La giustizia penale internazionale, in questi ultimi anni, si è rivelata inefficace per un suo difetto strutturale poiché è priva del potere di far eseguire le proprie decisioni, esecuzione demandata alle Forze dell’Ordine dei vari Stati.

L’inefficacia nel far eseguire i mandati di arresto contro i responsabili di gravo crimini contro l’Umanità non dipende, invero, dalla efficienza di un singolo Procura tore ma da tale difetto strutturale.

Le decisioni degli Organismi di giustizia internazionale sembrano accomunate da un aspetto ossia che la loro adozione, non succede niente di significativo né agli accusati né sul campo, come accaduto anche di recente a livello internazionale.

Pertanto,la giustizia penale internazionale ha problemi ancora più profondi di quelli evidenti dall’esterno poiché é incapace di far rispettare le più elementari regole a tutela della dignità umana, per problemi che discendono dalla stessa natura delle Istituzioni.

Tuttavia, in questi anni in cui gravi crimini internazionali vengono perpetrati in maniera manifesta ed in cui i responsabili ostentano sicurezza per la propria impunità, la giustizia penale internazionale sta vivendo un’evoluzione necessaria e silenziosa collegata alla necessità di ricorrere a vari Organismi internazionali per la soluzione dei problemi dei vari Paesi coinvolti.

La denuncia di violazioni delle regole internazionali,anche quando perpetrate dagli Stati più potenti,e il proliferare di strumenti per far fronte alle atrocità di regimi oppressivi e guerre, costituiscono, invero, la funzione più realistica e realizzabile della giustizia penale internazionale nelle condizioni attuali.

  • I mandati di arresto non eseguiti

Il recente mandato d’arresto della Corte penale internazionale contro Benjamin Netanyahu sembra ricalcare quello emesso nel marzo del 2023 contro Vladimir Putin,accusato di crimini internazionali senza che fosse fermato o che le opera zioni militari in Ucraina cessassero mentre il beneficio per le vittime dei crimini cmmmessi un quel Paese rimane inesistente.

Come ha scritto di recente un esperto in materia,”sarebbe bello se la Corte penale internazionale avesse il potere che i suoi critici le attribuiscono”, ma non è così.

Secondo l’opinione prevalente, la scelta di eseguire o meno un mandato d’arresto dipende, quindi, ancora interamente dalla volontà degli Stati ed é inevitabile che il funzionamento dei tribunali internazionali rifletta l’equilibrio di potere tra i vari Paesi che li hanno istituiti in modo da conservare la sovranità necessaria affinché le loro decisioni non gli si ritorcessero contro.

Pertanto, si può affermare che solo con il sostegno politico, la giustizia penale internazionale può divenire efficiente.

È quanto accaduto, in passato, con i processi di Norimberga e di Tokyo in cui vennero uniti i leader dei paesi sconfitti nella Seconda guerra mondiale o quando, negli anni ’90,le Grandi Potenze, riunite nel Consiglio di sicurezza dell’ONU, decisero di occuparsi dei crimini commessi nelle guerre nei Balcani e in Ruanda, creando tribunali specifici che pronunciarono sentenze contro centinaia di persone coinvolte assicurandone la custodia dopo la condanna.

Un’analoga efficienza viene meno quando perseguire crimini internazionali non è nell’interesse delle Grandi potenze.

La debolezza dei Tribunali è, in definitiva, strettamente collegata al problema di applicare le regole in maniera selettiva, a seconda di chi sia lo Stato o l’individuo che le viola.

Dalle molte ricerche svolte sul delicato argomento è emerso che la giustizia del vincitore è una desolante condizione congenita, nata insieme agli Organismi di giustizia internazionali.

Allo stesso modo, e per la stessa ragione, nessuna Corte si è ancora occupata dei principali conflitti armati degli ultimi decenni, che vanno dall’invasione dell’Iraq del 2003 alla guerra civile in Siria, iniziata nel 2011 ed appena conclusasi con la caduta del regime di Assad, dove sono pure coinvolti gli Stati Uniti e la Russia, che ha provocato un esodo biblico verso i Paesi Europei.

