Aldo Moro, con la sua capacità di visione politica ormai assente nel panorama politica nazionale, a pochi giorni dal rapimento, ha parlato dell’Italia come un “paese dalla passionalità intensa e dalle strutture fragili” (Intervento ai gruppi parlamentari della DC, 28 febbraio 1978).

Il genio italico è stato sempre animato da slanci vitali e innovativi unitamente ad una composizione organizzativa comunitaria debole.

Il passaggio alla democrazia si è innescato su un habitus sociale poco orientato all’apprezzamento del bene pubblico.  Anche alla fine dei grandi partiti degli anni Novanta del Novecento, la politica italiana si è confermata fragile ed è diventata sempre di più apparenza, retorica e anche spettacolo. Non c’è più un orizzonte di senso collettivo in cui identificarsi e domina la paura e la rabbia. Invece è la politica che alimenta la speranza.

I partiti devono concorrere ad offrire una visione e un progetto per un percorso di crescita e di potenziamento della comunità. La politica nel complesso concorre alla definizione di una visione collettiva verso cui andare.

Nell’opinione pubblica, al momento, si intravede un rifiuto dell’autorità e l’emersione di una rabbia che non riconosce vincoli e solidarietà, in nome di un astratto senso dello stato che rincorre le paure più profonde e distruttive.  L’imbarbarimento della politica inonda ogni angolo del confronto di visione. Malgrado tutto, è stato garantita la flessibilità statale che ha salvato fin qui la democrazia italiano, ma appaiono sempre più le forzature, gli scontri, i linguaggi bellici di cui abusa la politica di oggi.

La politica attualmente propone promesse utopistiche e annunci mefistofelici. La comunicazione politica è in preda ad una sorta di cupio dissolvi nel nulla.

Richiamando le parole di Pietro Scoppola, è fondamentale ricostruire una religione civile, per evitare di rendere l’azione politica solo propaganda, in cui i leader, scavalcando partiti e corpi intermedi, si sfidino su rabbia e paure, in cui i Big Data e gli algoritmi contino più di un’idea di paese.

Servirebbe il linguaggio della mediazione e della riflessione per riconnettere i frammenti delle culture politiche alle nova res emergenti della società. Il linguaggio politico è divenuto scarno, liquido, semplificato, che pretende di disegnare una società che non è mai stata, ieri come oggi, complessa. La vera sfida è comunicare la transizione e il complesso di un mondo in perenne trasformazione

La politica potrebbe ispirarsi alle parole di Moro che rivendicava il compito di «fare una sintesi» e organizzare il consenso «intorno ad un disegno complessivo», perché la vita politica è «complicata, scarsamente decifrabile, qualche volta irritante» e proprio per questo bersaglio di «quella diffidenza che contesta alla politica la sua funzione ed il suo merito», per cui  è fondamentale  una strategia fatta «di una seria ponderazione degli elementi in gioco, di una ricerca di compatibilità, di una valorizzazione della unità nella diversità» (“Il giorno”, 3 marzo 1978).

Partito Democratico è il naufragio di un’utopia, dove la fusione tra due tradizioni cultura cattolico-democratica e di quella post comunista non è avvenuta.

La narrazione della politica attuale deve ricominciare a mettere in evidenza che siamo un popolo vitale per cui possiamo affidarci alle energie e alle capacità creatrici e innovative dei cittadini, imprenditori, artisti, inventori.

Attualmente la comunità non percepisce più la tensione verso il cambiamento, ma bisogna dare uno slancio che nessuna ideologia può ingabbiare, in modo da   ragionare insieme sui valori che uniscono il mondo e tendono  al bene, lasciando   al fondo le minuzie.

Ci vogliono idee e linguaggi per contrastare una diffusa cultura frammentaria e superficiale e apprezzare le cose che nascono, anche se hanno contorni incerti. La politica deve sintonizzarsi sui tempi nuovi, per guidare in modo flessibile le esperienze sociali.

La comunicazione politica che non può essere, scegliendo la semplificazione e la banalizzazione, solo al servizio della propaganda e non può essere nemica della verità perché, per dirla con Aldo Moro, «un atomo di verità» conta più di milioni di voti.

L’iniziativa un nuovo soggetto politico di ispirazione cristiana che si rifà al Manifesto del movimento “Politica insieme” ( CLICCA QUI ) va nella direzione di una moderazione del confronto politico, proprio perché “l’esperienza cristiana è il principio di non appagamento e di mutamento dell’esistente nel suo significato spirituale e nella sua struttura sociale” (Intervento di  Aldo Moro nel congresso della Dc del 1973).

Nel quadro di un bipolarismo di stampo inglese che in Italia è stato maldestramente naturalizzato, il contributo cristiano rimane schiacciato dai due schieramenti. Per questo, il movimento deve dare vita a un nuovo soggetto partitico, autonomo, non confessionale, aperto, non per fiancheggiare un progetto neo-liberista o neo-statalista ma per incidere sui processi di trasformazione degli assetti istituzionali.

Mettersi sempre all’opposizione delle proposte altrui è sbagliato, senza indicare un progetto politico chiaro e propositivo.

Una legge elettorale proporzionale è fondamentale per dare rappresentanza ad centro non conservatore che potrebbe concorrere a depurare i due schieramenti maggioritari delle loro componenti più ragionevoli.

E’ necessario un lavoro di tessitura paziente, di dialogo federativo per fondare un soggetto aperto a governare il futuro di cui ora si intravedono, come del resto ogni epoca, gli albori con nuovi esigenze e bisogni.

Bisogna lavorare per la formazione di nuovo linguaggio, di nuovi punti di aggregazione, di idee e di mediazione e non è pensabile agire da soli. Alcide de Gasperi parlava di “un partito di centro che guarda a sinistra”, per coniugare il senso delle cose concrete imposte del contingente alle istanze di solidarietà e uguaglianza.

Bonaventura Marino

 

Immagine utilizzata: Pixabay

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