Presentiamo un intervento di Ernesto Preziosi su Orizzonti 2000 ( CLICCA QUI ) che ci ha fatto il piacere e l’onore di partecipare alla nostra Assemblea costituente del 3 e 4 ottobre scorsi.

Cari amici,

continuiamo il nostro colloquio a distanza. Vorrei in primo luogo esprimere qualche considerazione sul quadro politico e, nella seconda parte di questa lettera, fare il punto sulla situazione organizzativa di Argomenti2000.

REFERENDUM

Il Risultato del Referendum ci manda più di un messaggio. Su 46.418.677 aventi diritto, hanno votato il 53,84% cioè poco meno di 24.993.015. Il 46,16%, pari a 21.425.662 di elettori hanno mostrato disinteresse verso il Referendum ma facilmente verso la politica. Ed è inutile dire che ci si poteva aspettare di peggio. È un primo punto sui cui riflettere al di là dei risultati, perché segnala e conferma un drammatico distacco, una crisi, fin troppo evidente, di partecipazione su cui è urgente intervenire.
Veniamo ai risultati. Il 69,64% ha votato “SI”, perciò 17.168.702 mentre i “NO” hanno raggiunto il 30,36% pari a 7.484.748 elettori.
Ora occorre guardare avanti e operare perché l’esito sia una occasione per rinnovare la nostra democrazia costituzionale. I temi sono tanti: dalla democraticità interna dei partiti, ad una legge elettorale che ristabilisca un collegamento tra eletti ed elettori; così come, essendo passata questa riforma dei numeri, è necessario e urgente mettere a tema le altre possibili riforme, a cominciare dal ridisegno del Senato, ecc., che possano assicurare il necessario riequilibrio.
Dopo il risultato del Referendum, in sostanza, da parte degli elementi più responsabili si fa avanti il tema delle riforme necessarie. Anche noi abbiamo indicato nel Documento questa necessità. Alcune riforme sono possibili senza scomodare la Costituzione si pensi alla sempre rimandata riforma del regolamento delle Camere. Vi è poi il tema della legge elettorale, di un eventuale ritorno al proporzionale, tema su cui assistiamo ad ondate alterne dal Referendum del ’93 che ha introdotto il maggioritario senza riuscire ad assicurare la governabilità.
Non esistono leggi elettorali perfette vengono presentate più proposte che si ispirano vuoi al modello francese, vuoi alla forma tedesca. Ma poi occorrerà scegliere.
Ma per tutto questo non è sufficiente affidarsi ai partiti, sperare solo in una soluzione parlamentare, come dicevamo nel nostro documento, occorre formulare proposte, generare dibattito, fare opinione.
Anche perché il risultato del Referendum incide sulla possibilità di svolgere elezioni politiche e vi è quindi la necessità di provvedere con una legge costituzionale. Non è un piccolo problema perché in questo momento le Camere non possono essere sciolte e limitato è anche il potere del Presidente della Repubblica. Dobbiamo quindi augurarci che una legge elettorale sia approvata quanto prima.