  • Il caso Almasri

In questi ultimi giirnicha  destato scalpore nell’opinione pubblica il caso del Generale Libico Osama Almasry Njeem,“Mr Njeem”,arrestato a Torino su mandato internazionale e lasciato libero per un cavillo giudiziario, di cui diremo infra.-

Il mandato di cattura della Corte dell’Aja lo accusa di crimini di guerra e contro l’umanità, con stupri, omicidi, torture, botte,anche se, si legge negli atti, Almasry “non ha un titolo ufficiale” ma nella prigione di Mitiga,ad ovest della Libia,“tutto avviene sotto il suo controllo e con il suo consenso” oerchè il despota occupa “la posizione più alta” e dispone della vita e della morte dei prgionieri.

La sua liberazione è divenuta un caso internazionale per quello che viene ritenuto un errore di procedura(!!).Il 2 ottobre 2024, il procuratore generale della Cpi chiede un mandato d’arresto per Osama Almasri Njeem “per gravi crimini commessi in Libia dal febbraio 2015 all’ottobre 2024”.

Il 18 gennaio 2025, la decisione di procedere all’arresto viene emanata e Almasri viene intercettato dalla Digos di Torino mentre, con alcuni amici, sta tornando in hotel dopo essere stato allo stadio per vedere la sua squadra del cuore.

Almasri, destinatario “di un mandato d’arresto internazionale a fini estradizionali” a quanto risulta nella banca dati dell’Interpol, finisce in manette.

Nondimeno, il Generale viene scarcerato solo tre giorni dopo, il 21 gennaio, per un “errore di procedura”,come stabilito dalla Corte d’appello di Roma poiché il Ministro della Giustizia “non sarebbe stato avvertito in tempo”.

Per contro, la Corte dell’Aja, in una nota, ha affermato che “L’Italia sapeva”. Facendo esplodere una  bagarre politica con un rimpallo di responsabilità.

Il generale Almasri, nel frattempo, viene rimpatriato con un aereo di Stato e in tarda serata, torna in Libia, a Tripoli.

Per la Corte dell’Aja, Almasri resta un torturatore, da punire con la pena massima dell’ergastolo ma per chi era ad aspettarlo a Tripoli, il Generale è un eroe nazionale mentre per chi è detenuto, resta sinonimo di vita. O di morte.

  • Nuove speranze di cambiamento

Una grande speranza per superare il problema della esecuzione dei mandati d’arresto internazionali era riposta proprio nella Corte penale internazionale, Tribunale fondato nel 1998 da un nuovo trattato internazionale, lo Statuto di Roma, indipendente dal Consiglio di sicurezza dell’ONU che, tuttavia, conserva il potere di attivare la giurisdizione della Corte e di sospenderla per un anno.

Invece dal 2002, anno in cui è entrata in funzione, la Corte si è occupata solo di situazioni che non intaccavano gli interessi delle Grandi potenze, di crimini commessi prevalentemente nel continente africano, senza oltretutto ottenere, il più delle volte, il sostegno politico necessario a perseguire i responsabili i crimini efferati in danno delle popolazioni coinvolte.

Va, tuttavia, sottolineato che Russia, Cina e  Stati Uniti non sono entrati a far parte dello Statuto, ed, in conseguenza, non sono vincolati ad eseguire le decisioni della Corte.

Le Superpotenze hanno, comunque, utilizzato strumentalmente il Tribunale attivando la sua giurisdizione in altri Stati che non aderiscono al trattato di Roma, come il Sudan e la Libia, senza poi sostenerne le decisioni, come pure ne hanno ostacolato l’esecuzione quando si è trattato di difendere i propri cittadini o interessi.

