Alcune definizioni necessarie:

Primo settore del Welfare (istituzioni pubbliche)

Insieme delle strutture e delle attività direttamente pianificate e gestite dalla Pubblica Amministrazione che, in un dato contesto locale o nazionale, provvedono a rispondere ai bisogni esistenziali, di ordine sia funzionale (disabilità e non autosufficienza) che strutturale (reimpostazione della personalità).

Secondo settore del Welfare (aziende di mercato)

Insieme delle strutture e delle attività imprenditoriali che, nel quadro di una politica pubblica (tramite contratti e appalti), ovvero in completa autonomia liberale (mercato), si propongono di trarre profitto economico dalla libera domanda di prestazioni socio-assistenziali o sociosanitarie della popolazione.

Terzo settore del Welfare  ( organizzazioni volontarie di servizi  )

Insieme delle strutture (associazioni di volontariato, cooperative sociali, fondazioni, ecc.) e delle attività solidaristiche (non profit) che offrono aiuto e assistenza, principalmente nel quadro di politiche pubbliche, sia di carattere fiduciario (convenzioni) che competitivo o “market oriented” (appalti).

In Italia (fonti Istat) il settore non profit produce fatturati pari a circa il 2,6% del Prodotto Interno Lordo e impiega una forza lavoro pari ad oltre il 2% degli occupati su scala nazionale.

Volontari, soci, volontarie/i in servizio civile e lavoratori distaccati fanno si che i numeri aumentino in modo sensibile e che pertanto almeno un italiano su 15 abbia rapporti, continuativi no saltuari con enti non profit

Il ruolo dell’Operatore Sociale è una complessa attività di relazioni che presuppone specializzazioni sociali tipiche e capacità trasversali, in grado di sostenere il costante lavoro di innovazione, ricerca, sviluppo e comunicazione che, a prescindere dal ruolo ricoperto, deve essere in grado di svolgere : comunicare, negoziare, progettare, innovare, pianificare sono azioni tipiche e indispensabili del lavoro quotidiano al pari di assistere, educare, promuovere accompagnare, mediare e integrare.

Il volontariato

Il volontariato è un’attività di aiuto gratuito e spontaneo verso persone in condizioni di indigenza o che necessitano di assistenza oppure per fronteggiare emergenze occasionali o prestando opera e mezzi nell’interesse collettivo in maniera individuale o collettivamente in associazioni costituite per specifici scopi benefici.

Finanziamento

Le organizzazioni di volontariato traggono le risorse economiche per il loro funzionamento e per lo svolgimento della propria attività da:

  • contributi degli associati;
  • contributi di privati
  • contributi di enti pubblici finalizzati esclusivamente al sostegno di specifiche e documentate attività o progetti;

Il Volontariato in Italia

L’ Italia è un paese dove un gran numero di cittadini che pratica volontariato in varie forme: secondo l’Istat il numero di volontari stimato in Italia è di 6,63 milioni di persone (tasso di volontariato totale pari al 12,6%).  La legge 11 agosto 1991 n. 266 regola il volontariato organizzato ed istituisce delle strutture per lo sviluppo e la crescita del volontariato su base regionale (i Centri di Servizi del Volontariato), che forniscono gratuitamente alle organizzazioni di volontariato servizi nel campo della promozione, della consulenza, della formazione, della comunicazione e molti altri.

Per la legge italiana il volontariato organizzato nelle associazioni ha le caratteristiche previste dalla legge 266/1991, che sono le seguenti:

  • l’assenza di finalità di lucro;
  • la democraticità della struttura, cioè l’elettività delle cariche associative (oltreché la loro gratuità);
  • la gratuità delle prestazioni degli aderenti;
  • i diritti e gli obblighi degli aderenti e l’esplicitazione dei criteri della loro ammissione ed esclusione;
  • l’obbligo della formazione del bilancio e le modalità di approvazione dello stesso da parte dell’assemblea degli aderenti;
  • divieto assoluto di retribuzione degli operatori soci delle associazioni.

La Croce Rossa Italia, che dal 1º gennaio 2014 è diventata un’organizzazione privata di volontariato, svolge le proprie attività impiegando personale volontario, mai retribuito. Le attività di volontariato della CRI possono essere supportate dal personale dipendente che solitamente è impiegato per il mantenimento della struttura operativa.

