La lurida guerra di Putin miete quotidianamente vittime civili in Ucraina. Una guerra condotta con la fredda, metodica, lucida e perversa, determinata follia dell’assassino seriale. Ciò che distingue il serial killer dal criminale comune è un universo mentale di cui violenza e sadismo occupano l’ intero spettro, dal momento che costituiscono istanze vitali, in un certo senso connaturate al soggetto e, dunque, irrinunciabili. Con buona pace di coloro che aspettano aperture di Mosca ad una composizione pacifica del conflitto, che non ci saranno.
Peraltro, ha ragione l’editorialista del Corriere che, qualche giorno fa, ricordava come le “guerre per procura” non esistano e rappresentino, piuttosto, un costrutto concettuale falso e fuorviante, cui ricorrono coloro che vogliono nascondere a sé stessi dati di realtà incontrovertibili. Bisogna, infatti, mantenere per fermo che il conflitto ucraino altro non è se non la gratuita ed immorale aggressione della Russia, diretta a cancellare dalla vita e dalla storia un intero popolo. Nonché finalizzata a sobillare un ordine internazionale divenuto insopportabile nella misura in cui le proprie fantasie imperiali inciampano contro l’arretratezza di un sistema politico, sociale e produttivo che reca ancora le ferite che il comunismo sovietico ha storicamente inferto al popolo russo.
Una guerra non a caso condotta con la cinica, compiaciuta ed opportunistica indifferenza di grandi Paesi, quali sono la Cina, anzitutto, ma anche l’India e, da ultimo, perfino il Brasile di Lula. A dimostrazione di una complicità di fatto che conta di lucrare vantaggi strategici sul piano delle relazioni internazionali, grazie alla devastazione delle più elementari regole di convivenza che Putin mostra di poter ferire impunemente.
Un secondo punto va mantenuto fermo. Da parte dell’Ucraina e del suo popolo, il conflitto in atto non è una guerra, nel senso classico del termine, ma, al contrario, una lotta di resistenza e, dunque, difensiva. Si tratta di due fattispecie ben differenti.
Le guerre sono finalizzate al potere, al prestigio di uno Stato, alla sua espansione territoriale o al predominio geo-politico. La resistenza è diretta a preservare la vita, nella sua più immediata fisicità, la storia, la cultura, la dignità di un popolo e delle persone che, ciascuna nella sua incomparabile singolarità, gli danno forma.
Ora, se la guerra non è mai giusta, una lotta di liberazione non solo lo è, ma diviene addirittura necessaria e doverosa. Meritevole di essere fermamente sostenuta. Senza temere un crescente disorientamento, che pur c’è anche in certa opinione pubblica del nostro Paese, laddove il confine tra pacifisti ad oltranza, amanti del quieto vivere, e soggetti ermeticamente chiusi nella loro sorda indifferenza si è fatto talmente sottile da essere indistinguibile.
Può essere discutibile la motivazione che ha indotto la RAI ad invitare Zelensky alla saga nazional-popolare di Sanremo, ma è fuor di dubbio il dovere di quest’ultimo a non perdere occasione per ricordare e documentare il martirio del suo Paese. Sì, sia pure tra una canzonetta e l’altra, perché è la vita ad essere fatta così: ad intrecciare commedia e dramma, farsa e tragedia secondo un copione che travalica ogni supposta regia di cui vorremmo essere capaci.
La sofferenza del popolo ucraino com’è stata giustamente ospitata nelle auliche sedi dei Parlamenti, può essere altrettanto dignitosamente mostrata in una manifestazione che raggiunge l’ intimità domestica di milioni e milioni di italiani, senza temere che rechi offesa o distrutto all’intrattenimento canoro.
Domenico Galbiati