La questione che intendiamo affrontare nella quinta ed ultima puntata della serie dedicata al problema della politica monetaria nella teoria ordoliberale e nel modello dell’Economia Sociale di Mercato, come suggerito dal volume antologico Moneta, sviluppo e democrazia. Saggi su economia sociale di mercato teoria monetaria, curato da Francesco Forte, Flavio Felice e Enzo Di Nuoscio (Rubbettino, 2020), riguarda le condizioni per una moneta sana, in quanto sottratta alla discrezionalità del “Principe” di turno.

L’esigenza di una valuta sana è condizione necessaria per lo sviluppo economico e affinché ciò accada i teorici ordoliberali e dell’Economia Sociale di Mercato individuano tre presupposti:

  1. Innanzitutto, l’unificazione del sistema monetario: “tutte le unità di moneta di cui il commercio si serve devono stare fra loro in rapporti molto semplici”. Il riferimento più prossimo a tale presupposto è la “valuta aurea” con la quale alla fine del XIX secolo sembrava si potesse raggiungere un’unificazione monetaria internazionale paragonabile a quella nazionale.
  2. Il secondo presupposto riguarda la stabilità del valore monetario e tutti sappiamo quanto sia difficile ottenerla. Anche in questo caso, il riferimento degli ordoliberali è alla “valuta aurea”, sebbene le guerre e le rivoluzioni abbiano convinto gli attori politici ad abbandonare tale strumento.
  3. Il terzo presupposto, insegna Wilhelm Röpke, è dato dalla libertà di cambiare una qualsiasi moneta con merci e con altra moneta.

Per i teorici dell’Economia Sociale di Mercato un sistema monetario sano, che cioè non presenti le malattie dell’inflazione e della deflazione, è dunque una condizione indispensabile per uno sviluppo economico stabile e duraturo. Secondo Röpke in primo luogo la maggiore o minore “scarsità di denaro” decide del suo valore, in secondo luogo, il più importante compito della politica monetaria consiste proprio nel regolare tale scarsità e, infine, non esiste un solo modo per ottenere il medesimo risultato. Nel caso della valuta aurea, la scarsità di denaro dipende dal contenuto aureo presente nella moneta stessa e tale quantità è regolata dalla produzione del metallo (valuta collegata); con riferimento alla valuta a regime di cambio, come ad esempio la valuta cartacea, se la quantità di moneta è decisa discrezionalmente dal governo abbiamo il caso della “valuta libera o manipolata”.

Coloro che, da liberali, afferma Röpke, diffidano della discrezionalità del governo e preferiscono affidarsi alle “leggi economiche”, sono portati a preferire la “valuta collegata”, mentre chi, da collettivista, si affida alle scelte dei governi, diffidando delle “forze della natura e dell’economia”, è portato a preferire la “valuta libera” (o “manipolata”). Scrive Röpke: «Ma poiché il collegamento della moneta con un metallo raro impone una più scarsa disponibilità di denaro che non l’altro sistema, è proprio il liberale che nel campo finanziario pretende una disciplina più severa di quella chiesta da coloro che pensano collettivisticamente».

Il denaro costituisce dunque la spina dorsale dell’economa di mercato, e rappresenta un “ordine evolutivo” che incide profondamente sugli scambi economici e, più in generale, sulle relazioni sociali. Inoltre, come hanno insistito soprattutto gli esponenti della Scuola austriaca di economia, essa è un potente strumento conoscitivo, che, veicolando informazioni, accresce le possibilità di azione di ogni singolo individuo, incrementando la capacità di problem solving di un gruppo sociale.

Come ha sostenuto Steven Horwitz, uno dei principali eredi della tradizione austromarginalista negli Stati Uniti, il denaro può essere considerato come una sorta di linguaggio che veicola informazioni, le quali vanno interpretate dagli attori economici. Denaro e linguaggio, ha osservato James Tobin, «sono ambedue mezzi di comunicazione: l’uso di un particolare linguaggio o di una particolare moneta da parte di un individuo incrementa il suo valore rispetto agli altri attuali o potenziali utenti». Cosi come «la parola scritta e parlata rende mutualmente possibile la comprensione tra individui nella società nel suo complesso, parimenti – precisa Steven Horwitz – la moneta e i prezzi in moneta ordinano i possibili processi tra attori economici nel mercato». E «così come il linguaggio ci permette di comprendere, attraverso le nostre categorie, il pensiero linguisticamente costituito degli altri, così la moneta ci consente di individuare i gusti, le preferenze e i valori degli altri». Quella realizzata dal denaro è una forma di comunicazione che ci dà la possibilità di utilizzare conoscenze contestuali che non possono essere contemplate dal nostro linguaggio e dalla nostra esperienza.

Dunque, denaro e linguaggio sono strumenti per andare oltre i limiti delle disponibilità e delle conoscenze individuali. Attraverso il linguaggio si dà un significato ad una porzione di mondo senza mai arrivare a quello definitivo, con la moneta viene attribuito ad un bene un prezzo che non può essere mai definitivo. Se i teorici dell’ermeneutica considerano il linguaggio un mezzo di scambio di esperienze, gli economisti devono vedere nel denaro un mezzo di scambio di beni e di conoscenze e un veicolo di comunicazione di informazioni. In questo senso il market process è un “processo dialogico”, reso possibile da quel linguaggio che è la moneta.

Enzo Di Nuoscio e Flavio Felice

Immagine utilizzata: Pixabay

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