Ai cristiani tocca il compito di testimoniare la verità. A qualcuno potrà apparire risibile oppure impossibile o ancora sconveniente, addirittura scandaloso eppure questo compito ha a che vedere anche con la politica.
Il connubio tra verità e politica, a prima vista, può sembrare addirittura irridente, tanta è la consuetudine a considerare – del resto giustamente, ma non necessariamente in modo univoco – la politica come campo dell’opinabile, al punto che pretendere di accamparvi sia pure quell’ “atomo di verità” cui Aldo Moro mai avrebbe rinunciato, neppure per milioni di voti, può essere ritenuto l’ esercizio, almeno sospetto, di un integrismo opaco, regressivo ed inaccettabile, come se si volesse ammantare di un metallico rigore dogmatico quella plasticità di temi, argomenti, soluzioni che alla politica non può mancare.
Senonché le cose non stanno esattamente così e, come sempre, quando si rischia di cadere da una posizione estrema nel suo esatta contrario, non ci si solleva di un palmo. Se confondiamo la necessaria articolazione della politica, non sempre dialettica, talvolta polarizzata, retta da antitesi nette ed inconciliabili, con quel “relativismo” che oggi gode dei favori del mercato, scivoliamo in una condizione tale per cui un’opinione può stare per il suo contrario, cosicché.nessuna delle due vale più nulla.
In effetti, se riteniamo, da credenti, che vi sia una verità dell’ uomo o la politica affonda qui le sue radici ultime oppure è un vaniloquio. Del resto, non è difficile rintracciare in proposito parole chiare e definitive pronunciate o scritte da Papa Benedetto. Pertanto, quando ci si chiede se sia possibile, opportuno o necessario che i credenti, noi cattolici in questo caso, rimettano in campo un nuovo soggetto politico, non ha molto senso almanaccare se si potranno avere tanti o pochi voti, se si potrà essere accattivanti solo per quelli che vanno ancora a Messa oppure anche per quelli che non ci vanno più, se si dovrà stare al centro oppure di lato, dall’una o dall’altra parte, ma solo quel tanto che basta per consumare un rapporto completo, ma pur senza irreparabili conseguenze, oppure sapere a quale più o meno virtuosa combinazione di potere si potrà concorrere.
Dobbiamo assumere un compito di verità piuttosto che un disincarnato ruolo di vero o presunto potere, una finalità di potenza. Se poi dev’essere, se davvero saremo capaci di corrispondere ad una domanda, magari ancora inapparente – eppure non è così; c’è, invece, un’attenzione nei confronti del mondo cattolico – ma che, appunto, c’è comunque nella coscienza profonda del Paese, le cose verranno da sé.
Il nostro compito è essere fedeli alla consegna, corrispondervi, guardando ad una prospettiva temporale che concerne una fase storica nuova che si annuncia e, sia pure, senza trascurare l’immediato. Insomma, oggi ha senso – nel solco della tradizione cattolico-democratica e dato per scontato il pluralismo delle opzioni politiche dei cattolici – solo un soggetto di ispirazione cristiana che sappia, cioè, calare i valori che gli appartengono nella forma e secondo un linguaggio che ne riveli la ricchezza di umanità e le potenzialità sul piano anche della vita civile e dell’azione pubblica, che hanno in sé.
Li propongano, in sostanza, come un ordito da condividere in vista del bene comune. Non è nemmeno detto che i nostri correligionari debbano necessariamente essere i destinatari privilegiati di una proposta politica concepita in questi termini. E’ stato così, per le condizioni storiche del momento, sia per Sturzo che per De Gasperi, ma oggi la situazione è concettualmente diversa e del tutto nuova.
Anche la politica ha a che vedere con le periferie che ci indica Papa Francesco. Il resto conta poco o nulla e rischia di risolversi nei cascami di un mondo che la storia si è lasciata alle spalle.
Domenico Galbiati

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