In un recente articolo dedicato a sottolineare le caratteristiche dell’impatto recessivo del conflitto bellico e delle tensioni internazionali (CLICCA QUI)abbiamo evidenziato le conseguenze negative sulle attività produttive, in particolare l’industria manifatturiera e le aziende esportatrici, che rappresentano la parte nobile e più efficiente del nostro sistema economico. 

Sul ruolo trainante di queste attività, in termini di volumi di produzione, di produttività e di innovazione tecnologica trasferite anche sui comparti dei servizi erano fondate anche le prospettive della transizione digitale e ambientale collegate all’attuazione del Pnrr. La frattura nelle reti di fornitura di materie prime, di diverse componenti della produzione e l’aumento dei costi di approvvigionamento determinano un cambiamento di prospettiva e l’avvio di un inevitabile ciclo di riorganizzazioni della produzione dai contorni incerti. 

Buona parte dello sviluppo occupazionale, per un fabbisogno complessivo, superiore ai 3 milioni di occupati, due terzi dei quali sostitutivi degli esodi pensionistici, era affidato alla crescita del settore dei servizi con un ruolo rilevantissimo della sanità, dell’assistenza e della formazione, corroborato da circa 770 mila assunzioni nella Pubblica amministrazione. 

Nel medio lungo periodo si riducono i margini di espansione delle aziende esportatrici e assume più rilevanza il ruolo dei comparti dei servizi che , allo stato attuale, risultano essere sottodimensionati rispetto alla media dei Paesi sviluppati e di quelli aderenti all’Ue. Ma questa aspettativa si può concretizzare se vengono rimediare le criticità che hanno condizionato lo sviluppo del terziario italiano, in particolare la riduzione del tasso di investimenti e della produttività dei fattori, in particolare quella del capitale investito, nel corso degli anni 2000. La redditività di queste attività, al netto dei comparti finanziari, assicurativi, delle telecomunicazioni e dei trasporti, rimane condizionata dalla compressione dei costi del personale. Significativo il fatto che l’80% del lavoro sommerso (CLICCA QUI), stimato dall’Istat nell’equivalente di 3,5 milioni di posti di lavoro a tempo pieno, si concentra nei comparti dei servizi e in particolare quelli rivolti alle persone e alle famiglie. 

Questo schema può essere interrotto con l’evoluzione delle organizzazioni del lavoro caratterizzate da un ampio utilizzo delle tecnologie digitali, da un forte aumento della produttività e da un miglioramento delle condizioni salariali. Questo è del tutto possibile e sta avvenendo pressoché in tutti i Paesi sviluppati sulla domiciliarizzazione degli accessi alle diverse tipologie dei servizi e delle forniture, per l’aumento delle economie di scala e della dimensione delle imprese erogatrici.

Rappresenterebbe in parallelo la risposta migliore al contenimento dell’impatto dei prezzi importati, la condizione per migliorare le prestazioni lavorative, la durata dei rapporti di lavoro e i salari. 

Potrebbe sembrare l’uovo di Colombo, e in effetti questa evoluzione è già in atto nella terziarizzazione dei processi industriali.

Natale Forlani

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