In particolare, gli Stati Uniti hanno adottato finanche una legge che autorizza il Presidente a usare qualsiasi mezzo, incluso l’uso della forza, per liberare persone di nazionalità statunitense o di Paesi suoi alleati detenute dalla CPI i, tanto che la norma è stata soprannominata “legge di invasione dell’Aia”.

Il risultato è che in oltre 20 anni di attività la Corte penale internazionale è riuscita a condannare per crimini internazionali appena quattro persone, peraltro a seguito di complessi dilemmi etici.

Negli anni scorsi, inoltre, la Corte ha sempre evitato di intraprendere azioni contro cittadini di grandi potenze colpevoli di crimini internazionali, come nel caso dell’attacco a una nave di aiuti umanitari a Gaza o delle indagini contro membri degli eserciti occidentali nella guerra dell’Afghanistan.

Per questa ragione i mandati d’arresto contro Putin e Netanyahu costituiscono un’azione senza precedenti nella storia della giustizia penale internazionale anche.  Se non abbiano avuto conseguenze tangibili  al di là delle limitazioni delle missioni internazionali dei leader incriminati.

Tuttavia, essi rappresentano un punto di svolta storico nella pratica dei tribunali, che potrebbe portare a un superamento del problema dei doppi standard, ma anche mettere a rischio l’esistenza stessa della giustizia internazionale.

Il paradosso è che se la Corte penale internazionale arriva a colpire il Premier di un Paesse membro permanente del Consiglio di sicurezza,come la Russia o il Primo Ministro di un Paese alleato dei membri permanenti occidentali (Regno Unito, Francia e soprattutto Stati Uniti)fa emergere o aggrava la propria incapacità di dare esecuzione alle decisioni assunte dalla CPI.

Quello che sta accadendo è che diversi Stati membri, tra cui l’Italia, stanno per la prima volta mettendo in dubbio la loro collaborazione con la Corte, sebbene le leggi emanate lascino poca discrezionalità nel decidere se seguirne o meno le decisioni.

Fino al secolo scorso i concetti di Diritti Umani, che proteggono gli individui dagli abusi degli Stati,o di crimini internazionali,che colpiscono non solo le vittime dirette, ma anche la comunità internazionale nel suo complesso violando principi universali,erano pressoché inesistenti mancando la possibilità di assicurarne la tutela giudiziaria.

La realtà è che, negli ultimi anni, i tribunali internazionali sono stati meno cauti nell’occuparsi delle violazioni perpetrate dagli Stati più potenti ed i mandati di arresto della Corte penale internazionale vanno ora in questa direzione.

Un’altra tendenza recente è il forte aumento di Stati che ricorrono alla giustizia internazionale per denunciare violazioni commesse da altri Stati, come, per esempio, la Corte europea dei diritti umani-CEDU che ha visto crescere le dispute tra Stati in materia di violenze di massa, come nel caso dell’Ucraina contro la Russia.

Sono aumentate anche le azioni contro le grandi potenze della Corte internazionale di giustizia che, a differenza della CPI, è un Organismo dell’ONU,attivo dal 1946, che si occupa di responsabilità statale e non di persone fisiche.

Lo scorso luglio la Corte in questione si è pronunciata sull’illegalità dell’occupazione dei territori palestinesi e di accuse di genocidio, chiamata in causa dal Gambia per le persecuzioni dei Rohingya in Myanmar e dall’Ucraina per dimostrare l’infondatezza delle ragioni dell’aggressione da parte della Russia mentre dalla Repubblica del Sudafrica per le violazioni di Israele a Gaza.

Anche in questi casi le misure cautelari adottate dalla Corte internazionale di giustizia hanno avuto scarse conseguenze politiche e non hanno migliorato la condizione delle popolazioni coinvolte,perché,ancora una volta,la loro esecuzione dipendeva dalla volontà degli Stati.

