Di fronte a quanto accaduto a Washington, limitarsi a condannare la “violenza” è molto meno del minimo sindacale: è una forma di cerchiobottismo. Lo hanno fatto in molti, soprattutto a destra, ma non solo, autorizzando così il dubbio che non si veda (o, peggio, che si guardi con malcelata simpatia) ciò che sta davanti, dietro e accanto ai “violenti” all’opera.
Ciò che sta “davanti” è Trump ed il “trumpismo”. Isole di follia e di cultura neo nazista ci sono da un pezzo, ma mai erano state moralmente e politicamente sdoganate da un Presidente in carica. Quella gente ha agito su esplicito stimolo di Trump, che non ha riconosciuto la sconfitta delle urne ed ha cercato fino all’ultimo di provocare una rottura sistemica dei meccanismi democratici, fino al punto da far pensare – come ha sostenuto qualche osservatore – allo scenario di una legge marziale per “difendere l’ordine e la sicurezza”.
Non parliamo di Nicaragua o Guatemala: parliamo incredibilmente della più grande democrazia del mondo.
Non è credibile condannare quegli atti violenti senza nulla dire del “trumpismo”. Ciò che sta “dietro” è un micidiale moltiplicatore di odio.
L’assalto al Parlamento americano è il frutto di una lunga e sistematica seminagione di odio e di risentimento ad opera di centinaia di siti internet dediti alla esaltazione del primato della razza bianca, del presunto complotto mondiale contro di essa e, da ultimo, della temuta “dittatura sanitaria” che si profilerebbe col pretesto del Covid e la somministrazione del vaccino.
Sarà anche vero – come ha scritto Fabrizio Barca – che in questo brodo di coltura ha inciso la crescita delle disuguaglianze provocata dalla globalizzazione, ma non credo che questo sia il vero collante. Vedo piuttosto, come è accaduto in Germania negli anni venti del secolo scorso, l’emergere trasversale nella società di una cifra di nazionalismo innestato su presupposti razziali ed etnico-identitari. Una miscela esplosiva e pericolosa, come la storia insegna, che si nutre di una falsa rappresentazione della realtà.
Nessuno può immaginare di “spegnere” la Rete, ovviamente: ma il problema di come la democrazia si difende dalle insidie di questi potentissimi strumenti di proselitismo e da un loro utilizzo fondato sulla menzogna e sul pregiudizio rimane grande come una casa e richiede soluzioni globali. Ciò che sta “accanto” è una risposta involutiva e reazionaria alla “crisi di senso” prodotta dalla secolarizzazione. Ed è ciò che per me, credente e cattolico, risulta più inquietante.
Ashli Babbit, la veterana morta durante gli scontri a Capitol Hill, aveva appena scritto sul suo profilo FB: andremo a Washington e “riporteremo la luce”. È la stessa espressione usata da monsignor Viganò, già Nunzio Apostolico in America e nemico dichiarato di Papa Francesco (che Dio ce lo conservi a lungo) nella sconcertante lettera a sostegno di Trump e nel recentissimo appello ai sostenitori del Presidente sconfitto affinché “agiscano subito” contro l’asserito furto di voti da parte di Biden, strumento di Satana: un appello “ai figli della luce” – così li chiama Viganò –  pubblicato tre giorni prima della marcia su Capitol Hill.
Questo micidiale miscuglio di razzismo, nazionalismo, rifiuto della scienza, avversione alla modernità, disconoscimento della laicità democratica, maniacale denuncia delle élite “ pluto giudaico massoniche” si amalgama da tempo con un senso “religioso” che abiura i valori del Vangelo e degrada, in maniera eretica, verso un desolante “spirito di setta”.
Per l’America e per tutto l’Occidente ciò costituisce un pericolo mortale esattamente come, per le società a matrice mussulmana, è un pericolo mortale il fondamentalismo islamico. Ecco. Difronte a tutto questo, condannare genericamente la violenza vista a Capitol Hill è veramente molto meno di ciò che si richiede a tutte le persone libere e sinceramente democratiche di ogni orientamento culturale e politico.
Lorenzo Dellai

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