Segue la prima parte di questo intervento pubblicata il 23 agosto us ( CLICCA QUI )

Giovanni Paolo II indicò subito i rischi legati al fatto che il capitalismo, una volta scomparsa l’Unione Sovietica, restasse l’unica ideologia imperante e che, come scrisse nella Centesimus Annus( IV, 32 CLICCA QUI ), potesse imporre vincenti modelli di vita in termini radicali . Soprattutto grazie a un’idea di libertà, fortemente intrisa d’individualismo e di consumismo.

Sul capitalismo, da parte della Chiesa c’è una continuità di pensiero che giunge a Giovanni Paolo II sin dalla Rerum Novarum dopo aver già trovato, comunque, in Giovanni XXIII e in Papa Montini un’inedita, aperta ed esplicita sollecitudine verso un mondo sempre più in cambiamento per l’ampliarsi dell’anelito alle libertà e alla giusta mercede e con l’ingresso di nuovi continenti e popoli, almeno, nello spirito della modernità. Tutte cose che proponevano, ma ancora ripropongono, la necessità di superare le diseguaglianze e di portare a compimento la considerazione più piena della Persona, anche per ciò che riguarda la dimensione etica e della trascendenza.

Il riferimento di cui siamo alla ricerca, nel momento che ci poniamo il problema di ritrovare il ruolo propulsivo che l’ispirazione cristiana può dispiegare a favore dell’intero consesso umano, e di cui abbiamo parlato nella prima parte di questo intervento ( CLICCA QUI ), non può che essere nella visione di uno “ sviluppo di ogni uomo e di tutto l’uomo, preso non soltanto in un mondo isolato, ma anche e specialmente nel quadro di uno sviluppo solidale ed armonioso di tutti i membri di una nazione e di tutti i popoli della terra” ( 70, CLICCA QUI ). E’ in questi termini che, ancora Giovanni Paolo II, nella sua “Adhoratio Apostolica Postsinodalis Ecclesia in Africa” del 1995,  si richiama alla  Popolurum Progressio di 18 anni prima e, indirettamente, ricorda come la donna e l’uomo siano esseri materiali, ma  necessitati, al tempo stesso, di veder riconoscere e tutelata la “dignità dell’intelligenza, verità e saggezza” ( Gaudium et Spes, 15 CLICCA QUI ) perché alla ricerca di “una verità più profonda”. Abbiamo dunque ben presente che anche la politica deve considerare l’essere umano nella sua “unità ( Compendio della Dottrina sociale, 129 CLICCA QUI ).

La Chiesa non intende dirigere le secolari cose umane, ma sollecitare una ricerca dei paradigmi di riferimento ispirati alla solidarietà sì. Spesso lo fa anticipando, o cogliendo le anticipazioni più rilevanti dei fenomeni in divenire che interessano l’umanità.

Papa Benedetto XVI, così, sulla scia delle raccomandazioni del Pontifico Consiglio della Giustizia e della Pace ( CLICCA QUI ) dell’ottobre del 2011, ribadirà la necessità che la più dilatata dimensione globale dei problemi del mondo possa trovare una risposta adeguata attraverso la creazione di un nuovo ordine internazionale. A partire da ciò che riguarda il governo dell’economia e della finanza, senza per questo pensare, però, ad un suo conseguente possibile ordinamento in termini oligarchici, cioè come “un superpotere, concentrato nelle mani di pochi”( CLICCA QUI ).

Poi sarà la volta di Papa Bergoglio di cui vale la pena di ricordare, in particolare, l’enciclica Laudato Si’ del 2015 ( CLICCA QUI) seguita la “Oeconomicae et pecuniariae quaestiones” del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale del 2018 ( CLICCA QUI ).

Due documenti da valutare come un insieme giacché, oggi, l’umanità si trova di fronte alla necessità di una “conversione ecologica” e al passaggio verso un diverso modello di sviluppo destinato, certamente, ad andare oltre la finanza e l’economia che conosciamo oggi.

