Tutto sommato, la prescrizione è entrata da poco nel dibattito politico delle osterie telematiche. Mentre, soprattutto in occasione di certi accadimenti giudiziari, aveva formato oggetto di discussioni animate e giustificate.

Io intendo affrontare il tema della prescrizione piuttosto in termini generali, politici, che non tecnico- giuridici. Mi preme, in buona sostanza, contribuire al dibattito in corso cercando di calarvi qualche considerazione che lo affranchi dal rischio di lasciarlo in preda ad un fenomeno che, prendendo in prestito le parole del professor Ennio Amodio, è ben reso dalla seguente notazione: “l’invadenza e la anormale modalità operativa dell’informazione giornalistica causano un effettivo e grave pregiudizio alla immagine della giustizia penale quale si forma nei luoghi del rito giudiziario”.

Insomma, ritengo necessario, da un punto di vista strettamente politico, risalire il corso del dibattito generale punteggiato da assunti formali del governo e dei partiti, comunicati dall’informazione giornalistica e triturati nella arena dei social media.

La prescrizione, quella vigente, è nel diritto in quanto voluta da una decisione presa in un certo tempo da una maggioranza parlamentare.

In questi termini, è un istituto del quale occorre individuare la ragione di esistenza.

Se la si guarda, meglio se la si considera, come segnale della caduta di efficienza della macchina giudiziaria tale e così grave da impedirne di realizzare le finalità di accertamento della verità proprie del processo penale, allora il capitolo cui riportarla è quello del funzionamento della giustizia nel nostro Paese.

Ma la ragione profonda della prescrizione, quella penale, come quella civile, come quella amministrativa ha tutt’altra motivazione. Per quanto il dibattito sia aperto prevalentemente sulla prescrizione penale, tuttavia non riesco a raffigurarla se non sul piano più generale nel quale al decorso del tempo senza che vi sia l’effettuazione di un’attività da chi vi abbia interesse corrisponde la perdita di un diritto.

Nel diritto civile, di un diritto privato; nel diritto penale, di un diritto dello Stato, quello di accertare una responsabilità e di comminare una sanzione, in vista di un pubblico interesse alla pace sociale.

Sono certo che il dibattito in corso non aiuti a chiarirsi le idee. Infatti, si discute animatamente e animosamente quale debba essere il termine dal quale far decorrere il conteggio del tempo ai fini della prescrizione. Da quando il fatto è commesso? Da quando il fatto è scoperto? Il diritto civile fa decorrere la prescrizione dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. Da quel giorno chi vi abbia interesse deve darsi da fare e, se è in difficoltà, deve fare in modo di interrompere il decorso del tempo. Nel diritto penale, lo dico grossolanamente, non dovrebbe ragionarsi diversamente. Senonché chi deve darsi da fare è lo Stato per il tramite del potere giudiziario.

Allora, se abbiamo un punto di accordo sul fatto che la prescrizione, in questo caso mi riferisco a quella penale, è un istituto giuridico che la legge ha posto nell’ordinamento interpretando il sentimento del Paese, per ottenere in primo luogo di perseguire ogni reato, in secondo luogo, di non lasciare il cittadino esposto alla incertezza delle proprie sorti giudiziarie, salvi i reati imprescrittibili, allora, si deve prendere posizione su uno e un solo punto. Se, cioè, vi sia nel paese una domanda maggioritaria di ignorare il diritto delle persone, di superare addirittura la presunzione di innocenza, per dare la prevalenza al potere punitivo dello Stato, per sempre, per ogni fattispecie che sia stata introdotta davanti a una Procura della Repubblica.

Ove si dia spazio alla viscida china di una generalizzata presunzione di colpevolezza che cade sulla testa di ogni cittadino che sia accusato (come e da chi?) davanti ad una autorità giudiziaria, allora non si dovrà più parlare, nel nostro ordinamento, di prescrizione.

Ognuno, ove incappi nella giustizia dovrà sopportarne il corso per tutto il tempo di cui la giustizia avrà bisogno.

Ma, se è come mi pare auspicabile, si debba restare nei confini costituzionali della presunzione di innocenza e del giusto processo, allora il decorso del tempo che è a fondamento della prescrizione deve essere, per forza di cose rivisto in sede legislativa.

Da una parte, infatti, il tempo scorre e consuma, siamo nel diritto penale, l’aspettativa di giustizia che risiede nello svolgimento dell’attività dei giudici; dall’altra, il tempo scorre in danno dell’aspettativa di ogni buon cittadino di veder irrogata una punizione nei confronti di chi la meriti, nel quadro dei suoi diritti costituzionali, compresi quelli della presunzione di innocenza e del giusto processo.

