Nelle comparazioni effettuate dall’ Eurostat (2018), buona parte del differenziale negativo  occupazionale dell’Italia rispetto agli altri paesi della UE 15 è concentrato nell’aggregato dei comparti della sanità, dell’assistenza e dei servizi alle persone, per un valore di 1,450 milioni di occupati  in meno, compensato in parte dalla specifica prevalenza di 430 mila  colf e badanti nel mercato del lavoro domestico italiano rispetto alla media dei paesi richiamati. Il dato è eclatante, ma facilmente spiegabile con la storica carenza dei sostegni alle famiglie, con la doppia componente dei servizi pubblici erogati e degli aiuti economici; elementi che caratterizzano il sistema delle prestazioni del Welfare italiano. Questi numeri spiegano anche una buona parte del differenziale del tasso di occupazione femminile italiano, rispetto alla media UE: inferiore di circa 12 punti, che si riflette su quello generale, ulteriormente incrementato nel corso dell’ultimo decennio nonostante la crescita di 450mila donne occupate, cifra che coincide quasi integralmente  con quella del numero delle colf e delle badanti straniere.

In questo modo l’Italia si è privata della principale leva per l’incremento della occupazione. Come più volte sottolineato nelle analisi e negli atti d’indirizzo rilasciati dalla Commissione Europea, i servizi alle persone, in particolare quelli per la cura dei minori e degli anziani, rappresentano il comparto delle attività economiche con le più elevate potenzialità di espansione, in relazione all’invecchiamento della popolazione e a una domanda di servizi legati alla conciliazione tra i carichi lavorativi con quelli familiari. La componente femminile nel mercato del lavoro diventa nel contempo beneficiaria della possibilità dei servizi di sostegno per poter lavorare e della crescita di una domanda di lavoro  che in questi comparti viene particolarmente rivolta al personale femminile.

Le analisi periodicamente pubblicate dall’ ISTAT, e quelle elaborate nello specifico da altri centri di ricerca ( Censis, Ismu, fondazione Moressa), confermano la distanza esistente tra le potenzialità della crescita occupazionale e le criticità che ne impediscono l’evoluzione virtuosa. Tutte convergono nel sottolineare come la difficoltà nel conciliare i carichi familiari con quelli lavorativi, relazionati alla carenza di servizi pubblici e dei costi elevati per  il reperimento di quelli privati  nel mercato ufficiale ( in relazione al fatto che i costi dei servizi comprensivi di quelli del lavoro al lordo degli oneri fiscali e contributivi, risultano mediamente superiori al valore dei  salari netti attesi dalle famiglie ), offra una spiegazione del fenomeno italiano. Caratterizzato da un forte abbandono del mercato del lavoro da parte delle giovani madri ( stimato dal Censis per oltre 650mila madri e dall’ISTAT per il 36 % delle famiglie che hanno in carico minori e persone non autosufficienti), dal rilevante concorso di aiuti informali da parte dei parenti stretti, casalinghe e nonni in pensione, e da una vasta area di lavoro sommerso.

Sempre l’Istat nella recente indagine sulla economia non osservata, stima il lavoro sommerso nell’aggregato dei servizi alle persone, che comprende anche il lavoro domestico, per un equivalente di 1,3 milioni di occupati a tempo pieno, che comprendono ovviamente anche la quota del lavoro non dichiarato delle lavoratrici e dei lavoratori ufficialmente occupati.

Del tutto evidente che queste caratteristiche presentano evidenti problemi di sostenibilità, non solo per le implicazioni di carattere generale: il sotto utilizzo delle risorse lavorative, l’evasione fiscale, la decrescita demografica; per l’esaurimento progressivo delle condizioni per il mantenimento in essere dell’attuale equilibrio della domanda e dell’offerta di prestazioni; per la  progressiva riduzione delle donne casalinghe; per  l’indebolimento dei nuclei familiari conseguente alla riduzione dei componenti e alla loro disgregazione territoriale; per la  fisiologica riduzione dei flussi delle badanti provenienti dall’est Europa che rappresentano il 60% della attuale offerta di lavoro. Paradossalmente sono proprio queste criticità, unitamente alla esigenza di elevare il tasso di occupazione della nostra economia, condizione  indispensabile per assicurare una stabile ripresa  e la sostenibilità del debito pubblico, a rimettere al centro l’esigenza di modernizzare il nostro welfare come leva per la crescita quantitativa e qualitativa del nostro mercato del lavoro.

