È diffusa, tra chi capisce qualcosa di politica internazionale, la tendenza a sorridere dell’abitudine francese di atteggiarsi a paese leader dell’Europa, quasi a crudelmente voler sottolineare che la nostra cugina transalpina non possiede più, da moltissimo tempo, “les moyens de ses ambitions”. Eppure, ci sono occasioni in cui già solo esprimere un’ambizione  diventa importante di fronte all’appiattimento ed al servilismo di altri. E  può essere considerato un atto politicamente rilevante  in una congiuntura internazionale estremamente pericolosa come quella che tutti noi europei stiamo vivendo in questi tragici mesi.

È questo – un atto politicamente rilevante – il caso del discorso pronunciato al Parlamento di Strasburgo dal Presidente francese Emmanuel Macron, in occasione di una Conferenza sul Futuro dell’Europa, che sarebbe altrimenti passata sotto silenzio come uno dei tanti esercizi retorici cui l’ineffabile Charles Michel, e la burocrazia europea in generale, ci hanno da tempo abituato.

Rieletto solo pochi giorni fa ad una carica, la Presidenza della Repubblica, che in Francia comporta ben altri poteri rispetto a quelli che competono ai capi di Stato di Italia e Germania, ha infatti colto l’occasione per prendere le sue distanze dal Presidente degli Stati Uniti. Il quale dice apertamente di voler approfittare dell’errore commesso da Putin, attaccando l’Ucraina, per denunciarlo come un nuovo Hitler, soprattutto per “dissanguare” la Russia in una guerra fino all’ultimo ucraino.

Che si sia trattato, da parte del Presidente russo, di un errore gravissimo non c’è dubbio. Meglio forse sarebbe stato commettere un crimine,  come – con la saggezza del poi – qualcuno fa notare; crimine cui Putin avrebbe anche potuto far ricorso. Ed in politica, come nella vita in generale, commettere un errore è di norma assai più costoso che commettere un crimine. Perché chi commette un crimine può abbastanza facilmente sfuggire a qualsiasi punizione, e in molti casi riesce su questo crimine a fondare e costruire la proprio fortuna. Gli errori, invece, si pagano sempre.

Ben lo dimostra, appunto, l’ occasione che  la guerra in Ucraina offre oggi  a Joe Biden – una personalità scialba, il cui livello di consenso  nell’opinione pubblica americana è quasi comparabile a quello di Nixon poco prima che fosse obbligato a dimettersi – per tentare di apparire verbalmente “forte”; e per tentare di evitare, o almeno di ridurre, la disfatta elettorale che si prepara per il suo partito, quello democratico, nelle prossime elezioni americane. Elezioni che saranno decisive per il controllo del potere da parte dell’establishment tradizionale, ed elezioni in cui, tra sei mesi, dovranno essere eletti tutti i componenti della Camera dei Rappresentanti ed un terzo dei Senatori.

Biden non è ovviamente il solo soggetto politico che tenta di sfruttare a  proprio vantaggio la situazione ucraina e il tragico ginepraio in cui Putin si è messo. Il più abile, a questo fine, si è finora dimostrato il cancelliere tedesco Olaf Scholz,  che è, con un solo colpo, riuscito a liberare la Germania da una parte dei vincoli che la Repubblica federale tedesca ancora trascina come conseguenza della Seconda guerra mondiale. Ed è con Scholz – il leader europeo più vicino alle sue posizioni, anche se condizionato dalla natura composita della sua coalizione di governo – che il Presidente francese Macron si è infatti incontrato immediatamente dopo aver pronunciato il suo discorso di Strasburgo. Un discorso denso di idee nuove e di idee già precedentemente accennate, ma anch’esse molto novatrici (anche se non sempre, anzi raramente, favorevoli agli interessi italiani) in cui si rivendicano un ruolo ed un’ambizione  collettiva dell’Europa autonomi rispetto a quelli degli Stati Uniti. Per perseguire i quali non solo  si rilancia anche l’idea di una UE  “a due velocità”, ma si ipotizza addirittura la nascita di una zona di influenza – una sorta di “near abroad”  europeo – di cui potrebbero far parte l’Ucraina e la stessa Russia.

Non è infatti un caso se Emmanuel Macron ha contemporaneamente  mantenuto aperto e funzionante un canale diplomatico con Mosca, anzi addirittura un vero e proprio  canale di costante e quasi quotidiano dialogo personale con Vladimir Putin.  Entrambi verranno infatti utili quando  sarà l’ora nel negoziato sui confini russo-ucraini, come ben sanno quei membri dell’amministrazione americana che cominciano ad essere significativamente un po’ preoccupati e “stranamente” silenziosi sulla frenesia bellicista dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Un negoziato, inoltre, inevitabile checché ne pensi il Segretario generale della Nato, organizzazione che qualcuno comincia a sospettare di non essere insensibile agli interessi dell’industria delle armi ed a quelli dell’industria petrolifera di uno specifico paese, la Norvegia. E il cui Segretario generale fa comunque anche lui discorsi che a molti paesi membri appaiono un po’ troppo simili a quelli che un maestro talora rivolge agli scolari,  perché i loro governi possano accoglierli – come fa l’Italia – senza battere ciglio.

Negli ultimi giorni, come spesso in passato, la Francia ha insomma cercato di elaborare e di offrire ai principali paesi europei,  e soprattutto a quelli della parte più occidentale del continente, una linea autonoma e moderata a proposito della guerra di Putin contro l’Ucraina e della guerra di Biden contro la Russia. Guerra,  quest’ultima,  di cui non solo molti ucraini percepiscono la pericolosità,  ma che ha spinto lo stesso Presidente della Russia ad un discorso assai prudente in occasione dei festeggiamenti per la vittoria dell’Unione Sovietica tra Germania nazista.

Tutti quelli che sui media commentano le vicende della guerra in atto, lo hanno interpretato come un segnale inviato alla popolazione russa per convincerla della necessità di una guerra ancora assai lontana da volgere a conclusione. Ma in cui chi capisce qualcosa di politica internazionale può scorgere il preannuncio dei sacrifici che la Russia dovrà probabilmente accettare non solo per condurre la guerra, ma anche per ottenere una pace. O una tregua.

Giuseppe Sacco

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