consumatori e sanno bene come vanno realmente le cose. Lei resta alla vecchia statistica del “pollo a testa” facendo finta d’ignorare che pochi se ne spariscono tre e solo l’ultimo resta ai più.
E’ certo che la sua coalizione è coesa e compatta al momento del voto e della distribuzione del potere. Cosa fondamentale ad assicurare la compattezza, ma la realtà è che su tantissimi temi questa unità non c’è. E la cosa non fa bene all’interno dove i cittadini vivono un continuo tira e molla e le idee confuse su tantissimi provvedimenti attesi. L’ultimo è il caso del genericissimo impegno annunciato sugli incidenti sul lavoro. Ma potremmo aggiungere i vai e vieni sui bonus, sulle accise, sulle rottamazioni e favori agli evasori, come nel recente caso della rottamazione quinquies annunciata e poi bloccata. E così via.
Non fa bene neppure agli occhi degli osservatori internazionali. A partire dai più direttamente legati all’Italia, cioè gli europei. La conseguenza è quella di un Paese sistematicamente tagliato fuori dalle decisioni che contano, e sempre più in mano al trio Francia, Germania e Regno Unito. Per un’antipatia personale nei confronti di Giorgia Meloni? A quel che si sente dire, no. Ma è certo che il suo Governo è visto seguire, vedi il caso dei rapporti con Trump, una linea ambigua – non rimediata dal dirsi ieri “non subalterna” a Washington – e, dunque, guardato con sospetto. Pure a causa della sua “compatta” coalizione in cui c’è chi, ma solo ad esempio, su Putin la pensa diversamente. E questo costituisce un elemento che fa pendere per la sfiducia. Li vediamo Macron, Scholtz e Starmer disponibili a far giungere notizie delicate, là dove non devono giungere, attraverso qualche componente del Governo Italiano?
Ma Giorgia Meloni glissa su tutto ciò è fa finta di niente. Così come tace su Gaza. Il suo punto, infatti, è quello del durare a Palazzo Chigi. A qualunque costo. E la cosa le piace così tanto da cambiare idea e, allora, ci fa sapere dell’intenzione di ripresentarsi per la guida del Governo. Con ciò smentendo sue precedenti dichiarazioni.
E lo stesso vale per altri aspetti della situazione italiana. Gran vanto! In realtà, appare eccessivo appare. Almeno rispetto ai risultati raggiunti. Che, comunque, in qualche misura ci sono, ma ridotti rispetto al racconto che ne viene fatto. E’ il caso dei dati macroeconomici come quello del calo della produzione che continua da oltre due anni. Ed anche sull’occupazione permane il riferimento a dati Istat che vanno, invece, scomposti se davvero vogliamo avere un quadro da autentici “governanti”. L’aumento dei posti di lavoro potrebbe significare poco se non si approfondisce di quale lavoro si tratti. Per non parlare dei salari che ci dicono sulla “qualità” di quel lavoro visto che si tratta di remunerazioni “povere” e molto al di sotto della media di quelle dei principali paesi europei. E tutto questo dimenticando il ruolo positivo svolto grazie al “miracolo” del cambio di linea della tanto criticata Ue, come nel caso del Pnrr e la sospensione del Patto di stabilità. Figuriamoci in che condizione ci saremmo trovati altrimenti.
E’ vero altri non stanno meglio. A partire dalla Germania. Si tratta di “locomotive” che avanzano a fatica, ma che potrebbero distanziarci ulteriormente nel prossimo futuro se l’economia mondiale riprendesse a correre.
Ecco, noi avremmo bisogno che i nostri governanti cominciassero davvero a vivere in un solo mondo, quello della realtà delle cose. E con l’onestà intellettuale di approfondire e spiegare. A costo di avere interviste lunghe il doppio o il triplo, ma cariche di verità e di sincerità politica.
Sarebbe più utile anche se non si continuasse a concepire la politica internazionale come una questione di relazioni personali. Perché così non è. Gli italiani apprezzerebbero molto di più.