DOPO LE REGIONALI

Il voto reale delle Regionali 2020 fotografa un’immagine diversa da quella dei sondaggi pre-elettorali, che descrivevano un Pd in affanno e un centrodestra pronto alla spallata. I numeri ci dicono che il voto delle liste nelle 7 Regioni in cui i cittadini si sono recati alle urne dà al PD il posto di primo partito, davanti alla Lega e a FDI. Nella sua analisi post voto, l’istituto Cattaneo ha sommato i voti di tutti i partiti dell’area di governo (centrosini­stra e M5s) che raggiungono il 57% dei con­sensi reali. E lo fanno nonostante il crollo del M5s, a fronte del 43% del centrodestra. I dati farebbero parlare di «una tendenziale sottostima in questo momento del voto per i partiti di governo nei sondaggi» nazionali.
Per il centrosinistra, che in Campania e Puglia si è presentato con moltissime liste, 15 in entrambe le regioni. Ad esempio in Puglia le tre liste con esplicito riferimento a Emiliano hanno raccolto 253.584 voti (15,12%) a fronte dei 289mila voti del PD (17%). E in Campania la sola lista “De Luca Presidente” ha incassato 313.639 voti (13,31%), andando vicino al PD (398mila voti) e addirittura superandolo, se si somma l’insieme delle altre civiche che si rifanno a De Luca (si vedano le analisi inviate dagli amici delle varie regioni: Baviera, Cuzzocrea, Losito, Tiso). Un dato che fa riflettere sulla crisi di coscienza del e dei partiti e sulla necessità di affidarsi a figure di leader. Inoltre l’instabilità del quadro nell’area di governo va registrato il nuovo arretramento di M5s da Nord a Sud, rispetto alle Europee di un anno e più ancora rispetto alle politiche del 2018.
Dopo aver calcolato su quota 57% l’area di governo, il Cattaneo osserva che «questo dato non può essere proiettato immediatamente al livello nazionale». Tuttavia «segnala un equilibrio diverso da quello rilevato dai sondaggi», a partire da quelli «degli ultimi mesi sulle intenzioni di voto per il Parlamento» che sottostimerebbero dunque il centrosinistra e M5s presi complessivamente.
Dati su cui si può ragionare, ma che come sappiamo bene non ci dicono che siamo fuori dall’incertezza e dalla frammentarietà del quadro politico.
Un docente della Cattolica, Palano, commentando i dati delle recenti amministrative e notando come nessuna delle principali forze politiche potesse dirsi veramente sconfitta, sottolineava come con il Referendum si sia chiusa una stagione e come rimanga il rischio di una nuova fase di fluidità politica se non si troverà una sintesi più alta rispetto le soluzioni “ingegneristiche” del sistema elettorale. Esiste un “vuoto” da riempire. È probabile che l’ondata populista si sia conclusa anche se è «comunque probabile che i nuovi potenziali protagonisti non rinuncino all’armamentario retorico “populista”. Anche perché – benché spesso siamo resistenti a riconoscerlo – la concezione “populista” della democrazia è entrata ormai nel nostro Dna di cittadini postmoderni, critici, disincantanti. La vera domanda è piuttosto quali saranno le linee di contrapposizione su cui punteranno coloro che cercheranno di occupare il “vuoto”, agitando il cocktail di delusione, risentimento e paura. È prematuro fare previsioni. Ma l’esperienza globale del Covid-19 potrebbe essere uno spartiacque anche da questo punto di vista. Il populismo degli anni Venti potrebbe davvero mostrarsi come sensibilmente diverso da quello che abbiamo conosciuto negli ultimi dieci anni. E il “giro di boa” potrebbe allora dare inizio a una nuova stagione di turbolenza per la politica italiana».

UNA VISIONE

Ci siamo detti più volte e lo sentiamo ripetere da molte parti che, per uscire dallo stallo politico in cui ci troviamo è necessaria una politica e quindi dei politici capaci di offrire una visione su grandi temi avendo la capacità di mobilitare un ampio consenso. L’occasione dei fondi UE per la ricostruzione potrebbe essere colta per indicare, prima e oltre ai micro obiettivi, il dove si vuole andare. Temi come scuola, sanità, green economy, ecc. non possono essere solo evocati devono essere connessi in un disegno di insieme. Il sociologo De Rita parla dell’inutilità di mettere toppe con una dispersione di interventi se manca una visione e manifesta il timore che il «Recovery Fund cioè l’appuntamento decisivo di questa stagione, si riduca a misure parziali, ad altri coriandoli» che lui ravvisa nel «piano di interventi del ministero dello Sviluppo economico, così come quelli di altri dicasteri».
Quali sono le condizioni per rendere possibili scelte lungimiranti? Saranno in grado i partiti di svolgere un ruolo propositivo, dialogando con una società sempre più distante? La cattiva politica e l’antipolitica hanno fatto danni enormi distruggendo anche quegli apparati, quella classe dirigente dove si sedimentavano le competenze e che poteva evitare improvvisazioni e superficialità. Anche questo è un terreno su cui intervenire.
Senza dimenticare un tema fondamentale come quello dei giovani, per la Next generation EU, sono fondamentali scuola, ambiente, formazione, innovazione digitale. E anche in questo caso c’è bisogno di un quadro d’insieme dove scrivere i singoli provvedimenti. La parola passa, naturalmente, alla politica.

UN VUOTO AL CENTRO O UN NUOVO CENTROSINISTRA?

