Agitur sequitur esse è un principio cardine della ontologia tomista. Riferito all’Uomo, l’Essere – immagine di Dio –    è “perfezione”  ontologicamente  derivata dal Creatore: lessenza è il “manifestarsi” dell’essere e qui si dispiega lo strappo e la sofferenza della creazione che geme fino alla ricapitolazione finale.

Traspondere l’ontologia nella “fenomenologia del divenire” senza piena comprensione di come la materia plasma e dà forma contingente all’essenza, ha prodotto e produce una serie di pericolosi corto-circuiti, dapprima filosofici, come la dicotomia anima-corpo, che poi  in tempi speculativamente  più sciatti  come quelli contemporanei,  sono stati tradotti  in  una irenica superiorità del pensare sull’agire, di cui il “dover essere” è diventato scafandro e prigione, cui per contrappasso ha fatto seguito una sostanziale irrilevanza del “pensiero cogitans”, sostituito dall’agire emotivo, liberato dalle costrizioni moralistiche, accusate di impedire il “dis-velamento” autentico.

Il pensare, ambito privilegiato dell’Essere, che  “governa” l’agire e tutte le scelte dell’Uomo: da una parte   la Morale quale Lex fondante cui il pensiero deve far conformare l’ agire dell’uomo, dall’altro il Cyborg ossia l’essere umano modificato e interconnesso dalla tecnologia che con i suoi “chip” è in grado di modificare il naturale flusso del pensare e quindi dell’agire stesso: l’umanoide cyborg: è ancora uomo? Ma se non lo è, quale è l’ontologia della essere Uomo? Sparisce anch’essa con la manipolazione tecnologica o rimane tale?

Nel mentre che la filosofia faccia le sue riflessioni,  è ormai acquisito che il “movimento”, fin da prima che nasciamo, è di fondamentale importanza per consentire non solo la maturazione e selezione dei  network cerebrali da cui prende forma il pensiero,  ma anche quale  modalità privilegiata e primigenia per  strutturare l’esperienza da cui nel corso del tempo trarrà struttura il pensare – e di conseguenza l’agire! –  : quasi che in qualche modo  “esse sequitur operationem”.

Non solo il movimento, ma anche le percezioni sensoriali sono fondamentali, anch’esse fin da prima della nascita, per consentire di significare le esperienze da cui trae origine il pensiero umano, forse attività più riflessiva che programmatoria specifica . A ben pensarci, gli stessi dermatoglifi, insignificanti plicature dei nostri polpastrelli che definiscono la unicità di ogni essere vivente, oltre all’azione di un gene, sono determinati dalla pressione del liquido amniotico sui polpastrelli delle dita  durante la gestazione: posizione, pressione, volume contribuiscono in maniera determinante a ciò che pare così identificativo della nostra univocità biologica: ecco perché due gemelli monozigoti hanno dermatoglifi differenti.

Cosa c’entra la politica con tutto ciò?

La insignificanza del pensiero politico dei cattolici, di cui la diaspora è forse un effetto e non la causa, nasce probabilmente dall’essere rimasti intrappolati da una idea del “dover essere”, bruttissima copia della profondità dell’ontologia tomista, che, slegata da una “laica” conoscenza sullo sviluppo e sul funzionamento dell’essere umano, della influenza e del condizionamento esercitato dal contesto sociale, dalla influenza e dal condizionamento esercitato dall’ambiente naturale (la nostra casa comune) sull’essere vivente della specie sapiens, si è trasformato in un “moralismo” o “eticismo” disincarnato e sterile.

Anzi, a dirla tutta, ha pure aggravato le pene dell’uomo contemporaneo, trasformando la bellezza in peso opprimente, e lo ha indotto a ribellarsi in maniera ancora più violenta alle esternazioni pedagogiche del pensiero politico di ispirazione cristiana.

La bellezza di essere co-creatori della vita umana è stato trasformato in un dovere opprimente di custodia.

Compito di un partito e di chi fa politica non è tanto quella di sciorinare principi apodittici   cui i cittadini dovrebbero conformare il loro agire, ma individuare quegli elementi, a volte apparentemente piccoli, ma che possono consentire ai cittadini stessi di svolgere quel percorso che consenta loro di essere più prossimi al loro ontologico ESSE: l’esito non sarà mai scontato, anche nelle condizioni più ideali (  anche Adamo  ed Eva sono “liberamente” inciampati nella mela), ma compito della Politica è creare le condizioni concrete affinchè “la Città dell’Uomo”, non renda impossibile l’arrivo a quella celeste.

Concretamente, se la Tutela della vita è elemento centrale, quali sono le iniziative politiche concrete che possono aiutare la donna e le famiglie a sostenere questa sfida? Compito complessissimo, ma che non ci esime dal giudicare severamente le tante omissioni di atti concreti, negli ultimi quarant’anni….

