“Il nostro tempo è connotato da fenomeni di portata epocale quali quelli della nuova globalizzazione, della quarta rivoluzione industriale, dell’aumento sistemico delle diseguaglianze sociali, degli straordinari flussi migratori, delle questioni ambientali e climatiche, della caduta di valori etici, nelle sfere sia del privato sia del pubblico. Le passioni ideali della solidarietà e della tensione civica sono sostituite da egoismi sociali e dall’individualismo libertario. Non basta allora “ri-formare”, occorre piuttosto “tras-formare”.

Questo dal nostro Manifesto lanciato lo scorso novembre ( CLICCA QUI ) sulla base della convinzione che in politica s’interviene se c’è un “pensiero forte” da sostenere e da portare al confronto con le altre forze e organizzazioni. Altrimenti, resta il tentativo di muoversi sulla base della mozione degli affetti per esperienze del passato che sono state sì importanti, ma oggi del tutto impraticabili; altrimenti, c’è il rischio di ripiegare sui problemi della sola propria “parte” e finire a fare un partito “recinto” la cui palizzata è tutta intrisa d’integralismo e autoreferenzialità.

La politica invece, non solo quella italiana, ci conferma che “il mondo soffre per mancanza di pensiero” come ebbe già modo di sostenere san Paolo VI nella Populorum Progressio ( 85, Appello Finale CLICCA QUI ).

Il magistero di Papa Montini, sofferente per ciò che già vedeva nel procedere del mondo verso la “desertificazione” del pensare politico contemporaneo, fu speso molto nella direzione di rendere sempre più resiliente l’interesse verso la cosa pubblica sulla base di una visione sociale, solidaristica e comunitaria.

Se il mondo non è migliorato, però, c’è da chiedersi quanta responsabilità abbiano avuto anche i cattolici visto che pure loro non sono riusciti a fermare una deriva del tutto inconciliabile con i principali diritti dell’umanità che aspira alla Pace, all’uguaglianza, al rispetto della Vita, ad un’equa amministrazione della Giustizia, al godimento da parte di tutti dei progressi della scienza e delle sue applicazioni tecnologiche.

In effetti, resta ancora insoluta la questione dello svolgimento del compito “politico” da parte dei cristiani nella società contemporanea.

Questo è un buon tema che ci possiamo dare da sviluppare in quel che rimane di un’estate diversa dalle altre in un anno funestato dal Coronavirus. Sarebbe bello che la stesura del componimento fosse il frutto di una partecipazione corale all’elaborazione di pensiero non fine a se stessa, bensì capace di portare all’individuazione di quello che richiede la nascita di un’iniziativa politica circuente, nel senso di divenire persino positivamente plagiante e d’inclusione. Bene sarebbe avviare una riflessione ancora più ampia su quello che oggi ci dice, con tanta efficace attualità, il Pensiero sociale della Chiesa e individuare ciò che è in grado di essere portato ad un adeguato livello di una piena partecipazione politica.

Viviamo un’esperienza insolita che spinge a precisare sempre più la qualità dell’analisi. Provando, magari, a porsi al di sopra della caducità di quanto ci prospetta la modesta cronaca della politica corrente.

Siamo tutti costretti, per la prima volta si ritrovano nella stessa condizione sette miliardi circa di esseri umani, a rivedere le certezze acquisite negli ultimi secoli. Quelle basate sull’idea che sia inevitabile attendersi un continuo sviluppo ed essere affrancati definitivamente da fenomeni naturali come le carestie e le epidemie, ciò che nel mondo occidentale sembrava destinato a scomparire  a seguito delle rivoluzioni industriali e scientifiche.

Come l’infinitamente grande dell’Universo, anche l’infinitamente piccolo del mondo dei microrganismi conferma i nostri limiti di conoscenza e di prevenzione. Dopo la “morte” di Dio, dunque,  è giunto il decesso dell’aspettativa illuministica e della scienza?

Ancora resiste il “denaro”, quale figura guida nell’esistenza umana, ma anch’esso sta inciampando nella pandemia. O, almeno, inciampano le regole che ne hanno scandito l’esistenza nel corso degli ultimi decenni. Come ha appena ricordato Papa Francesco ( CLICCA QUI ), con il Coronavirus è venuta la conferma che l’economia è malata.

Senza illuderci, allora, di essere capaci di trarre una lezione dalla pandemia, dobbiamo constatare  come il virus abbia messo a nudo i principi imperanti, il cosiddetto “main stream”, cui adeguiamo, o un incombente “pensiero unico” spinge ad adeguare i nostri modelli di vita, gli usi, il modo di guardare e partecipare ai processi economici, gli schemi delle relazioni sociali proprie di quella che possiamo chiamare la logica capitalista e di  quel suo prodotto esistenziale che definiamo individualismo.