Un importante esempio del Volontariato in Italia, la Fondazione don Carlo Gnocchi, numeri importanti (Bilancio 2019) : 6.050 Collaboratori e Dipendenti, 11.800 pazienti curati a domicilio, 22.000 pazienti ambulatoriali, 3.700 posti letto, 2,300 anziani assistiti, 18.600 adulti assistiti, 26 Centri.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali cura l’attuazione delle disposizioni normative sul volontariato, volte a favorirne lo sviluppo anche attraverso i tre concetti cardine del volontariato: cittadinanza attiva, condivisione e partecipazione per la comunità.

La realizzazione della missione avviene attraverso:

  • la promozione di ricerche e studi in Italia e all’estero sul volontariato ed il terzo settore (art.12, co.1, lett.b della legge 266/91) e sulle politiche attive del welfare;
  • la promozione e sviluppo del volontariato attraverso la realizzazione di protocolli d’intesa e accordi di programma con enti pubblici, privati e del privato sociale;
  • la collaborazione con le Regioni, anche per iniziative di formazione ed aggiornamento per la prestazione dei servizi (art. 12, co.1, lett.g, della legge 266/91);
  • la Segreteria tecnica dell’Osservatorio Nazionale per il volontariato e le attività dei gruppi di lavoro (Regolamento Osservatorio);
  • la gestione amministrativa dei contributi erogati a favore delle Associazioni di volontariato ed ONLUS per l’acquisto di beni strumentali e di ambulanze, nonché di beni da donare a strutture sanitarie pubbliche (di cui alla legge 342/2000 e del successivo decreto attuativo n. 388/2001, modificato dal decreto attuativo n.177/2000);
  • il finanziamento, la gestione amministrativa e l’assistenza tecnica dei progetti sperimentali finanziati alle organizzazioni di volontariato ai sensi dell’art.12, comma 1 lett.d) della legge 266/91, con il Fondo per il Volontariato, istituito ai sensi della stessa legge;
  • l’attività di collaborazione – anche attraverso protocolli d’intesa – con i Centri di servizio per il volontariato (art.15 della legge 266/91 e successivo decreto attuativo dell’8 ottobre 1997);
  • l’attività di collaborazione con i Comitati di Gestione del Fondo speciale per il volontariato – di cui all’art. 15 della citata legge n.266/91 e del successivo decreto attuativo dell’8 ottobre 1997 – per la nomina dei rappresentanti ministeriali, nonché l’attività con le Fondazioni bancarie;
  • collaborazione con organismi Europei ed Internazionali del Volontariato e del Terzo Settore.

Inoltre, a fine del giugno scorso la Corte Costituzionale ha emesso la sentenza n°131, che riguarda il Terzo Settore, che, insieme alla Legge delega  per la riforma del settore, solo molto parzialmente operativa, può essere considerata una rivoluzione copernicana di come viene considerato il TS. I cardini di questa rivoluzione sono un rapporto aperto ed orizzontale con la Pubblica Amministrazione e la possibilità degli Enti del TS ad indicare essi stessi, agli Amministratori locali, i progetti da programmare e da sostenere, partendo, quindi, ”dal basso” cioè dal vissuto di chi vuol dare, ancor prima di ricevere.

In conclusione, la normativa predisposta dal Ministero competente e la recente delibera della Corte Costituzionale rappresentano uno strumento efficacissimo per la struttura regionale del nostro Partito rivolto alla promozione di investimenti e progetti mirati che coinvolgano gli Enti di Volontariato regionali e la Pubblica Amministrazione.

In questo contesto normativo il Terzo Settore ha tutte le premesse per diventare rapidamente la terza colonna della struttura economico sociale  Italiana : la Pubblica Amministrazione, l’Industria dedicata ai risultato economico e il Terzo Settore.

L’ultimo censimento Istat, diffuso nel 2019,  ma relativo ai dati 2017, parla di circa 350mila enti del terzo settore (contro i 235mila di inizio secolo) e di circa 850mila lavoratori. Parliamo insomma di istituzioni senza scopo di lucro ma non per questo prive di impatto economico.

La crescita dell’economia sociale in Italia. Fonte: Istat,11 ottobre 2019.

2001                2011                2015                 2016                 2017

Numero Istituzioni No Profit  235.000          301.000          336.000          343.000          350.000

% dipendenti su Industria  tot    4,81                  6,0                  6,9                  6,9                  7,0

L’economia sociale è fatta anche di vere e proprie imprese, le Cooperative Sociali.

Le cooperative sociali

Una cooperativa sociale è un particolare tipo di società che gestisce servizi socio -sanitari  ed educativi, oppure attività di vario genere finalizzate all’inserimento nel mercato del lavoro di persone svantaggiate.