Se affermiamo la centralità del Lavoro rispetto alla Finanza, quali sono quei provvedimenti normativi che consentano – non per scelte eroiche – di affermare nella quotidianità un tale principio? A volte le modifiche che incidono profondamente avvengono in campi apparentemente lontani dall’obiettivo…

Ad esempio: difendere il lavoro forse vuol dire che i lavoratori di una azienda devono partecipare, assieme ai detentori del capitale, a definire le politiche economiche dell’azienda stessa: non necessariamente per “decidere”, di sicuro per conoscere, e laddove le scelte hanno a che fare con questioni che impattano profondamente con le dignità del lavoro – ad esempio la sicurezza o la riduzione/contrazione del valore dello stesso – devono poter concorrere alle scelte.  Auspicabilmente attraverso un percorso di “condivisione” del senso, nel mentre grazie a provvedimenti normativi puntuali che, con tutto il doveroso rispetto di chi detiene il capitale , spingano nella direzione valutata come necessaria per riequilibrare il rapporto lavoro/azienda. Con l’avvio delle realtà del terzo settore, perché non provare a sperimentarlo direttamente in queste nuove  realtà produttive? In fondo l’economia civile di mercato, vuole la “civitas” attore del progresso economico: e chi lavora è parte fondamentale della “civitas”!

Essere coinvolti nel processi decisionali, è’ cosa diversa dal “contrattare” il valore nominale della prestazione lavorativa che è questione importante, ma da sola non decisiva per la difesa della dignità del lavoro.

Forse, prima o poi, gli economisti troveranno il modo di dare anche  “valore anche contabile” nel bilancio aziendale al “valore della persona che lavora”: ora è solo un costo, nemmeno un “bene”, a differenza degli immobili e delle macchine….

Altro esempio: l’idea che la sicurezza sul lavoro sia perseguibile sostanzialmente  attraverso una serie di incontri di formazione basati  sulla conoscenza del problema  (il primato del pensare sull’agire) dispensati in modalità  “top-down” asincrona, per di più verificati e validati all’interno di sistemi procedurali costruiti su modelli cognitivistici,   superati anche dalle conoscenze attuali, rischia di essere una modalità che induce “ritualismo e assuefazione” (rischiosissimo quando si ha a che fare con la sicurezza) o “ossessività rivendicativa” ( condizione che  accentua i conflitti, fonte poi di aumento del rischio): dove è la tutela della dignità del lavoro? Sicuri che non ci sia una modalità differente che una attenta legislazione spinga ad implementare facilitando così la adozione di una sicurezza sul lavoro che è espressione della tutela della dignità di chi lavora e che vede protagonisti gli attori stessi del  lavoro?

In sanità: come può esistere la “bellezza della cura dell’altro”, all’interno di una organizzazione che ci si ostina a definire “aziendale”? Una azienda può forse occuparsi  di come valorizzare il tempo uomo-equivalente affinchè nessuno sia lasciato spirare in angosciosa solitudine nell’ospedale-azienda? Se lo facesse, ci sarebbe forse un ritocco sul valore del DRG per le patologie che terminano con la morte del paziente? Da computare nello sbilancio cronico di ogni servizio sanitario o da ri-equilibrare “efficientando” altre attività? Cancellare il concetto di ospedale-azienda non basta certo a sviluppare una umanizzazione delle cure, ma un partito politico di ispirazione cristiana, non può risolvere l’enorme conflitto tra “prendersi cura del fragile” e “equilibrio economico-finanziario”, solo lodando i tanti cirenei della assistenza o augurandosi che tutti “devono essere” “buoni cirenei”…, senza prendere posizione netta contro la deriva economicistica (sia in ambito pubblico che in quello privato)  della sanità che si è sviluppata a partire dagli anni novanta: con iniziative legislative concrete e puntuali  che lentamente  riposizionino la rotta del Titanic, sapendo che alcune azioni di cura possono essere sviluppate all’interno di una logica economica, altre- forse le più decisive per non escludere nessuno dal “sentirsi curato” – assolutamente no.

Per raggiungere il consenso, premesso che la manipolazione della comunicazione è sempre un crimine, come avviciniamo l’uomo contemporaneo immerso in un flusso continuo di “fake news” e informazioni generanti incertezza che lo dilacerano nella sua stessa quotidianità? Parole di speranza, ci vogliono: ma con quale modalità tecnica  riuscire a far sentire questa nostra nuova realtà, partendo dalle conoscenze sul potere della IT nella nostra quotidianità?

Un neonato si tranquillizza, di solito, sentendo le ninne-nanna: anche se non sono nella sua lingua-madre, come suggerisce una ricerca recentissima. Forse la ritmicità tipica  delle ninne-nanna è riconosciuta dal cervello del neonato prima ancora che diventi esperienza sociale in grado di plasmare la sua esperienza relazionale con i suoi genitori: nessuno penserebbe di rilassare un neonato, immergendolo in una cacofonia di suoni anche se accompagnati dal più struggevole e dichiarato sentimento di amore….

Abbiamo tanto lavoro concreto da fare.

Massimo Molteni

 

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