La questione del salario minimo è sicuramente importante. Potrebbe soprattutto servire a contrastare autentiche forme di moderno sfruttamento dei lavoratori più deboli e meno tutelati. L’esperienza della vita quotidiana ci dice come in taluni settori, quelli in cui mancano tra l’altro pressoché totalmente adeguati strumenti di controllo, esista una vera e propria forma di schiavismo inaccettabile per un paese moderno.

Ma è certo che l’introduzione di nuove regole non bastano a dare maggiore dignità al lavoro e farlo diventare un effettivo strumento di crescita per un Paese che negli ultimi decenni è andato avanti seguendo logiche assistenziali e interventi cosiddetti “a pioggia”, contemporaneamente, utilizzando la variabile dei bassi costi del lavoro per garantirsi un minimo di competitività.

Non è un caso se lo scorso Primo maggio Roberto Pertile ricordava su queste colonne come il sistema produttivo italiano sia, tra i paesi occidentali, quello a più bassa produttività e presenti un tasso modesto di dinamismo tecnologico: “non vive di luce propria e beneficia delle sinergie esistenti con le economie più forti” (CLICCA QUI).

C’è bisogno, come ricorda INSIEME nella petizione lanciata sul Lavoro (CLICCA QUI), di una politica industriale che punti soprattutto alla formazione e alla ricerca innovazione coinvolgendo in maniera sistematica, e come mai è stato fatto finora, università, centri di ricerca ed istituti di formazione. E’ evidente quanto sia necessario superare la logica degli interventi parziali, e anche quello sul salario minimo rischia di restare tale, e impostare, invece, l’avvio di programmi d’investimenti pubblici a medio-lungo termine in cui sia possibile coinvolgere anche il settore privato.

Giustamente, Natale Forlani ricordava due giorni fa, nel suo commento sull’arrivo della Direttiva europea in materia di salario minimo (CLICCA QUI), anche le possibili distorsioni che se ne potrebbero fare , soprattutto, che i salari si aumentano se crescono “gli investimenti, le competenze delle risorse umane e la produttività complessiva dei fattori. In assenza delle quali gli aumenti dei costi possono generare nuova inflazione od offrire nuovi spazi per ampliare le prestazioni sommerse che, in Italia, sono la vera fonte del dumping contrattuale in molti settori importanti dell’economia, a partire dai servizi”.

 

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