L‟Alleanza Internazionale delle Cooperative (International Cooperative Alliance –ICA) descrive le cooperative nel modo seguente: “Organizzazioni indipendenti costituite da persone unite volontariamente al fine di soddisfare le necessita economiche, sociali e culturali tramite una gestione comune democraticamente controllata.” Quindi, le cooperative sono imprese possedute dai soci e gestite dai soci stessi. I soci sono utenti, lavoratori, conferitori ed hanno gli stessi diritti.

Finalità delle Cooperative Sociali:

  • Le cooperative di tipo A: si occupano della gestione dei servizi socio-sanitari, formativi e di educazione permanente
  • Le cooperative di tipo B: si occupano della gestione di attività finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate nei settori: industria, commercio, servizi e agricoltura.

In Italia ci sono circa 20mila enti del terzo settore che pur mantenendo un orientamento no profit hanno assunto una vera e propria struttura imprenditoriale delle Imprese Sociali: attori economici che si collocano idealmente tra lo Stato e il libero mercato e che svolgono funzioni di utilità sociale.

La capacità della cooperativa nel diversificare la progettazione verso nuove aree di intervento può avere un notevole impatto sullo sviluppo dell’impresa e la creazione di nuovi posti di lavoro. Le aree di intervento di una cooperativa o un consorzio di cooperative possono indirizzarsi verso le necessità degli Anziani, Stranieri, Immigrati, necessità residenziali di minori, asili nido, turismo sociale, educazione al lavoro e inclusione sociale.

In questo contesto si fa sempre più pressante  il fabbisogno formativo del non profit impegnato per l’inserimento lavorativo della persona  e in particolare delle persone svantaggiate.

Sono attività tipiche delle Cooperative di tipo B, prevalentemente nel campo dei Servizi e si caratterizzano per l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate prevalentemente portatori di Handicap (fisico, psichiatrico o derivante da tossico dipendenze). Le cooperative sociali di tipo B non si limitano ad offrire opportunità di reddito, ma rendono disponibili risorse organizzative al fine di facilitare l’inserimento, dall’orientamento fino alla realizzazione di progetti personalizzati di inserimento  lavorativo, in cui vengono indicati obiettivi, strumenti di verifica, monitoraggio, ecc. Il tasso di successo registrato da questi progetti è piuttosto elevato.

Per “funzione di inserimento lavorativo delle persone svantaggiate (ILPS)” si intende l’insieme di competenze e delle risorse che un organizzazione  predispone al fine di realizzare inserimenti lavorativi  sostenibili in organizzazioni del lavoro esterne o nella propria organizzazione. Ciò diventa ancor più complesso nei casi di disagio sociale e/o occupazionale. Questi progetti sono veri progetti di ricerca, e richiedono la presenza di personale altamente qualificato dall’operatore sul campo alle qualità manageriali del responsabile (competenza, capacità e conoscenza).

La sostenibilità di un inserimento lavorativo è da intendersi come sostenibilità della persona svantaggiata, ma anche come sostenibilità della efficienza organizzativa.  La formazione  degli operatori preposti a questi progetti è elemento decisivo. Devono conoscere bene le moderne organizzazioni del lavoro, conoscenza del contesto locale del mercato del lavoro, dei principi giuridici e pratiche del mercato del lavoro, capacità di svolgere colloqui in profondità e valutare le reali competenze del soggetto e la sua tenuta lavorativa  e monitorare l’inserimento e infine valutare il benessere della persona e le esigenze dell’azienda e promuovere la cultura di solidarietà  oltre al profitto dell’azienda

In un contesto da 350mila soggetti, ci sono 20mila imprese sociali che pur rappresentando di fatto una minoranza costituiscono anche la locomotiva del settore. Secondo alcune stime, queste imprese registrano un fatturato di 12 miliardi di euro, circa un sesto del turnover complessivo del terzo settore. E danno lavoro a 500mila persone, sul totale di quasi 900mila dell’intero comparto. In tutto questo, per altro, i contributi pubblici pesano sempre meno.

Tra il 2011 e il 2015, i ricavi complessivi del terzo settore hanno raggiunto i 70,4 miliardi di Euro con una crescita di 6,5 miliardi. Nello stesso periodo i contributi statali a titolo gratuito e i proventi derivanti da contratti con gli enti pubblici sono diminuiti in media di quasi un terzo.

