Nei prossimi giorni, il Conclave eleggerà il nuovo Vescovo di Roma. Un momento solenne, atteso con trepidazione da fedeli e osservatori di tutto il mondo. Ora, la domanda che molti si pongono è questa: da dove verrà il nuovo Pontefice? L’Europa tornerà a guidare la Chiesa? Oppure si confermerà la vocazione universale inaugurata da Papa Francesco con la sua elezione nel 2013, primo Papa sudamericano? La storia dei Papi ci offre dati interessanti. Se è vero che l’Italia ha dominato il papato per secoli – basti pensare che, con sole due eccezioni, quella di Papa Adriano VI, olandese, eletto nel 1523 e l’altra di Giovanni Paolo II, polacco, eletto nel 1978, tutti i pontefici furono italiani – anche altri Paesi europei hanno avuto i loro momenti. La Francia, ad esempio, non ha più espresso un Papa dal 1370, anno dell’elezione di Gregorio XI (Pierre Roger de Beaufort), ultimo dei Papi avignonesi. Da oltre 650 anni, dunque, la “figlia primogenita della Chiesa” attende il ritorno di un suo cardinale sul soglio pontificio. La Germania ha avuto come ultimo Papa Benedetto XVI (Joseph Ratzinger), e la Polonia ha visto Giovanni Paolo II (Karol Wojtyła) regnare dal 1978 al 2005. L’Austria non ha un Papa da secoli, la Spagna dal XV secolo, l’Inghilterra addirittura dall’VIII. Paesi cattolici come il Portogallo, l’Ungheria, l’Irlanda o il Belgio non hanno mai espresso un Pontefice moderno.
Un nuovo papa europeo, asiatico o americano?
Con Papa Francesco, l’elezione del 2013 ha aperto la strada a un vero universalismo. L’America Latina, cuore pulsante del cattolicesimo globale per numero di fedeli, ha finalmente visto un suo rappresentante sulla Cattedra di Pietro. Ma gli altri continenti? Nord America, Centro America e resto del Sud America, a parte l’Argentina, non hanno mai visto un proprio cardinale divenire Papa. Canada, Messico, Colombia, Brasile, Stati Uniti, pur essendo Paesi con una forte presenza cattolica, non hanno ancora espresso un Pontefice. E l’Africa? Il continente, in fortissima crescita demografica e religiosa, non ha mai avuto un Papa africano in epoca moderna, dopo i tre Papi nordafricani dei primi secoli: San Vittore I, San Milziade e San Gelasio I. Oggi, figure autorevoli come i cardinali Peter Turkson (Ghana) o Fridolin Ambongo (Repubblica Democratica del Congo) rappresentano un volto dinamico della Chiesa africana. L’Asia, invece, ha visto solo pochi Papi antichi e nessuno in età moderna, nonostante la crescita di comunità cattoliche in Paesi come le Filippine, l’India, il Vietnam e la Corea del Sud. Anche l’Australia, pur con una presenza viva nella Chiesa, non ha mai espresso un Pontefice. Un Papa non europeo, non latinoamericano, potrebbe segnare una svolta simbolica e concreta. Simbolica perché direbbe al mondo che il cuore della Chiesa non è più solo a Roma, ma nelle periferie, nei nuovi crocevia della fede. Concreta, perché porterebbe in Vaticano sensibilità diverse, legate ai problemi sociali, culturali, politici di altri continenti: la povertà, le guerre dimenticate, la sfida dell’evangelizzazione in terre musulmane o post-comuniste, la convivenza con religioni millenarie.
Tradizione e profezia: l’identikit del futuro Pontefice
Se da una parte molti auspicano un ritorno a una guida europea – magari francese, tedesca o italiana – capace di gestire i complessi equilibri con l’Europa secolarizzata e le istituzioni internazionali, dall’altra cresce la consapevolezza che la missione della Chiesa richiede oggi un pontefice profetico. Qualcuno che possa parlare al Sud del mondo con voce familiare, che conosca la realtà della povertà e della persecuzione, ma anche i fermenti di un cristianesimo giovane, creativo, entusiasta.
Il prossimo Papa, chiunque sarà, erediterà una Chiesa attraversata da tensioni e speranze: il dialogo interreligioso, la riforma della Curia, la lotta contro gli abusi, l’annuncio del Vangelo in un mondo sempre più frammentato. La sua provenienza geografica sarà forse meno importante del suo profilo spirituale e umano, ma non sarà priva di significato. In un’epoca in cui la cattolicità si misura anche nella rappresentanza e nel linguaggio, scegliere un Papa “dal resto del mondo” potrebbe essere il segno che il centro si è spostato e che Roma è davvero il cuore di una Chiesa universale.
Michele Rutigliano