Terribile. Reazionario. Fuori dal mondo e dalla Storia. Non si sono affatto sprecati i commenti al vetriolo sul discorso d’insediamento di Donal Trump. Certo, ce ne sono stati anche molti ispirati all’entusiasmo e all’euforia. Attenzione, però! A noi europei, il nazional-populismo di Trump non promette nulla di buono. Quest’antifona l’hanno capita anche i bambini, a differenza di alcuni sciocchi sovranisti di casa nostra. Il 20 gennaio scorso abbiamo assistito ad un ritorno politico che ha suscitato forti reazioni in tutto il mondo. Quel discorso, giudicato da molti leader europei come reazionario, divisivo e impregnato di nazionalismo, ha mostrato un cambiamento profondo nella visione che l’America ha di sé stessa e del suo ruolo globale. Tanto premesso, l’Europa inizia seriamente a interrogarsi sul perché l’America di Trump non è più un modello da seguire. Il nuovo Presidente ha ripreso e amplificato i toni che avevano caratterizzato il suo primo mandato: nazionalismo sfrenato, rifiuto delle istituzioni multilaterali e aperta ostilità verso i valori liberali universalistici. Per l’Europa che abbiamo faticosamente ricostruito dalle macerie e dai disastri di due guerre fratricide; per l’Europa fondata su principi come la cooperazione internazionale e il multilateralismo, questa visione rappresenta una rottura rispetto alla tradizione americana. Gli Stati Uniti, che per decenni sono stati un punto di riferimento per i diritti umani, la democrazia e la giustizia sociale, sembrano ora preferire una politica di chiusura e protezione degli interessi delle proprie élite economiche, trascurando i valori universali condivisi.
Noi europei siamo molto preoccupati di questa crescente tendenza della democrazia americana a trasformarsi in una plutocrazia, un sistema cioè in cui il potere è saldamente nelle mani dei magnati e delle élite economiche. Durante la prima presidenza Trump, la concentrazione del potere nelle mani di pochi è diventata sempre più evidente. Il governo, dominato da uomini d’affari e da esponenti del mondo corporativo, ha continuato a promuovere politiche che favoriscono le grandi imprese e i ricchi, aumentando le disuguaglianze sociali. Nel passato, in America, il discorso è stato completamente diverso. Gli Stati Uniti, infatti, sono stati sempre un punto di riferimento per l’Europa. E non solo in termini di libertà individuali ma anche per i diritti civili e la prosperità economica. Ora diventa concreto il rischio che la democrazia americana si trasformi in una plutocrazia. Trump stesso, con il suo passato da magnate immobiliare, ha incarnato questa deriva. La sua amministrazione è stata spesso criticata per aver favorito le élite economiche, tagliando le tasse ai più ricchi e smantellando le regole che tutelano tutti gli altri cittadini.
Questo fenomeno, purtroppo, non è un caso isolato: riflette un trend globale in cui il crescente divario economico mina le fondamenta delle democrazie liberali. Quando i processi decisionali vengono influenzati da lobby e da gruppi di interesse con ingenti risorse economiche, il rischio è che la politica si allontani dai bisogni della maggioranza, per servire una minoranza privilegiata. Gli slogan “America First” e ancor più il MAGA (Make America Great Again) hanno enfatizzato un approccio protezionista e un ritiro dall’impegno multilaterale, generando sfiducia tra gli alleati europei. L’abbandono degli accordi di Parigi sul clima e il disprezzo per organizzazioni internazionali come la NATO ci svelano un’America meno interessata alla cooperazione globale. Questa visione ha scosso l’Europa, che si è trovata a fare i conti con una realtà in cui il principale garante dell’ordine internazionale liberale sembrava più incline al conflitto che al dialogo.
L’ideale americano, basato su un sistema politico aperto e meritocratico, è stato messo in discussione da un’amministrazione percepita come guidata da interessi personali e da un’élite economica. E allora, la domanda che noi europei ci poniamo è: dove sta andando l’America? In quale direzione vorrà procedere? La sua democrazia, da sempre considerata come un modello di inclusività e meritocrazia, rischia di svanire nel nulla. Quando i processi decisionali sono influenzati dalle donazioni miliardarie e dalle lobby aziendali, la politica si allontana dal servizio dei cittadini comuni e diventa un’arma nelle mani di pochi privilegiati. Questo fenomeno non riguarda solo gli Stati Uniti, ma ha una portata globale, ed è una lezione importante per l’Europa. Anche le democrazie consolidate non sono immuni alla tentazione di cedere alla plutocrazia.
Per decenni, l’America ha rappresentato per l’Europa e per tanti altri paesi, un modello di successo economico. Oggi, però, quella visione appare sempre più anacronistica. Il ritorno di Trump ha messo in luce l’urgenza per l’Europa di sviluppare un modello autonomo e resiliente, che sia capace di coniugare crescita economica e giustizia sociale. Se l’America sembra voler abbandonare il suo ruolo di guida morale e politica, l’Unione Europea ha la possibilità di riaffermare i valori del multilateralismo, della solidarietà e della sostenibilità. In poche parole, ci sarà ancora futuro per la democrazia occidentale?
Di fronte a questa scenario, in tanti si chiedono se non sia giunto il momento di emanciparsi dall’influenza americana, per costruire un modello politico ed economico più autonomo e resiliente. L’Unione Europea, pur con le sue contraddizioni, ha cercato di riaffermare i principi del multilateralismo e di giustizia sociale, contrapponendosi alla visione unilaterale e oligarchica promossa da Trump. Tuttavia, il rischio di una deriva plutocratica non è estraneo neanche al Vecchio Continente. Il crescente potere delle grandi aziende tecnologiche, le disuguaglianze economiche e la crisi di fiducia nei confronti delle istituzioni democratiche rappresentano sfide comuni che richiedono risposte condivise. E allora, per evitare che anche la nostra (fragile) democrazia si trasformi in plutocrazia, è essenziale ripristinare un equilibrio tra potere economico e politico, garantendo che le decisioni siano guidate dal bene comune e non dagli interessi di pochi. Ecco perché l’Europa, in questo scenario, ha una grande opportunità: costruire un’alternativa credibile e dimostrare che una società più equa e inclusiva e soprattutto più solidale è possibile anche in questo avvio, sempre più turbolento, del nostro terzo millennio.
Michele Rutigliano