Proprio la ritirata dello Stato, in un certo senso, ha stimolato lo sviluppo delle imprese sociali. Venendo a mancare il sostegno pubblico il terzo settore ha dovuto procurarsi nuovi canali di finanziamento mettendosi sul mercato.  Il vincolo no profit – ovvero il divieto di redistribuire utili – viene rispettato ma gli enti assumono una forma organizzativa più vicina a quelle delle aziende. Insomma, diventano imprese sociali di fatto.

Il trend di crescita è evidente. Lo segnala l’intensa attività legislativa osservata in Europa negli ultimi dieci anni, segno di una crescente pressione dal basso. E lo certifica la logica reattiva delle imprese del comparto che nella crisi hanno saputo offrire risposte alle nuove domande sociali e alla richiesta di servizi emersa nei contesti di disagio, povertà e marginalità. Ma se la crisi del 2008 ha dato una spinta al terzo settore, la recessione da Covid-19 rischia ora di produrre l’effetto opposto.

Il blocco delle attività imposto dall’emergenza sanitaria colpisce tutti e l’economia sociale sarà probabilmente l’ultima a ripartire. In Italia, inoltre, soltanto le 20mila imprese sociali riconosciute come tali avranno accesso agli aiuti pubblici previsti per le aziende mentre gli altri 330mila soggetti resteranno sostanzialmente scoperti

Servono tutele. E qui si torna alle richieste del terzo settore. Proroga dei contratti e delle convenzioni fino a giugno 2023, coinvolgimento diretto non profit nella ricostruzione post coronavirus, tutela dei lavoratori, adeguamento dei contratti con le amministrazioni pubbliche a quelli collettivi nazionali di lavoro e altro ancora. E ciò sarà solo un punto di partenza, perché forte è la necessità che la lunga fase di ricostruzione comporti anche lo sviluppo di modelli nuovi e innovazione nei progetti. Lo Stato non può tirarsi indietro ma non può nemmeno pensare di farcela da solo. La società diventa più complessa e gli stessi bisogni sociali si diversificano aprendo nuovi segmenti di mercato.

Oggi assistiamo già a collaborazioni tra profit e no profit, pensiamo ad esempio a forme di welfare aziendale, al ricorso da parte delle imprese tradizionali ai servizi di welfare realizzati dalle cooperative. Insomma, il terzo settore deve innovarsi per potersi espandere».

Le cooperative in Italia

Nel 2015, le 59.027 cooperative risultate attive– pari all’1,3% delle imprese attive sul territorio nazionale –– hanno occupato, in termini di posizioni lavorative in media annua , poco più di 1,2 milioni di addetti (dipendenti e indipendenti), 33 mila lavoratori esterni e 10 mila lavoratori in somministrazione , pari al 7,1% dell’occupazione totale delle imprese. Queste cooperative , hanno generato un valore aggiunto di 28,6 miliardi di euro, pari al 4,0% del valore aggiunto delle imprese Fonte: Istat –

I  lavoratori dipendenti delle cooperative sono concentrati soprattutto nella classe di età 30-49 anni (58,5%), il 13,1% ha un’età compresa tra 15 e 29 anni e più di un quarto è over 50. Prevale il genere femminile (52,2%) mentre sotto il profilo dell’istruzione circa il 66% dei dipendenti possiede un diploma di scuola secondaria (di I o II grado) e oltre il 15% è laureato contro un 5% che ha acquisito al massimo la licenza primaria. Poco meno dell’84% dei dipendenti è a tempo indeterminato; rispetto al regime orario una quota alquanto elevata di lavoratori è in part-time (44,8%). Quanto alla posizione nella professione, il 64,8% è operaio e il 30,8% impiegato; residuale è il peso di quadri (3%), apprendisti e dirigenti (sotto l’1%).

Le cooperative nelle economie regionali

Nel 2015, il 50% delle cooperative è concentrato in sole cinque regioni: Lazio e Lombardia, con una quota intorno al 14%, seguite da Sicilia (10,5%), Campania (10,1%) e Puglia (9,3%). Questa concentrazione è legata alla densità demografica o imprenditoriale ma anche a vocazioni territoriali specifiche.      In Sicilia, Puglia e Lazio ci sono oltre 19 cooperative ogni 1.000 imprese, rapporto che sale addirittura a 27 in Basilicata mentre si attesta sotto il 10 in Veneto, Piemonte, Liguria, Friuli-Venezia Giulia. La distribuzione del valore aggiunto secondo la regione delinea una maggiore capacità di produrre ricchezza delle cooperative residenti al Nord, che rappresentano il 36,2% del totale ma producono il 64,1% del valore aggiunto complessivo. In particolare, le cooperative dell’Emilia Romagna, pur essendo il 7,1% del totale, contribuiscono per il 22,6% al valore aggiunto, con una media di 1,5 milioni di euro per cooperativa; All’opposto in Calabria, Sicilia, Puglia, Campania, Basilicata e Molise sono localizzate oltre un terzo delle cooperative (34,9%) ma il loro peso in termini di valore aggiunto è dell’11,6%, in media meno di 200 mila euro per cooperativa. Per cogliere l’importanza della cooperazione all’interno delle economie regionali si può considerare il rapporto tra valore aggiunto delle cooperative e quello delle altre imprese. Ebbene, l’Emilia Romagna si colloca al primo posto della graduatoria con una quota pari al 10,4%, seguita da Umbria (9,4%), Provincia autonoma di Trento (7,6%) e Sardegna (7,3%).

