Non è stata felicissima la battuta di Mario Draghi sull’alternativa “tra la pace e i condizionatori”. Ma è pur sempre una battuta. Più grossolano è l’uso che ne hanno fatto subito i giornali con i soliti titoli ad effetto.
Sono ben altri gli interrogativi di questi giorni sul conflitto in atto nel cuore dell’Europa e sulle conseguenze economiche che ne derivano, e che in parte sono già in atto.
La ferocia della guerra seguita alla invasione russa in Ucraina, la compattezza dell’Occidente che non può andare oltre al ritorno delle sanzioni, l’operosa indifferenza dei principali attori dell’indo-pacifico, segnano una rottura dell’ equilibrio competitivo tra le potenze e revocano in dubbio due condizioni di vita e di lavoro che ritenevamo normali.
La prima è la fine annunciata della convivenza pacifica che durava da almeno tre generazioni. La seconda è il dissesto della dimensione globale del mercato che, pur con le gravi distorsioni finanziarie, aveva consentito lo sviluppo economico diffuso.
La convivenza pacifica non è più scontata. Al netto di tutte le sue mistificazioni, la coesistenza rappresentava un equilibrio sostanzialmente stabile dove la competizione tra le grandi potenze era proiettata nel tempo lungo. Questo equilibrio si è rotto con il ritorno alla guerra calda e alla guerra fredda ad alte intensità, con la nuova emergenza in Europa; con le nuove sfide nell’area dell’indo-pacifico dove è messa in discussione persino la moneta di conto per regolare i pagamenti con l’intento di superare dollaro ed euro; con nuove e più pericolose competizioni non solo economiche sia nel continente africano che in quello sud-americano.
Il mercato globale è in crisi. Sebbene abusato dalla speculazione finanziaria, aveva consentito nuove opportunità per superare il problema della povertà e della fame nel mondo e spalancato spazi sconosciuti alle imprese e al lavoro.
Prima il “lock-down” imposto dalla crisi sanitaria da covid-19 ed ora la guerra hanno gravemente compromesso la dimensione planetaria del mercato aperto e accessibile alle risorse, ai traffici, alle opportunità di lavoro, alla cultura. Le conseguenze già visibili di queste fratture sono davanti a noi.
La crisi energetica è ben più grave di quella degli anni settanta. Fare i conti con gli aumenti dei costi anche sostenuti è una cosa; pagare il gas sei volte più caro nel breve volgere di un anno, o il petrolio esattamente il doppio, è altra. Per i Paesi a prevalente economia manifatturiera come il nostro sono a rischio le produzioni di interi comparti, dalla metallurgia alla meccanica, dalla chimica, al vetro, alla ceramica, all’agro-alimentare. Per non dire della logistica e dei trasporti. Non è un caso che la più recente indagine di Confindustria prevede a breve riduzioni, se non addirittura fermate, per molte imprese. Ci sono poi le conseguenze sociali, con i costi dei consumi per le famiglie che nella stragrande maggioranza assumono dimensioni insostenibili senza interventi dello Stato.
Altra aggravante mai conosciuta fino ad oggi è la crescente difficoltà per le imprese ad approvvigionarsi di materie prime, della componentistica e delle derrate alimentari.
Prima ancora del blocco delle importazioni dalla Russia per effetto delle sanzioni, (o dall’Ucraina per la guerra e la chiusura dei porti sul Mar Nero) si erano già manifestate difficoltà a reperire acciaio, alluminio, minerale di ferro e altre materie di base come pure strozzature nei trasporti marittimi. La forte domanda in ripresa nel sud-est asiatico aveva ridotto le disponibilità e moltiplicati i prezzi come sempre accade quando la domanda riprende e l’offerta è più ridotta. Ora queste difficoltà aumenteranno e saranno coinvolti anche il grano, i cereali, i fertilizzanti con conseguenze imprevedibili nel breve termine.
Altre conseguenze saranno a catena: dall’inflazione che consegue e non demorde, al debito pubblico destinato ancora a salire, alla frenata della crescita che era in corso come confermato oggi dalla presentazione del DEF. Ed è ormai la cronaca di tutti i giorni tra impotenze operative, immancabili polemiche e imbarazzi tra le forze politiche.
Ci resta solo, nelle incertezze, la voce di Seneca: “quando il timore avrà sempre più argomenti, conviene ancora scegliere la speranza”.
Guido Puccio