Dove va l’economia? C’è un rallentamento globale, con fase di stagnazione, con una tendenza alla riduzione della crescita e attraverso l’aumento dell’inflazione e dei tassi di interesse, attraverso la guerra in atto tra Russia e Ucraina con la conseguente crisi energetica, l’economia globale ha incominciato prima a ristagnare, poi ad entrare in stagflazione ed ora si avvicina alla fase pericolosa della recessione.

La pandemia da Covid 19, la guerra in Ucraina e la relativa crisi energetica hanno avuto come sbocco, in Eurozona e nel mondo, il peggioramento del rapporto DEBITO/PIL con conseguente incremento del debito pubblico. Per l’Italia tuttavia dopo un primo cospicuo aumento del debito pubblico si è registrato, nel primo semestre del 2022, un miglioramento del debito che al 28 settembre  (data di presentazione della NADEF) era di 145,4% rispetto al 147,2% del DEF programmatico del 7 aprile 2022. Questo miglioramento è da ascriversi al mancato utilizzo degli scostamenti di bilancio da parte del Governo Draghi, pratica che si era resa necessaria nel primo periodo della pandemia e che aveva raggiunto a febbraio 2022 la ragguardevole cifra di circa 159 miliardi.

Le misure anti-covid, hanno richiesto continui interventi di sostegno dell’economia, utilizzando, come si è detto e fino a febbraio 2022, la forma di scostamenti di bilancio al fine di evitare il ristagno della produzione di beni e servizi, degli investimenti e per sostenere il tasso di occupazione e il potere di acquisto dei salari. Tale situazione se da un lato ha posto le condizioni di sostenere l’economia attraverso una crescita della produzione (vedi primo semestre in Italia con una crescita del 3,4%), dall’altro non ha comunque evitato il crescere dell’inflazione, l’aumento dei tassi di interesse, la formazione di maggiore deficit di bilancio e l’incremento del debito pubblico.

L’intervento delle Banche centrali, che si prospetta continuo, con l’aumento dei tassi di interesse, porterà ad un raffreddamento della crescente inflazione, senza tuttavia evitare, con l’aumento del costo del denaro, la riduzione della produttività, dei consumi e dell’occupazione. Si creeranno pertanto, se non ci sarà l’inversione della tendenza con interventi di supporto dell’economia, le condizioni per una prossima e futura recessione prima territoriale di singoli Stati e poi a livello globale.

INTERVENTI PER FRENARE L’INFLAZIONE E A SOSTEGNO DELL’ECONOMIA

Per contrastare il quadro negativo che si prospetta all’orizzonte, la FED (Federal Reserve) ha aumentato in data 21/09 c.a. il tasso di interesse di 75 punti e cioè dello 0,75%. Questo aumento del tasso di riferimento a breve termine ha portato il costo del denaro ad una misura del 3,00-3,25%. Come si è già detto sopra, l’obiettivo è di ridurre la crescente inflazione al fine di evitare una possibile recessione e di portarla nel medio termine al di sotto o uguale al 2%. All’inizio del 2023 è previsto un ulteriore aumento del tasso di interesse nella misura che va dallo 0,75% al 1,00%. Tale incremento del tasso interesse da parte della FED è la conseguenza della crescita dei prezzi di prodotto di consumo corrente, degli affitti, dei servizi e di tutti i prodotti energetici.

Alle misure prese e programmate dalla FED (banca centrale USA), si aggiungeranno per l’Europa quelle della BCE che nella prossima riunione effettuerà un aumento dei tassi di interesse. Anche l’Europa come gli USA ha come “livello obiettivo” di portare nel medio termine l’inflazione al di sotto o uguale al 2%.

Nella fase di riduzione dell’inflazione la BCE, allo scopo di evitare che la speculazione possa penalizzare il valore dei titoli di Stato dei Paesi più indebitati, ha creato una misura chiamata T. P.I. (Trasmission Protection Instrument) nota come “Scudo antispread”.

