La prima parte di questo intervento è stata pubblicata ieri ( CLICCA QUI )
Amore universale che promuove le persone
Il principio universale della vita sociale è che tutti gli uomini hanno uguale dignità sempre, in ogni circostanza, in qualsiasi luogo siano nati. Tutti hanno diritto a sviluppare integralmente la propria personalità, altrimenti non c’è futuro per la fraternità e per la stessa umanità.
Non basta accogliere questo principio e poi lasciare che tutto dipenda da ciascuno: bisogna investire anche per lo sviluppo delle persone più deboli, che lo Stato, la società civile si orientino attivamente per questo.
Verso il bene comune
Se la società si regge solo sulla libertà di mercato e dell’efficienza non ci può essere sviluppo personale per i disabili, i poveri, non c’è fraternità.
Finché ci sono gli scartati non c’è fraternità, tutti devono essere accompagnati non solo perché possano vivere, ma anche perché possano svilupparsi pienamente.
Parole come libertà, democrazia, libertà sono vuote di senso se il sistema economico produce ancora scarti di persone, se non permette a tutti lo sviluppo e il meglio di sé.
Questo sviluppo include il legame con gli altri, i diritti solo individuali nascondono l’individualismo e diventano sorgente di conflitti e di violenze.
Promuovere il bene morale
La ricerca del bene degli altri implica anche la ricerca dei valori morali, dell’etica, dell’onestà, della bontà, della fede. Se non si trasmettono i valori prevalgono l’egoismo, la corruzione e la violenza.
Il valore della solidarietà
Il compito della formazione della solidarietà come virtù morale e come atteggiamento sociale spetta alle famiglie, in primo luogo, agli educatori alla scuola e a tutti i centri di aggregazione infantile e giovanile e spetta, infine, anche ai mezzi di comunicazione sociale.
La solidarietà diventa servizio agli altri, a chi è fragile nella famiglia, nella società, nel popolo. Il servizio agli altri non è ideologico perché non serve idee, ma le persone.
Solidarietà vuol dire anche lottare contro le cause strutturali della povertà, della disuguaglianza, della mancanza di lavoro, della terra e della casa, lottare contro la negazione dei diritti sociali e lavorativi.
E’ meravigliosamente umano riconoscere i diritti di ogni essere umano, anche nato al di là delle proprie frontiere.
Riproporre la funzione sociale della proprietà
Poiché tutti nascono con la stessa dignità, abbiamo il dovere di garantire che ogni persona abbia le opportunità adeguate al proprio sviluppo integrale. Ciò pone il problema, ben noto fin dai primi tempi della fede cristiana, di riflettere sulla destinazione dei beni creati.
“Dio ha dato la terra a tutto il genere umano perché sostenga tutti, senza privilegi per alcuni” ( San Giovanni Paolo II). La proprietà privata non è un diritto assoluto, perché essa ha funzione sociale. Il principio dell’uso comune dei beni creati è principio primo dell’ordinamento etico sociale; il diritto alla proprietà privata è secondario e derivato, anche se in pratica, spesso i diritti secondari prevalgono su quelli primari. Ciò deve far riflettere sul funzionamento della società.
Diritti senza frontiere
Non si può accettare che una persona abbia meno diritti per il fatto che è donna o che è nato in un certo luogo. Bisogna assicurare lo sviluppo dei diritti umani, quello dei popoli e delle Nazioni.
La libertà d’impresa e di mercato, come non deve prevalere sui diritti dei poveri e dei popoli, così deve rispettare l’ambiente e amministrarlo a beneficio di tutti.
Le capacità degli imprenditori, che sono un dono di Dio, devono orientarsi al progresso delle persone, al superamento della miseria, perché il diritto alla proprietà privata è subordinato alla destinazione universale dei beni della terra.
Diritti dei popoli
ll principio della destinazione comune dei beni della terra si applica anche ai popoli, quindi anche agli stranieri che provengono da altre terre.
La mia Nazione ha due doveri: accogliere lo straniero che viene qui per bisogno e promuovere lo sviluppo delle altre terre, non svuotandole, però, di risorse che impediscono lo sviluppo dei popoli. Questo può valere anche all’interno di una stessa Nazione, laddove ci sono regioni povere e sottosviluppate.
Per risolvere i gravi problemi del mondo parliamo di una nuova rete di relazioni internazionali, di un’etica delle relazioni internazionali per assicurare il diritto dei popoli alla sussistenza e al progresso.
Anche il debito estero, che giustamente deve essere saldato, nel caso dei paesi poveri può compromettere la loro sussistenza e la loro crescita.
Se si accetta il principio che la dignità umana è inalienabile, si può sognare un pianeta che assicuri terra, casa e lavoro a tutti, a un futuro modellato sull’interdipendenza dell’intera famiglia umana.
Capitolo quarto: UN CUORE APERTO AL MONDO INTERO
In questo capitolo il Papa propone le nuove prospettive e le nuove risposte che derivano dalla condizione che siamo tutti fratelli e sorelle.
Il limite delle frontiere
L’ideale sarebbe che le migrazioni non ci fossero e potessimo creare nei paesi d’origine le condizioni che permettano di vivere, crescere con dignità; in mancanza di ciò dobbiamo rispettare il diritto di ogni essere umano di cercare un posto dove poter vivere e realizzarsi come persona.