Dopo la rivoluzione agricola e quella industriale, con le relative trasformazioni urbane e commerciali,  è venuta l’ora della rivoluzione ambientale. Questa non è da intendersi solamente come una indispensabile salvaguardia dell’habitat in cui noi viviamo, di natura estetica ed utilitaristica, bensì posta in relazione ai problemi della complessiva trasformazione delle attività umane, tanto condizionate dall’attuale sviluppo tecnologico. In quanto, essa o sarà “integrale” o rischierà di non essere a dimensione umana. Come le rivoluzioni precedenti, essa riproporrà sicuramente  quella che Carlo Maria Cipolla, nel suo  “Uomini, tecniche, economie” ( Universale Economica Feltrinelli, 1960 ) definisce  una “ nuova storia” destinata a far vivere all’umanità un’altra delle “profonde  fratture nella  continuità del processo storico”.

E’ chiaro che i processi non guidati ci portano verso le direzioni più imprevedibili. Così, gli esseri umani, a partire da quelli che si dicono ispirati cristianamente, come ci dice la “Oeconomicae et pecuniariae quaestiones”, non possono “davanti all’imponenza e pervasività degli odierni sistemi economico-finanziari” farsi tentare dal rassegnarsi “al cinismo e a pensare che con le nostre povere forze possiamo fare ben poco. In realtà, ciascuno di noi può fare molto, specialmente se non rimane solo” ( CLICCA QUI ).

Abbiamo, dunque, indicata una possibile rotta da seguire per individuare il principale obiettivo della pubblica partecipazione dei cattolici nella più convinta e contemporanea laica adesione alla Costituzione: rispondere ai problemi sociali costruendo delle “reti comunitarie” indicate dalla Laudato Si’ sulla base della constatazione che la “conversione ecologica che si richiede per creare un dinamismo di cambiamento duraturo è anche una conversione comunitaria” ( 219, CLICCA QUI ).

Con i nostri limiti, ci siamo riferiti a tutto ciò nel momento in cui, con il lancio del nostro Manifesto ( CLICCA QUI ), ci siamo posti la domanda del che fare nel nostro Paese. Siamo giunti alla conclusione che  dobbiamo considerare superata l’ipotesi cosiddetta riformista e dedicarci ad indagare su come sia possibile, invece, giungere a una trasformazione radicale del Paese. Le sue condizioni fanno capire quanto sia necessario partire da una modifica della realtà politica ed istituzionale perché, solo in questo modo, si sarà in grado di assicurare un quadro di riferimento nuovo e costruttivo.

Nella prima parte di questo intervento, sono partito dalla constatazione che il mondo soffre di una mancanza di pensiero ( CLICCA QUI ). Così, la nostra iniziativa non può muoversi lungo né una logica esclusivamente declamativa e neppure solo organizzativista. Avere un bel simbolo, scegliersi un’adeguata denominazione, dotarsi dello statuto migliore al mondo non servono a molto se non c’è la robustezza di una linea politica e programmatica. E’ quello  mancato a tutte le espressioni del cattolicesimo politico nel corso degli ultimi due decenni e mezzo.

Un pensiero e un agire politico non possono essere ricostruiti attorno a una sommatoria di esperienze parziali, limitate, autoreferenziali, come quelle che ci ritroviamo in dote dopo 25 anni di diaspora e d’irrilevanza. Non è sommando l’associazionismo tradizionale, peraltro in una sua difficoltà specifica a cogliere le dinamiche della politica dopo decenni di disaffezione o disinteresse, che si possa ritenere di dare corso ad un moto realmente diffuso. Questo deve avvalersi della riscoperta di una nuova capacità d’individuare i fenomeni sociali cui la politica non riesce più ad assicurare una rappresentanza e una guida.

In questo senso è necessario liberarsi da alcuni errori concettuali. A partire dal credere che l’operare politico parta e si concluda esclusivamente con il voto. Nel momento in cui noi stiamo per dare vita a una forma organizzata di partecipazione alla vita collettiva sappiamo che, in realtà, la Storia insegna come ciò costituisca solamente il presupposto di quanto più conta raggiungere: una presenza politica. Poi ne segue, di conseguenza, la ricerca del consenso e del voto.