Per questo obiettivo possono aiutare le esperienze consolidate in altri paesi europei che, sull’asse degli aiuti alle famiglie e del potenziamento dei servizi verso le persone, hanno ottenuto risultati significativi.

Mi riferisco in particolare a quelle che, oltre a potenziare i sostegni fiscali per i carichi familiari e i servizi pubblici per l’infanzia e per la non autosufficienza, hanno introdotto una fiscalità di sostegno per l’acquisto dei servizi alle persone (Francia, Belgio, Regno Unito). Particolarmente efficace l’esempio consolidato da oltre 15 anni in Francia, con la modalità del voucher fiscalmente detraibili (per un valore medio del 33% della spesa) per oltre 30 tipologie di servizi alle persone, che comprendono oltre i servizi di cura anche le prestazioni educative, parasanitarie, le babysitter, le piccole riparazioni e lavori di giardinaggio, che hanno consentito di generare in modo ufficiale oltre otto milioni di nuove opportunità lavorative. Il voucher, che oggi viene gestito con modalità informatiche semplificate. Il valore del voucher viene rapportato alle condizioni contrattuali dei costi del lavoro e dei servizi acquistati, e possono concorrere al loro acquisto ed erogazione anche gli enti pubblici, per gli interventi corrispondenti a specifiche finalità o al sostegno delle famiglie meno abbienti, e le imprese per l’erogazione dei servizi di Welfare verso i loro dipendenti a seguito di accordi sindacali.

Gli interventi di questo tipo producono un triplo vantaggio:

  • disincentivare, con la leva del contrasto di interessi, l’acquisto di prestazioni sommerse, e quindi di poter finanziare i costi pubblici per le detrazioni con gli introiti fiscali e contributivi conseguenti alla emersione del lavoro e alla occupazione aggiuntiva;
  • far concorrere, e responsabilizzare, un numero consistente di attori (famiglie, enti pubblici, imprese, terzo settore) alla mobilitazione di risorse finanziarie e a una domanda e offerta di beni e di servizi migliorando nel tempo l’efficienza delle organizzazioni dell’erogazione delle prestazioni e la qualità dei rapporti di lavoro;
  • diminuire la pressione sui costi pubblici per le prestazioni sanitarie ed assistenziali, favorendo la territorializzazione e la personalizzazione dei servizi, oltre che la riduzione delle spese per i sostegni al reddito dei disoccupati.

Queste potenzialità possono essere ulteriormente ampliate dall’applicazione delle tecnologie generate dal sistema economico per erogare con modalità innovative, all’interno delle quali possono svolgere un ruolo di grande rilevanza le organizzazioni del terzo settore, una serie di servizi specializzati e personalizzati anche a domicilio nel campo della sanità, dell’assistenza, del contrasto delle diverse forme di povertà.

Il Censis e l’Ismu, nella relazione preparatoria di un disegno di legge presentato al Parlamento nel 2015, avevano stimato una potenzialità di emersione nei cinque anni di 328mila unità lavorative e un’occupazione finale aggiuntiva di ulteriori 315 mila posti di lavoro. Con una spesa iniziale per lo start up del programma di circa 1,3 miliardi di euro, al netto della razionalizzazione dei costi attuali, costi sostenuti dall’amministrazione pubblica per le deduzioni degli oneri previdenziali per i lavoratori domestici e delle indennità di accompagnamento. ( Del ddl proposto venne  a quel tempo recepita nella legge di stabilità la proposta di defiscalizzare l’erogazione di Welfare aziendale in favore dei dipendenti a seguito di accordi aziendali . Un’innovazione che ha riscosso un buon successo negli anni successivi, in linea con le previsioni fornite dalla relazione richiamata).

Nella legge delega finalizzata all’ introduzione dell’assegno unico per i minori a carico delle famiglie, in corso di approvazione definitiva da parte del Parlamento con il consenso anche delle opposizioni, in via generale vengono previsti interventi finalizzati a introdurre sostegni fiscali alle famiglie per l’acquisto di servizi di cura. Giova però ricordare che le coperture previste nella proposta della legge di bilancio 2021 per l’attuazione della legge delega, non sono sufficienti nemmeno per il decollo della parte relativa all’assegno unico per i lavoratori autonomi e le famiglie incapienti. All’opposto l’orientamento prevalente delle forze politiche componenti la maggioranza di governo, è quello di ridurre le detrazioni fiscali di diversa natura, per la finalità di finanziare la riforma delle aliquote per le persone fisiche.

Natale Forlani

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