Quattro verbi riassumono i nostri doveri verso i migranti: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.
I quattro verbi si declinano, poi in una serie di misure concrete che aiutano i migranti sul piano formale, concreto, morale e spirituale per favorire il loro inserimento sociale, quello delle loro famiglie e preparare le nostre comunità ai processi di integrazione.
Parimenti dobbiamo concedere diritto di cittadinanza a coloro che sono inseriti da tempo nel nostro tessuto sociale, evitando ogni forma di discriminazione.
E’ necessario sviluppare una legislazione globale per le migrazioni per favorire l’integrazione nei Paesi di accoglienza e promuovere lo sviluppo dei paesi di provenienza senza sottomettere gli aiuti a pratiche estranee o contrarie alle culture dei popoli indigeni.
I doni reciproci
I migranti arricchiscono anche lo sviluppo dei Paesi di arrivo; le varie culture che hanno origini secolari devono essere preservate, valorizzando ciò che unisce e rispettando le differenze.
Le persone, le famiglie, le comunità devono dialogare per trasmettere i beni della propria cultura accogliendo i beni provenienti dalle culture altrui.
Per dire che gli immigrati sono una benedizione, il Papa ricorda la ricchezza portata dalla cultura latina negli Stati Uniti e in Argentina.
Lo stesso deve dirsi, con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, dell’incontro tra Oriente e Occidente, affinché possano arricchirsi a vicenda, l’uno della civiltà dell’altro.
Il fecondo interscambio
Abbiamo bisogno di far crescere la consapevolezza che oggi o ci salviamo insieme o nessuno si salva. E la povertà e la miseria di una zona della terra finiscono per impoverirci tutti.
Abbiamo bisogno di un ordinamento mondiale giuridico, politico ed economico che favorisca la collaborazione internazionale verso lo sviluppo di tutti i popoli. Ciò andrà a vantaggio di tutto il pianeta.
Quindi dobbiamo mirare allo sviluppo delle Nazioni più povere e al loro accesso al mercato e alla politica internazionale.
Gratuità che accoglie
La gratuità è la capacità di fare le cose buone in sé non per utilità: dobbiamo accogliere lo straniero perché ciò è bene, anche se non porta alcun beneficio tangibile. Dobbiamo fare il bene anche senza aspettare altrettanto dalla persona che aiutiamo.
Ogni Paese deve pensare come famiglia umana, non come nazionalismo: solo una cultura sociale e politica che comprenda l’accoglienza gratuita potrà avere futuro.
Locale e universale
Tra il globale e il locale ci deve essere reciproco arricchimento. L’estremismo del globale produce universalismo astratto, l’estremismo del locale produce un eremitismo localizzante. Il globale ci attira per la sua pienezza, il locale è lievito ricchezza di risorse e di sussidiarietà.
All’interno di ogni società dobbiamo sviluppare insieme la fraternità universale e l’amicizia sociale.
Il sapore locale
Non c’è apertura tra i popoli se non a partire dall’amore alla propria terra, ai propri tratti culturali; il bene del mondo esige che ognuno ami e protegga la propria terra, ciò richiama anche il significato positivo del diritto di proprietà: amo e coltivo quel che possiedo in modo che possa contribuire al bene di tutti.
Chi non è capace di penetrare fino in fondo nella propria patria si apre a una falsa universalità, vuota e superficiale. Si lavora nel piccolo che ci è vicino, però con una prospettiva più ampia. Non cerchiamo né la sfera globale che annulla, né la parzialità isolata che rende sterili.
L’orizzonte universale
Dobbiamo rifiutare lo spirito chiuso, ma non saremo mai pienamente locali se non ci apriamo all’universale, alle altre culture, ai drammi degli altri popoli. Una cultura senza valori universali non è una vera cultura. Senza rapporto e confronto con chi è diverso è difficile avere coscienza chiara di se stessi e della propria terra, perché le altre culture non sono nemici da cui difendersi ma riflessi differenti della ricchezza. La società mondiale non è il risultato della somma dei vari Paesi, ma à la comunione che esiste tra essi, nella quale ciascun gruppo si integra. Senza la coscienza di appartenere alla famiglia più grande non si può avere nemmeno la piena comprensione di sé.
La consapevolezza dei limiti non è una minaccia, ma è la chiave per elaborare un progetto comune.
“L’uomo è l’essere-limite che non ha limite”. Dalla propria regione
L’universalità non dissolva la particolarità, l’integrazione culturale economica e politica con gli altri popoli deve essere accompagnata dall’amore per il proprio popolo, per questo cammino occorre un sano processo formativo.
Lo spirito del “vicinato” esistente in certi quartieri sviluppa valori comunitari, tratti di gratuità, solidarietà e reciprocità. Ciò dovrebbe valere anche tra Paesi vicini, senza vedere gli altri come concorrenti o nemici pericolosi.
I Paesi piccoli e poveri devono unirsi in accordi regionali con i vicini perché non siano marginalizzati e sfruttati dai Paesi potenti o dalle grandi imprese. ( Segue )
Delfino Tinelli