Se è riduttivo pensare di voler essere “lievito” nel senso di inserirsi, magari sparpagliati, in altrui progetti, è invece necessario intendere e vivere l’idea di farsi lievito nell’intera dialettica politica e sociale, quasi a costituire una pietra d’inciampo, sulla base di una proposta forte, specifica e organizzata e, quindi, realmente alternativa. Perché basata su contenuti ideali e progettuali: gli unici in grado di porre il Paese di fronte ad una scelta chiara e coraggiosa.

E’ partendo da questa considerazione che indichiamo un termine vincolante per noi stessi e per quanti sono interessati al nostro progetto: l’autonomia. Abbiamo sempre detto che essa non significa la più o meno “astuta”, e molto poco originale, proposta di mettersi opportunisticamente in una posizione d’equidistanza tra altri partiti contrapposti. La nostra scelta dell’autonomia viene sollecitata dal giudizio negativo che diamo sull’intero attuale quadro politico e, dunque, dal rifiuto di concepire una collocazione di schieramento avulsa da un’analisi delle questioni che politica e istituzioni dovrebbero definire e condurre. Prefiguriamo, allora, una proposta alternativa alla destra come alla sinistra e ad ogni altra presenza politica oggi disponibile, perché esse ci appaiono tutte insufficienti.

Alla destra diciamo che il nostro impegno per la libertà, per tutte le libertà, non è astratto perché lo leghiamo a processi internazionali ben precisi, in esso spicca quello europeo, all’evoluzione di un’economia che non può dimenticare la necessità di superare gli squilibri sociali e geografici, ciò che ci tiene lontani dalla Lega e da Giorgia Meloni. Alla sinistra ricordiamo che non può bastare il richiamo allo scontro con Matteo Salvini per farci accantonare la nostra visione che, anche per quanto riguarda le dinamiche economiche e sociali, noi vediamo partire e tornare alla Persona intesa nella sua completezza. Siamo forti di una visione antropologica del tutto diversa da quella intrisa di un individualismo radicaleggiante di cui è finita per farsi interprete la sinistra che fa proprio il pensiero liberista / individualista.

Ciò che con maggiore profondità ci fa parlare di autonomia parte dalla consapevolezza, e la certezza, che siamo gli unici che possono provare a mettere insieme Costituzione e Dottrina sociale della Chiesa, intesa nella sua integralità. E’ il riferimento a una sostanza di pensiero e di pratica attenta all’umanità, in un’accentuazione piena dei valori della libertà, della Vita, che per noi va dal concepimento alla morte naturale, delle relazioni interpersonali, in particolare quelle tra una donna e un uomo, e del loro articolarsi attraverso la famiglia e la libera partecipazione alle dinamiche civili più estese.

Correlarsi a quanto è emanazione dell’essenza naturale della vera libertà dell’umanità riguarda, ovviamente, anche il mondo del lavoro, di cui oltre la difesa della giusta mercede e della dignità di ciò che rende ogni essere umano affrancato  e pienamente consapevole di se stesso, appunto il lavoro, fa parte anche la libera attività d’impresa.

L’evoluzione tecnologica, quella degli strumenti finanziari, l’ampliarsi del commercio internazionale e degli scambi si sono aggiunti al superamento culturale di un’angusta visione marxista che, per oltre un secolo intero, ha limitatamente visto nella libertà d’intraprendere e nell’azienda un nemico, invece di concepirla come luogo in cui fosse possibile sviluppare nuove relazioni tra capitale e lavoro, legati come sono da una interdipendenza diretta.

Siamo consapevoli, dunque, di quali sono i riferimenti attorno cui è possibile organizzare il “pensiero forte ” di cui parla il nostro Manifesto e grazie al quale è possibile concretizzare il possibile ruolo propulsivo di un’ispirazione cristiana nella società contemporanea. ( Segue )

Giancarlo Infante

Immagine utilizzata: Pixabay

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