Il T. P.I. serve pertanto a “garantire una corretta e uniforme trasmissione della politica monetaria “

Beneficeranno del T. P.I gli Stati non soggetti a “procedure di infrazione per deficit eccessivo o per squilibri strutturali eccessivi”. “Inoltre vi deve essere una previa analisi sulla sostenibilità del debito pubblico”.

Pertanto lo Stato beneficiario della misura del T. P.I. dovrà avere la sostenibilità del proprio debito pubblico, condizione che sarà verificata dalla Commissione europea, dal MES, dal F.M.I. e dalle richieste previste dal Recovery Fund.

Questo per quanto riguarda l’Europa e gli USA, per il nostro Paese potrebbe esserci una variazione e discontinuità nella politica economica e monetaria a seguito del risultato delle recenti elezioni politiche. Potrebbe quindi esserci discontinuità se il nuovo Governo della Repubblica non seguirà la stessa linea di politica economica, fiscale e monetaria seguita fino ad oggi dal Presidente del Consiglio prof. Maro Draghi.

Per adesso il nuovo Governo potrà usufruire di un tesoretto di 10 miliardi di euro derivante dalla riduzione del deficit che “la nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (NADEF) fissa al 5,1%, mezzo punto in meno rispetto al DEF”; tale maggiore entrata è, per la maggior parte, la conseguenza degli effetti dell’inflazione che quando aumenta crea comunque maggiori entrate fiscali (vedi per es.: l’IVA e le accise). La riduzione di mezzo punto del deficit è l’effetto della crescita aggiornata al 3,3% stimata su base annua in “due decimali sopra l’obiettivo di aprile ma altrettanti sotto il dato già acquisito (+3,5%) nel primo semestre; la limatura si spiega con la revisione al rialzo del PIL 2021 operata dall’ISTAT, ma soprattutto con il fatto che la frenata si farà sentire già nell’ultima parte dell’anno”. (da Il Sole 24 ore del 29 settembre – Articolo a firma di Marco Mobili e Gianni Trovati).

QUADRO ECONOMICO GENERALE: C’E’ O CI SARA’ PROSPETTIVA DI CRESCITA?

Federico Fubini nel suo articolo pubblicato il 26/09 sul Corriere della Sera, cita il pensiero di Luigi Buttiglione (fondatore e Ceo di LB_MACRO) in riferimento a quanto annunciato da Liz Truss (neo primo ministro dell’UK) che ha “destabilizzato la sterlina e il costo del debito di Londra”, a seguito del suo annuncio di un piano di un importante taglio delle imposte e tasse senza la copertura di alcuna entrata finanziaria. Dice L. Buttiglione “la reazione dei mercati agli annunci del Regno Unito è un monito ai futuri governanti del nostro Paese su cosa va evitato”. A maggior ragione per l’Italia che ha un debito pubblico molto alto e una “limitata sovranità monetaria” A questo si aggiungono le “Incertezze dovute alla guerra e alla crisi energetica”.

E’ notizia pubblicata su Il Sole 24 Ore, che il provvedimento della premier dell’U K, relativo al taglio dell’aliquota fiscale del 45%, sarà ritirato o rinviato alla prossima primavera. La premier decisionista Liz Struss ha dovuto fare marcia indietro e ciò al fine di salvare i titoli di stato relativi al debito pubblico ed evitare la destabilizzazione della sterlina. Il rinvio è stato annunciato al congresso del partito Tory dal Cancelliere dello Scacchiere. Il provvedimento era stato “pensato per stimolare l’economia all’interno di un pacchetto di più ampie misure”. Tale pacchetto prevedeva “un piano più inclusivo di concreti aiuti al Paese – sostegni alle famiglie e imprese per pagare le bollette, stimoli alla crescita – ma ha innescato una reazione a catena sui timori di maggiore spesa pubblica…” (da Il Sole 24 Ore del 4 ottobre 2022 – Articolo a firma di Simone Filippetti). Interventi che sarebbero stati necessari e positivi per i cittadini dell’UK ma che sono stati per il momento accantonati per i motivi su indicati.