È il tema della certezza del diritto. A scorrerla, la ricostruzione storica della prescrizione, da noi come in altri paesi europei, al lordo di una certa minuziosità dottrinaria e giurisprudenziale, offre come elemento di conoscenza il collegamento tra un decorso del tempo sostanzioso per i delitti più gravi ad un decorso breve per quelli ritenuti socialmente meno rilevanti.

Ma nessun termine è soddisfacente, né per lo Stato, né per il cittadino innocente, né per l’opinione pubblica quando la prescrizione sia dichiarata. Ci deve essere, per non lasciare il sistema giudiziario e i suoi attori pubblici e privati in una condizione di ingiusta incertezza, ma non dovrebbe in linea puramente teorica mai “scattare”. Perché in quest’ultimo caso, è sconfitta la giustizia.

Allora, cosa deve fare il legislatore, quale proposta politica, noi di Politica Insieme dovremmo articolare, ed articoleremo?

Salvaguardando la presunzione di innocenza, il principio del giusto processo ed aggiungendovi un elemento da Costituzione materiale, quello della riduzione di tutti i tempi processuali, nei confronti di tutti i cittadini, quelli innocenti e quelli colpevoli, il Parlamento, anziché impantanarsi in una rimodulazione della relazione tra decorso del tempo e gravità del reato, deve subito riorganizzare il sistema giustizia. Deve prendersi la responsabilità di modificare il carico di copertura finanziaria che l’organizzazione giudiziaria pretende per funzionare, acquisendo in campo aperto, sotto gli occhi del corpo elettorale, quanto offrono in contributo giuristi, avvocati e giudici (che, ultimi, considero indefettibile elemento di chiusura del sistema della giustizia). Ed anche gli operatori economici, nei cui confronti certezza del diritto e tempestività della conclusione del procedimento costituiscono variabile strategica.

Ripugna al cittadino ogni uso improprio del processo, soprattutto nella luce positiva del rito accusatorio. Ripugna quella che il professor Amodio ha identificato come “ansia efficientista”, che, esercitata sui giudici, li sospinga verso scorciatoie processuali. Ripugna il fatto che un processo possa diventare “una cerimonia di degradazione nella quale l’indignazione morale serve a produrre la distruzione rituale della persona denunciata” (Garfinkel, atto dal prof. Amodio).

Voglio concludere con due notazioni. Da quando la Corte Costituzionale, ormai quasi cinquant’anni fa, individuò il fondamento della prescrizione del reato nell’ “” interesse generale di non più per seguire i reati rispetto ai quali il lungo tempo decorso dopo la loro commissione abbia fatto venire meno, o notevolmente attenuato, insieme al loro ricordo, anche l’allarme sociale della coscienza comune, ed altresì reso difficile, a volte, l’acquisizione del materiale probatorio”, quell’interesse generale è cambiato. Era incastonato in una pubblica amministrazione tradizionalista e lenta, che conteneva un sistema giudiziario d’altro conio. Negli anni ‘20 del nuovo secolo, l’interesse generale è soddisfatto quando non insorga un allarme sociale a causa dell’enorme quantità di prescrizioni dichiarate. L’interesse generale consiste nell’allineamento del giusto processo e della giusta sentenza, che non può mancare se un procedimento è iniziato. La strumentazione amministrativa, gestionale non può far parte di questa breve riflessione ma, quantunque non vada sottovalutata,  costituendo la spina dorsale dell’azione giudiziaria, è orchestrabile in tempi ravvicinati e con uno sforzo congiunto dell’ordine giudiziario e dell’avvocatura, che, ciascuno con il proprio punto di vista, servono l’interesse generale alla giustizia giusta.

Né sul piano sostanziale, né sul piano processuale, la prescrizione del reato è sintomo di buona salute dell’ordinamento generale dello Stato.

La seconda notazione. C’è una prescrizione, in giro nell’ordinamento, altrettanto odiosa di quella penale. Riguarda imposte e contributi. L’attività truffaldina di chi debba corrisponderli allo Stato e agli enti previdenziali ha buon gioco, spesso, nei confronti della capacità organizzativa degli enti deputati a riscuoterli. Cinque anni trascorrono in un soffio e sul terreno restano lavoratori e cittadini che, tutti insieme, vorrebbero che lo Stato fosse messo in grado, insieme ai propri enti di previdenza, di esigere quanto di loro spettanza. Se ne parla poco, ma una proposta politica in questo campo non può non costituire elemento identificativo di una azione di ispirazione cristiana. Peccato che in tempi di scolorimento-schiarimento del centro politico, ancorato a destra e sinistra da improbabili trattini, non si sia affrontata la questione. Perché ci vuole un po’ di coraggio, il coraggio dei cristiani di stabilire leggi che incontrino l’interesse generale, il bene comune, mediando tra Costituzione e dottrina sociale!

Alessandro Diotallevi

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