L’attuale tendenza ad occuparsi dei crimini commessi dalle Grandi Potenze costituisce, quindi, un possibile passo verso il superamento del problema dei doppi standard e della cosiddetta “giustizia dei vincitori” ed un punto di svolta per ottenere una giustizia efficace oltre che imparziale.

L’efficacia della giustizia internazionale è, invece, stata affermata a livello locale con la diffusione di strumenti, istituiti dai singoli Stati, volti a sostenere processi di riconciliazione nazionale o di democratizzazione  e si è affermata  per i crimini internazionali e la violazione di diritti umani come una componente in dispensa bile per i processi di pace o di sostegno alla democrazia anche attraverso apposite Commissioni.

N effetti, l’idea alla base è statta quella di istituire una “giustizia di transizione”, che ponga al centro le vittime e non i carnefici,per focalizzarsi sulle esigenze delle prime, non sempre immediate da intuire.

In Afghanistan, per esempio, le vittime civili di attacchi delle forze occidentali affermavano di dare importanza a una riparazione simbolica, come il riconosci mento del danno e le scuse, non meno che al risarcimento materiale offerto dagli eserciti.

Sono, comunque,esempi di una giustizia riparativa,alternativa al tradizionale approccio penale solitamente limitato ai crimini più efferati, che predilige il soddi sfacimento dei bisogni delle vittime rispetto alla necessità di punire i carnefici per favorire il passaggio da un conflitto armato alla Pace o da un regime autoritario a una vera democrazia.

Questo approccio,sempre più diffuso,pone al centro le Vittime e le loro esigenze mentre le persone individuate come responsabili sono invitate a riconoscere le proprie azioni,ad offrire delle scuse e a contribuire alla ricostruzione del contesto sociale attraverso il raggiungimento di una verità condivisa.

Pene e sanzioni verso i responsabili non sono una condizione essenziale e posso no essere limitate ai casi più gravi dei crimini commessi.

Un altro principio fondamentale è il focus sulla prevenzione di futuri crimini,che passa dall’individuazione delle cause strutturali,spesso sociali ed economiche, che hanno portato alla loro commissione.

L’importanza per le Vittime di affermare una verità condivisa emerge anche dalle testimonianze ascoltate nei processi internazionali del passato.

Antonio Cassese, docente di diritto internazionale e Presidente di diversi tribunali internazionali (dall’ex Jugoslavia al Libano) scomparso nel 2011, ha raccontato la vicenda di un ex calciatore jugoslavo arrestato, torturato e costretto ad assistere agli abusi e all’omicidio della sua famiglia, che rimase in vita solo per poter testimoniare anche se, dopo essere stato ascoltato, si tolse la vita poiché  narrare la propria storia e contribuire alla costruzione di una verità condivisa era l’unica ragione per sopravvivere.

In anni in cui gravi crimini internazionali vengono perpetrati in maniera palese e manifesta,con i responsabili che ostentano sicurezza per la propria impunità, la giustizia internazionale sta, quindi,avendo un’evoluzione silenziosa ma costante.

In assenza di riforme praticabili dalle attuali istituzioni internazionali,la denuncia di violazioni delle regole balide erga omnes anche quando perpetrate dagli Stati più potenti, e il proliferare di strumenti locali per far fronte alle atrocità di regimi e guerre,costituiscono l’approccio più realistico e realizzabile per la a giustizia penale internazionale nelle condizioni attuali.

In tale ottica si assiste anche ai progressi di Corti che cercano,per la prima volta,di infrangere l’impunità garantita finora alle Grandi Potenze, e di strumenti locali di giustizia di transizione considerati sempre più indispensabili ai processi di riconciliazione e democratizzazione.

Per quanto non abbiano ancora prodotto risultati soddisfacenti, e rischino di far perdere il sostegno di diversi Paesi,questi progressi costituiscono un punto di svolta essenziale per realizzare la grande ambizione delle corti internazionali di affermare una giustizia imparziale per contribuire a contrastare le violenze di massa. (Segue)

Mario Pavone

 

 

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