La partita si gioca pertanto sul binomio debito pubblico – mercato e il nostro Paese ha un debito pubblico tra i più alti del mondo! Ecco pertanto giustificato il monito, di cui alla dichiarazione di L. Buttiglione, per i futuri governanti del nostro Paese.

In un momento di inflazione crescente, con il rialzo del tassi e con il debito pubblico crescente nonostante sprazzi di crescita (nel Paese 3,3% nel 2022 ma dello 0,6% nel 2023) e di momentanea riduzione del deficit (vedi l’Italia che per il 2022 si trova con una riduzione tendenziale del deficit al 5,1% per il 2022 e 3,4% per il 2023), che prospettiva ha il nostro Paese? In un articolo apparso su l’Economia del Corriere della Sera, in relazione al “peggioramento” del tasso di crescita e alle “alle condizioni con le quali ci stiamo indebitando”, così scrive Ferruccio de Bortoli riportando le parole della NADEF: “il rialzo dei tassi……rende più complesse le prospettive economiche anche per via della rapidità con cui è stato attuato. Avrà un impatto depressivo sull’attività economica e sui mercati immobiliari. In Italia al rialzo dei tassi si aggiunge l’allargamento dello spread tra i nostri titoli di Stato e i bund che è salito di 150 punti base sul decennale rispetto al settembre del 2021” (Corriere della sera del 03/10/2022 – Articolo di Ferruccio de Bortoli)

Niente quindi di positivo per il futuro? Siamo in una economia mondiale che sta soffrendo per una serie di concause che non permettono di uscire da difficoltà che diventeranno sempre più crescenti e che potranno avere come sbocco una fase seria di recessione. L’inflazione, la guerra tra Russia e Ucraina, la crisi energetica rappresentano una miscela che solo con l’immissione di liquidità nel sistema (liquidità che negli ultimi sei mesi è scesa di ben 7 mila miliardi di dollari) potrebbe evitare la fase recessiva dell’economia. Ma dove dovrebbe essere indirizzata questa liquidità? Sicuramente verso investimenti produttivi e in infrastrutture, in lotta all’evasione fiscale e in debito pubblico sostenibile e in investimenti privati. In Italia tale liquidità ci può venire, anche se non totalmente, dal PNRR che, salvo correttivi che si renderanno necessari, deve essere applicato integralmente dal nuovo governo attuando le riforme richieste e deve essere improntato ad interventi ad alta “produttività sociale” (parole del prof: Mario Draghi).  Inoltre il debito pubblico dovrà essere sostenibile (cosiddetto debito “buono”) e che dovrebbe permettere la crescita del sistema produttivo e dell’occupazione con un “return” in termini di maggiori entrate per lo Stato derivanti dal maggior reddito reale prodotto e dalle conseguenti maggiori entrate fiscali. Questo sarebbe l’auspicio, ma è molto probabile che non sarà così!

Si prevede pertanto che, per quella miscela di cause e concause, l’inflazione non si fermerà e che con il rialzo dei tassi, con la riduzione degli investimenti e della produttività di beni e servizi, con la crescente crisi energetica, con la mancanza di interventi delle banche centrali, e per l’Europa della BCE, nel sostegno e nella sterilizzazione del maggiore debito pubblico, il sistema economico entrerà in una fase di recessione o, nella migliore dell’ipotesi, in stagflazione.

Concludo facendo proprio quanto scrive il giornale “THE ECONOMIST” in un articolo pubblicato in data, 17/09/2022 dal titolo “The perils of wishful thinking” (I pericoli del pio desiderio), dopo aver fatto una disamina della situazione economica del momento sulla problematica dei prezzi al consumo in America (“Consumer prices in America”) così conclude: “The worst of the fight to tame inflation is yet to come” ( Il peggio della lotta per domare l’inflazione deve ancora venire).

Antonio Mascolo

 

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