La digitalizzazione e l’innovazione

Un primo esame dei dati medi relativi ai comportamenti digitali e innovativi delle cooperative e delle altre imprese evidenzia, in generale, una minore propensione digitale e innovativa delle prime rispetto alle seconde.

Digitalizzazione   Innovaz.Prodotto   Innovaz.Processo  Innovaz.Organizz.  Innovaz.Marketing

Cooperative          0,17                        0,14                            0,14                            0,21                        0,21

Imprese                 0,33                       0,28                            0,29                           0,29                       0,23

 

Nell’uso delle ICT, l’indice sintetico “Digitalizzazione” assume un valore medio per le cooperative pari a circa la metà di quello delle altre imprese (0,17 contro 0,33); anche i dati originari sulle diverse tipologie di innovazione evidenziano, complessivamente, una minore propensione all’introduzione di innovazioni di prodotto e di processo da parte delle cooperative, con un gap che tuttavia si dimezza per le innovazioni organizzative e tende a chiudersi per quelle di marketing.

 Anni 2014-17, valori medi.   Fonte: Elaborazioni su dati Istat

La distribuzione delle unità economiche rispetto all’indicatore sintetico “Innovazione” mostra minori differenze tra cooperative e altre imprese rispetto a quanto emerso per l’utilizzo delle ICT. Si tratta di un indicatore derivato che consente di riassumere le diverse intensità e tipologie di innovazione diffuse tra le unità economiche. Tra quelle con scarsa propensione innovativa – valore dell’indicatore non superiore a 15 – si trovano oltre la metà delle altre imprese e poco meno di due terzi delle cooperative.

Il rapporto con le Università e la Ricerca

Alcuni progetti che implicano processi di ricerca nelle tematiche di rilevanza speciale richiedono un rapporto specifico con la facoltà preposta alla tipologia del progetto stesso. Sovente, in questo settore, e in particolare nei progetti di inserimento lavorativo di persone svantaggiate, si stabilisce una collaborazione con la facoltà di Scienze Antropologiche in  merito alle tematiche di rilevanza sociale; la Facoltà infatti offre il necessario supporto in termini di consulenza e assistenza tecnica con specifica attenzione alla progettazione o valutazione degli interventi in materia del mercato del lavoro, istruzione, formazione, servizi per l’infanzia, processi educativi, immigrazione, devianza e controllo sociale, sviluppo della persona.

I temi della Ricerca collegati, per esempio al tema dell’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, vengono di solito connessi alle tre sezioni di Antropologia, Psicologia e Sociologia, nelle quali il dipartimento è articolato.

Interessante le linee di Ricerca, in questo contesto, che può essere sviluppata dalla Sezione di Psicologia che riguardano temi come : Percezione, attenzione, memoria – Emozioni-Neuropsicologia-Sviluppo cognitivo-Handicap e disturbi dell’apprendimento-Psicologia del lavoro, dell’orientamento, dello sport, e altri.

Questo tipo i progetti, che hanno coinvolto Istituzioni Pubbliche, private, Associazioni del Volontariato e Cooperative Sociali hanno dato alla fine dei risultati insperati in termini di casi di successo nell’inserimento al lavoro di soggetti svantaggiati.

La progettazione Europea

E’ l’attività progettuale e preparatoria per rispondere ai Bandi Europei. Di solito si sviluppano in partnership con altri enti locali. I Bandi Europei possono essere emanati direttamente da Bruxelles oppure da Enti o Ministeri che esercitano il ruolo di acquirenti. Generalmente gli enti del Terzo Settore, fino ad oggi, si sono rivolti alla seconda tipologia di bandi. Risulta infatti meno problematica la fase di progettazione e assistenza tecnica potendo in questo caso contattare direttamente la fonte con la collaborazione del partner locale.

Sandro Gualano

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