Riflessioni sul Ddl  Z A N di INSIEME MOLISE a firma di Antonella Di Lisa

Nel premettere che ciascun uomo è tale se sa rispettare l’altro, riconoscendone dignità e libertà, senza commettere discriminazione e violenza alcuna, occorre evidenziare le criticità di una proposta che vuole usare la legge penale quale strumento di promozione ed affermazione di nuovi diritti, specie quando la loro fonte scaturisce da ideologie o concezioni morali non da tutti condivise (Fiandaca).

Il diritto dell’Unione Europea, la stessa Convenzione dei diritti dell’uomo, la nostra Costituzione, l’ordinamento italiano già tutelano ampiamente le persone soggette per qualunque motivo a manifestazioni di odio e violenza. I concetti di “genere” ed “identità di genere”, nella loro indeterminatezza, non appaiano adatti a sostenere una legge, che invece ha bisogno di certezze oggettive, e tantomeno una norma (l’articolo 604-bis del Codice penale) che prevede sanzioni a chi ne viola il dettato. L’introduzione di motivi fondati sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere, in aggiunta ai motivi razziali, etnici, nazionali e religiosi, accanto alle donne e ai disabili, equipara in modo forzoso condizioni (e possibili discriminazioni) assai diverse.

La Costituzione afferma all’articolo 3 la “pari dignità sociale” di tutti i cittadini “senza distinzione di sesso…”: un’espressione che non esclude nessuno, per definizione, e che non dovrebbe autorizzare l’identificazione per legge di un gruppo di cittadini distinti dagli altri per un criterio soggettivo come l’identità di genere ( Avvenire.it, Francesco Ognibene).

L’art. 604 bis c.p. punisce gli atti discriminatori, la violenza, gli atti di provocazione alla violenza, la partecipazione ad organizzazioni associazioni, movimenti, gruppi “aventi tra gli scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza”. L’articolo 4 del ddl in esame sembra fare salve la “libera espressione di convincimenti od opinioni” e le “condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte”, ma con un limite ambiguo: “purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. Una previsione alquanto vaga, affidata all’interpretazione di ogni giudice, che introduce una sorta di responsabilità oggettiva, per cui potremmo penalmente rispondere anche per reazioni e comportamenti sconsiderati di altri, rispetto a quanto da noi legittimamente scritto o detto. Che dire di molte associazioni, gruppi o movimenti? E delle prediche fatte dai sacerdoti sull’altare?  Orbene, si potrebbe verificare un’ingiustificata compressione della libertà di pensiero e di opinione, garantite dall’art. 21 della Costituzione, nonché una violazione dell’art. 2 dell’Accordo di revisione del Concordato che garantisce alla Chiesa Cattolica la libertà di organizzazione, la libertà di magistero e più in generale per tutti i cattolici e le loro associazioni la libertà di manifestazione del pensiero. L’art. 7 del ddl fissa al 17 Maggio (già giornata internazionale contro l’omofobia) la “giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia” obbligando le scuole, di ogni ordine e grado, alla relativa celebrazione, ciò (come evidenziato anche dal prof. Cesare Mirabelli) in violazione dell’art. 30 della Costituzione che riserva ai genitori il diritto/dovere di istruire ed educare i figli, dell’art. 2 del protocollo addizionale della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo che stabilisce che lo Stato nell’educazione e nell’insegnamento deve rispettare il diritto dei genitori a che queste ultime siano conformi alle loro convinzioni filosofiche e religiose, nonché in violazione dell’art. 33 della Costituzione e dell’art. 9 dell’Accordo di revisione del Concordato che riconoscono la piena libertà di insegnamento alle scuole statali e paritarie.

In conclusione, pur consapevole del ruolo e delle prerogative del Parlamento, non si può non evidenziare che se il più alto potere pubblico, “sceglie” una specifica visione antropologica ed etica, allora esso mina alle radici l’attuale natura di “Stato laico”, infrangendo il nucleo più essenziale dei “diritti inviolabili”, di cui all’art. 2 della Costituzione, che non possono tollerare un’imposizione sulle convinzioni esistenziali di ciascuna persona ( lettera di 70 associazioni ai senatori).

Antonella Di Lisa

 

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