I primi di ottobre si è tenuta l’assemblea costituente che ha dato seguito al Manifesto promosso da Stefano Zamagni ed altri. L’intenzione dichiarata dai proponenti è che non si traduca nella nascita di un “partitino cattolico”, ma sia l’avvio di un percorso destinato ad assicurare l’apporto organizzato e visibile della tradizione popolare di ispirazione cristiana alla ricostruzione di un “baricentro”.
Come ci rapportiamo come associazione a questo evento? Potremmo snobbarlo dicendo che, così come è accaduto in questi anni non si tratta che di una delle tante iniziative che si accendono e si spengono in breve. Allo stesso tempo, non possiamo non proporre alcune riflessioni che pongono dei quesiti, così come scrive in uno dei nostri editoriali Riccardo Saccenti.
I proponenti di “Insieme” insistono sul cambio di scenario del sistema elettorale e sulle possibilità che offrirebbe il proporzionale. Ma soprattutto fanno appello a quell’opinione pubblica dispersa, disorientata che fatica a trovarsi dentro le proposte partitiche. È quest’ultimo un punto di riferimento interessante perché ci pone di fronte ad una “domanda”.
Basta aver girato un po’ la nostra Italia per capire come la domanda esista. È una domanda di buona politica che fatica a trovare risposte.
È di questi giorni la nascita di un’ulteriore proposta che non intende diventare l’ennesimo partitino. È l’associazione promossa da Marco Bentivogli e denominata “Base”, che intende richiamare un approccio alla politica capace di andare oltre la logica della “discesa in campo” (dall’alto) dei personaggi più gettonati del momento. È il tentativo di ricostruire innanzitutto una “buona domanda”, premessa essenziale per una “buona offerta”. In altre parole, il tentativo di ricostruire una trama di comunità senza la quale non vi è “buona politica”, ma solo populismo. E la dichiarazione della nuova associazione di non voler diventare l’ennesima bandierina “partitica” che si aggiunge alle altre, vecchie o nuove.
“Base” – secondo le dichiarazioni dei promotori – intende essere una esperienza sociale e politica che concorre a ricostruire una nuova cornice di rappresentanza politica delle culture popolari e liberal democratiche del Paese.
Di fronte a tutte queste proposte, ed altre ancora, non vogliamo essere spettatori passivi, né scettici o disincantati. Ci poniamo come osservatori attenti e propositivi e lo facciamo insieme così come ci siamo detti in tanti incontri svolti in call in questi ultimi mesi.
Seppur senza il conforto mediatico che accompagna le iniziative di chi è già personaggio pubblico, non possiamo dire che lavorare da anni a costruire una rete di amicizia politicaun luogo formativo e di elaborazione allo stesso tempo. Più di un elemento ci dice che le cose sono in movimento.
Nonostante il PD si sia intestato una vittoria, specie di fronte al rischio di una pesante sconfitta, non può certamente ritenersi al sicuro. È del tutto evidente la necessità di un dibattito interno, dell’apertura di una fase nuova in grado di rispondere ad un bisogno positivo di costruzione del futuro e non solo ad un voto che fermi una destra come quella che c’è in campo. Di più, come abbiamo detto più volte nei nostri incontri, il PD deve rendersi credibile ricostruendo il modello di partito e riprendendo l’ispirazione iniziale alla presenza plurale e al confronto tra le culture politiche. Il test elettorale dovrebbe aver convinto anche Articolo Uno della impossibilità di costruire qualcosa alla sinistra del PD e quindi dato l’indicazione di un possibile rientro. Ma perché un’operazione del genere non si risolva in un riduttivo garantire qualche posto, occorre aprire un dibattito. L’esperienza delle Marche, su cui con gli amici di Argomenti della regione discuteremo il 20 sera, è un monito da non trascurare.
In questi è caduto l’anniversario della fondazione, 13 anni fa, del PD. Si dirà che è un partito ancora giovane, ma alla velocità in cui tutto cambia non è possibile vivere di rendita, ammesso che ce ne sia. Come partito maggiore del centrosinistra il PD ha il dovere di porre a tema un ripensamento profondo del suo essere per proporre poi al Paese un’offerta politica nuova. Solo così si potrebbero ipotizzare forme allargate, anche di tipo coalizionale o confederativo, tra più soggetti e si potrebbe trasformare l’attuale accordo di governo in un’alleanza politica. Ma occorre lavorare in profondità, e non solo dall’interno del PD, ad una riflessione culturale più ampia. Da parte nostra lavoreremo per dare un contributo.

Ernesto Preziosi

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