Il fatto che un modello antropologico, gli stimoli culturali e persino gli equilibri economici del capitalismo siano messi in discussione dal suo stesso  interno dalla cosiddetta finanziarizzazione della realtà economica poco cambia. Il problema infatti sarà solo quello di vedere a quali sbocchi giungerà la trasformazione avviata dopo la fine del mondo comunista sovietico e le conseguenti questioni dell’organizzazione del potere, dell’autorità, della gestione delle conoscenze e dell’influenza sulle coscienze e, quindi, della guida d’intere società.

I futuri processi evolutivi potranno essere governati o meno democraticamente e sulla base di una effettiva ricerca del bene e del benessere comune, cose diverse dal consumismo dei nostri giorni?

Resta la domanda su fino a che punto il capitalismo, lasciato esclusivo padrone e attore della formazione e organizzazione del pensare collettivo, sarà in grado d’imporre un modello di umanità dipendente da un unico paradigma economico in cui sono coinvolti i singoli, così come le aggregazioni sociali e le loro espressioni politiche e istituzionali. Per non parlare poi dell’influenza della sempre più “tecnologizzata” qualità della nostra vita e le nuove criticità in cui siamo trasportati dalla digitalizzazione, dalla robotizzazione e dalla diffusione dell’intelligenza artificiale.

Vacilla ancora di più, dunque, il tradizionale senso della vita e persino i “metodi” con cui ad essa sia possibile dare concretezza e sostanza, oltre che esplicazione, dignità e valore.

E’ evidente che non funzionano più i meccanismi che hanno sorretto le comunità umane insidiate dall’atomizzazione degli esseri viventi, dalla perdita progressiva di tensione e responsabilità sociale da quelle profonde disuguaglianze che consentono a Bezos, il proprietario di Amazon, di guadagnare, secchi, 25 miliardi dollari più del solito, solo nel corso dei primi mesi dell’anno, grazie alla stagione del Covid -19. La verità è che tutti i tradizionali modelli morali individuali, così come quelli propri di un’assennata moralità pubblica sono oramai stravolti. Peccato che ci fermiamo a questa constatazione e non cerchiamo la strada per avviare una trasformazione intima e collettiva.

Da dove può venire una risposta democratica all’evoluzione capitalistica che ripropone l’interrogativo sul  significato da dare al valore assoluto del denaro e all’esclusivo riferimento all’accumulazione del capitale, all’accaparramento delle materie prime e dell’acqua, alla salubrità dell’aria, alle risorse tecnologiche e culturali, a un potere effettivo sempre più nelle mani di pochi, oltre che a quelli dell’insensatezza o dell’indifferenza sociale da parte dei soggetti economici e, persino, da parte di talune istituzioni?

Forse dal capitalismo di stato della Cina che, come ci ricorda The Economist ( CLICCA QUI ), “ implica uno stretto controllo sul ciclo economico, uno stato più efficiente e un offuscamento del confine tra le imprese statali e private”, sulla base di un mix di “autocrazia, tecnologia e dinamismo” che dà vita a una” forma tecno-centrica di pianificazione” in grado di sostenere l’innovazione? In questo caso, le recenti vicende di Hong Kong lo confermano, c’è un alto prezzo da pagare in termini democratici e di corretta valorizzazione della Persona, d’indipendenza nel pensare, nell’organizzarsi liberamente, nell’instaurare relazioni affrancate da ogni vincolo arbitrariamente imposto dall’autorità, senza che questo comporti una lesa maestà a qualsivoglia impostazione politica o di sistema.

Oppure, dobbiamo rivolgerci al cosiddetto “populismo”, forma di rivolta che non è solo italiana? Come evidenziato in molti paesi nel mondo, esso che è espressione d’indistinta e mal gestita insofferenza sociale è confuso con il popolarismo, invece connotato da una ben precisa, organica e coerente idea di sviluppo economico e sociale da assicurare a tutti. Il “populismo” rischia di consegnare altro potere a chi sostiene, alla fine dei conti, l’ accumulazione ineguale di quel capitale che, se ben indirizzato, è fondamentale per il sostegno ad ogni autentico progetto di sviluppo comunitario.

E’ inevitabile il ritrovarci, allora, nel finire di un’estate afosa e incerta, a riflettere sulla questione dell’essenza della democrazia. Ai nostri giorni è tema aperto più che mai, in quanto i suoi sbocchi possono rivelarsi imprevedibili e aperti a tante soluzioni. In questo contesto, cosa possiamo fare, e a quale pensiero può essere utile fare riferimento?  ( Segue )

Giancarlo Infante

 

Immagine utilizzata: Pixabay

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